Il silenzio è il tratto distintivo del volume per Cristobal Balenciaga. In questo ossimoro vi è la regola per l'adeguata fruizione dell'opera del “Sarto” del '900. La sua Haute Couture è stata l'atmosfera immersiva di nuca, scapole, femore e caviglia. In punta di piedi, ha “occultato il suo volto” all'opera e ha donato ad essa la sua personalità. Al n.10 di Avenue George V ha strappato l'anatomia femminile alle donne e la resa anatomia universale del vestire.
Con la sua intuizione corporea ha scoccato il dardo dell'arciere più abile e ha raccolto il valore di curva ed orizzonte, energia e approccio al limitare della prospettiva che non attiene al vestire un progetto con il proprio sguardo ma all'appartenenza.
Nulla di quanto attiene alla moda di Balenciaga è stato prodotto per qualcuno al di fuori di lui, della sua visione.
La donna, soggetto femminile, non è stata presa in esame come genere, ma come base d'appoggio della creazione per esprimersi ed esaltarne l'individualità.
La nuova anatomia, prodotta dalle curve e dai tagli di Balenciaga, ha pigmentato di drammaturgia la sceneggiatura del corpo umano per il sontuoso rito dell'alta sartoria e la vertigine di chi vi si è “ceduto”.
Dinanzi alle sue creazioni si soccombe alla sfida silente tra cedo ed incedo perchè esse si permeano di quella “lirica” che innalza a creatura chi le indossa e distoglie dai canoni erotici primordiali per elusione e sua seduzione.
Indossare non è il tema bensì interpretare tra il derma dell'anima e quello dell'abito.
Un tessuto emotivo che si esalta nel monocromo e nel geometrico così come nella terza dimensione di una grafica floreale che dal traforo del pizzo, o da un ricamo, ascolta il pigmento e lo lascia gorgheggiare, in solfeggio con la luce e con l'ombra.
Balenciaga, dalle coste basche di Getaria, porta la sua storia pregna del marchesato di casa Torres e della madre sarta, Martina Eizaguirre Embyl, che lo hanno forgiato rispettivamente all'arte, e all'arte della sartoria.
Il mare ne ha bagnato lo sguardo e ne ha impresso l'iridescente increspatura dei tessuti croccanti e l'ondeggiante orlatura.
Gli estrattori ittici, i pescatori, con la loro presenza, lo hanno educato, alla corporeità tecnica delle cerate maschili, per le dimensioni che competono al vento, al sole e alla pioggia.
Da queste proporzioni, si è modellata la fisicità dell'aristocrazia internazionale e la base dell'abbigliamento moderno.
Ieratiche ed iconiche, non necessariamente belle, le modelle di Balenciaga, quali ad esempio Colette (sua prediletta), si sono poi materializzate nelle sue affezionate clienti: Mona Von Bismarck (patrona della Haute Couture), Barbara Hutton, Marella Agnelli e molte ancora.
Tutto quanto è stato esaltato dal tratto espressivo di Cristobal si è riversato nello spirito del suo ideale ritorno ai saloni della Haute Couture, avvenuto il 7 luglio scorso, al n. 10 della storica sede parigina, recentemente restaurata.
Cinquantesima sfilata d'alta moda siglata con il nome del suo fondatore, e la prima senza di lui. Realizzata per mano del georgiano Demna Gvasalia, attuale direttore creativo della Maison di Avenue Geroge V, oggi di proprietà del Gruppo Kering.
La collezione s'impone nel silenzio generale punteggiata da garofani rossi. Il volume resta frusciante e sussurrato dalla natura dei movimenti umani e null'altro.
Le forme sono proporzionate all'ideale del fondatore.
L'esercizio della struttura tessuta e del tessuto nella struttura è rivolto a “Lui” e a “Lei” in una risultante paritetica nello slancio piramidale di genere oltre il limite dei contenuti connaturati alle parti.
Il collo è liberato da scolli che si scostano e dilatano con forza dal corpo umano, come “redarguiti e strattonati”, verso scapole e clavicole, da Balenciaga in persona.
Lungo i corridoi dei candidi saloni, con severa fermezza e concentrica curvilinearizzazione, dalla trabeazione che suggerisce “quanto più caratterizza il cigno” emergono le figure incuneate nelle storie tracciate sull'anatomia umana, ma che sembrano ad essa solo accostate.
Trench, tailleur, robe manteau, e abiti da sera si evolvono come anelli attorno ad un perno. Il tutto a rilevar il trapezio che imposta la base della testa: la nuca come regola formale ed estetica e la gamba, ove appare, corvina e senza soluzione di continuità con la scarpa ad allungare la figura.
Cristobal non amava l'accollato e l'aderente e faceva del suo gesto potente la chiave che allargava l'orizzonte del décolleté femminile.
Dell'orlo di un abito tracciava la diagonale perfetta per il ricordo di un'uscita di scena oltre il perimetro dell'immagine, dentro l'immaginazione, che segnava nel profondo lo strascico delle emozioni di chi ne fruiva.
Demna Gvasalia concretizza questo raccontando la sua personale esperienza nella individuazione dei bisogni sociali della moda di oggi con l'occhio archivistico dell'interprete di un sogno senza tempo.
Individualità e personalità si accarezzano vicendevolmente nella sua visione e si concedono l'incedere di chi non teme l'osservazione ma sa imprimere il suo stile.
Il concetto di divisa si eleva alla couture con la tuta sportiva “da ginnastica”, sovradimensionata, come reggenza autonoma rispetto alla comodità del pensiero che l'ha ideata per lo sport.
Questo capo d'abbigliamento, di uso comune, si fa sartoriale per impostare il busto e l'altezza del suo indossatore, portando il concetto di comfort alla sovrastruttura che lo evoca piuttosto che alla muscolatura da agevolare che di fatto viene esorcizzata dalle proporzioni.
Lo smoking maschile è la scelta formale che scende in campo a neutralizzare le parti genitali e ognuna di esse si eleva su tacchi a ricordare che lo stile si esprime in punta di piedi e nella sacralità di ciò che tutto contempla e tutto annienta: il nero, “negazione cromatica” prediletta da Balenciaga.
Ulteriore dissacrazione dei soggetti elaborati dall'alta sartoria e che si raccorda a comodità, funzionalità e volume, è l'accappatoio che nella Collezione Haute Couture n. 50 assurge alla sua mistica sperimentale e tende la mano alle ampie cerate dei pescatori delle coste basche che tanto hanno avuto spazio nell'immaginativa del giovane couturier spagnolo. Qualcosa che asciuga dall'acqua a confronto con qualcosa che ripara dall'acqua.
Qui il soggetto si esprime oltre misura, fin sul pavimento, e tracotante sulle spalle, come una enorme stola (altro tema ossessivamente riproposto nella collezione, in macro proporzioni, ad omaggio del tessuto come materia dei sogni della moda) nei colori pastello.
Questa scelta s'innesta nella logica della tradizione sperimentale della maison sui materiali inediti e sul loro potenziale volumetrico e regala alla tela spugna, l'onore delle cronache.
Il filone reinterpretativo di Gvasalia fa della pelliccia piumata, e ancora di più composta da fiocchi di lana annodati alla trama e all'ordito di un bomber, la riedizione della celebre lavorazione “Papacha”: tessuto portato alla ribalta del su misura da Cristobal in persona.
Realizzata negli anni '60, dalla manifattura di origine cecoslovacca Zika Ascher, (divenuta poi londinese), vedeva la lana mohair protagonista del medesimo intreccio in un cappotto a tre colori (bianco, rosso, nero), dal taglio semplice, e dal volume sbalorditivo, finito sulla copertina di Vogue Francia, nel novembre del 1964 e creato da Balenciaga. Tale capo è una delle numerose testimonianze delle sue collaborazioni, sperimentali, con i produttori tessili dell'epoca.
Le proporzioni dei capi, che in questo 7 luglio 2021 sfilano a Parigi, sono certamente legate alla linea a botte del 1950, ed alla semiaderente del 1951.
Un racconto del corpo femminile come apostrofo gonfiato dal vento, e della sua forma sinuosa, come qualcosa da celare nella trama di un nido, meglio noto come “Cocoon Coat”, del 1958, che sta a Balenciaga come il “Tailleur Bar”, del 1947, sta a Dior.
Questa forma ovoidale riecheggia oggi nella scelta del “Parka” che per Gvasalia diviene protagonista dell'ibridazione monocroma dei mantelli di seta e nuovo “nido”.
Demna modifica le cappe con strascico attraverso l'innesto frontale dei tratti caratteristici di questo capospalla originario delle popolazioni Inuit.
Lo stile pratico contemporaneo, dato da tasche applicate, coulisse, cappuccio, e bottoni automatici, emerge così nell'anatomia della gran sera.
Questa particolare parte della collezione si compone di citazioni legate alle creazioni indossate da Mona Von Bismark, nel 1955, e ritratte da Cecil Beaton, all'Hotel Lambert di Parigi.
Grandi omaggi alla storia della pittura spagnola sono le riprese delle gamme cromatiche di Goya ed El Greco, sature di blu lapislazzulo e rubino, celeste e rosa, che accendono il finale della collezione e che già erano patrimonio della storia della maison.
Sintesi perfetta di questa magistrale esecuzione tra denim, ricami, taffetà e gambe nere dal passo incerto, è l'abito da sposa, di foggia monacale, e bianco assoluto: citazione di quello ritratto da David Bailey nel 1967.
Emblema del minimalismo formale, che riprende la linea fisherman, del 1950, e la ripropone “nuziale”, in Gazaar di seta, nel '67 (tessuto creato da Balenciaga con la manifattura Abraham, nel 1958), resta la sintesi perfetta di una linea a trapezio che si spinge verso l'alto della Haute Couture.
Partendo dal quotidiano più semplice e funzionale, di un capo da lavoro usato dai pescatori, Balenciaga giunge alla testa di ponte dell'architettura nella moda.
In questo abito si evince come, la forma a cono, dritta o rovescia, abbia trovato in Avenue George V la sua più grande espressione, e nell'oggi, senza il cappello parapioggia dell'originale, si sia, con il più tradizionale velo, riflessa nella traccia diagonale, pura e continua, disegnata da Gvasalia su quella un tempo impostata dal suo progenitore.
Demna centra l'obiettivo di ridare forma alle intenzioni e ai risultati di una esperienza quanto mai vertiginosa della creatività, con attenzione acustica a tutte le voci del lessico che, da Getaria, si sono volumetricamente espresse sino all'approdo parigino, oltre i confini della storia.
In questa collezione N. 50 lo sguardo degli indossatori, celato da maschere di metacrilato o dai cappelli a disco di Philip Treacy, sembra surclassare il pubblico presente che si vede interrogare da shopper di nappa che suggeriscono, attraverso il sovraimpresso nome della Maison, l'inganno apparente del disinteresse verso il mercato.
L'alterità dal contesto è ancor più evidente nelle scelte di una maglieria basica, liscia o a trecce, così come di alcuni completi che appaiono all'occhio molto grandi e sgualciti, anche se decisamente costruiti ed in democratico denim.
Gli unici sprazzi di luce concessi agli accessori sono solitari monili di brillanti che, per volere di chi ha scritto la storia della casa di moda, soli possono dialogare con la bellezza assoluta degli abiti, veri, quanto unici, gioielli.
A nessuno è dato di superare l'acuta visione del “Direttore d'orchestra della Haute Couture” (come lo definì Dior) ma Gvasalia ci suggerisce che la si può vivificare attraversandone la scala tonale a pieno “volume”.