Il lockdown virale ha creato una forzata chiusura collettiva, ma ha anche permesso di rivolgere uno sguardo verso il dimenticato e il sedimentato: all’interno di noi, alle nostre case, alle idee e ai progetti sospesi, ai tanti aspetti della vita parcheggiati da chissà quanto.
Per gli studenti della spagiria e di erboristeria (o aspiranti tali) l’occasione di prestare attenzione in laboratorio, o spazi similari, alla presenza di contenitori ignorati. Una delle fasi delle lavorazioni alchemiche è la maceratio (dal latino pronuncia macerazio) che, di fronte al non identificato vaso di vetro saturo di ignote sostanze, si trasforma in… dimenticatio (dimenticazio). Specialmente se evidenzia il pessimo vizio di non scrivere sul contenitore informazioni utili alla identificazione, confidando nella presunzione di una memoria inossidabile o di maggiori delucidazioni relegate nei famosi appunti finiti chissà dove.
Ebbene, il riemerso contenitore di vetro, sigillato a dovere, ha donato un acetolito dove maceravano piante officinali aromatiche da diversi anni (una anamnesi personale ricorda che è transitato, sopravvivendo, almeno attraverso due traslochi).
L’acetolito è una preparazione classica della tradizione fitoterapica e farmaceutica di un tempo e di quella tradizione erboristica popolare connessa ai materiali di facile reperibilità come l’olio, il vino, il miele e appunto, l’aceto. Una fitoterapia domestica che oggi definiremo nutraceutica o fitoalimurgia dato l’utilizzo di piante selvatiche o coltivate che apportano contemporaneamente sostanze nutritive e proprietà terapeutiche.
L’aceto ci accompagna, sembra, da 8.000 anni e di conseguenza, insieme alla grande famiglia dei batteri acetici scoperti nel 1822 dal botanico e micologo sudafricano Christian Hendrik Persoon, ma è di Louis Pasteur la descrizione del meccanismo di azione degli acetobatteri. Sottinteso che l’aceto utilizzato in questo caso è il classico derivante dalla fermentazione del vino, ma non sarebbe così scontato data la grande varietà di aceti di origini diverse: di mele, di miele (dalla fermentazione della divina bevanda dell’idromele), o tipici, ma lontani dalla tradizione mediterranea come quello di cocco, di canna da zucchero o ancora dalla frutta come le pere e dai frutti della passione (dalla famiglia delle Passifloracee) e financo dalla birra.
Approfondendo l’indagine sul nostro macerato resuscitato, scopriamo che l’intento iniziale era quello di creare un acetolito con qualità antiossidanti, da utilizzare ai pasti, beneficiando di questi ingredienti: aglio (abbondante), curcuma, rosmarino, timo, zenzero, zafferano. Tutti ingredienti che si possono reperire freschi, come i rizomi di curcuma (impensabile possibilità fino a poco tempo fa) che hanno comprovate proprietà: antitumorali (aglio), azioni antiossidanti (rosmarino), rafforzanti del sistema immunitario (timo), antinfiammatorie (curcuma), digestive e stimolanti (zenzero). Inoltre, il safranale presente nello zafferano, non un ingrediente di rifinitura, ma un componente importante della miscela, è una sostanza con effetti citotossici sulle cellule tumorali, con azioni antidepressive e secondo la tradizione orientale anche un ottimo afrodisiaco. Questo per citare solo alcune delle proprietà benefiche di queste preziose piante.
L’acetolito è una preparazione che ci permette l’utilizzo di piante, o vegetali freschi, e macerazioni anche prolungate. Il tempo è un agente di trasformazioni biologiche, che in questo caso, ha convertito il nostro aceto in un liquido aromatico quasi liquoroso, un aceto balsamico profumato, nonostante l’abbondanza di aglio.
L’ aceto è un vino mancato, ma non è un vino che ha fallito, ha solo cambiato il suo progetto di manifestazione, diremmo un cambiamento di personalità. Nell’aceto permane una energia di fuoco, ma quello del vino, come mostra il suo alcool distillato, è un fuoco aromatico nobile con la capacità di penetrare nei tessuti organici e con la caratteristica di creare una profonda veicolazione dei principi attivi estratti dai vegetali. Non a caso, gli indiani d’America chiamavano acqua di fuoco, (in questo caso distruttivo) le micidiali bevande alcoliche, con cui l’uomo bianco ha rifinito la sua opera di conquista e genocidio.
Nell’aceto il fuoco è più grezzo, più popolano, a meno che non venga nobilitato dalla lunga e paziente macerazione tipica degli aceti balsamici. Nei testi di alchimia l’alcool è indicato come “lo spirito” e l’aceto come “la corruzione di questo spirito”, cioè di un ritorno dell’alcool verso una condizione materiale.
L’utilizzo dell’aceto nelle lavorazioni fitoterapiche non ha rappresentato solo l’alternativa più economica rispetto ai macerati di natura alcolica o oleosa, ma permette di estrarre al meglio specifici principi attivi dato che il suo potere solvente su composti di natura basica (alcaloidi e oli essenziali) è maggiore rispetto a quello dell’acqua. Inoltre, rappresenta, secondo la visione alchemica, uno dei due metodi o vie classiche insieme all’alcool. La via alcolica ci permette di rendere “il denso “più sottile, apre e libera (rende disponibile), la via acetica al contrario corporizza e addensa il sottile; in questa filosofia operativa l’aceto, giustamente preparato, ha un utilizzo anche nelle preparazioni a base di metalli e minerali.
Il vino e l’aceto figli della vite e dei batteri della fermentazione, se sono di buona qualità i materiali originari e i processi di trasformazione, sono due alimenti dispensatori di nutrimento, salute e cura.
Stiamo recentemente riconoscendo quanto la nostra vita e anche la nostra evoluzione come esseri umani, dipenda da quel “brodo” colturale di batteri del microbiota, batteri rafforzati e nutriti da un corretto nutrimento, ma specialmente dagli alimenti fermentati, che non dovrebbero mai mancare nella nostra alimentazione quotidiana: vino, aceto, yogurt, lievito madre, kefir, birra, alimenti-condimenti come il miso, il tamari, la sapa, i liquidi lattici delle verdure fermentate (come il succo di macerazione dei crauti), il kefir, la melassa e il polline fermentati.
Sostanze nutraceutiche basate sulla vitalità di batteri, lieviti, fermenti, enzimi, vitamine, probiotici, tutti portatori di “vita” per il nostro organismo.
Nel testo Le foglie, edito da Aboca, dedicato alle proprietà fitoalimurgiche delle foglie (scritto insieme a Sandro Di Massimo) ricordiamo due sostanze da fermentazione poco note, una ancora di attuale produzione: l’agresto derivante dalla cottura del mosto di uva acerba, con l’aggiunta di aceto, spezie e piante aromatiche, e il garum, legato alla tradizione alimentare degli antichi Romani, ricavato dalla macerazione di pesce, sale e piante aromatiche.
Nel nostro acetolito, un ruolo di sostegno per il microbiota è dato dall’aglio che agisce contrastando i batteri intestinali malsani e favorisce quelli benefici, coadiuvato dalla curcuma, spezia speciale anche per la flora batterica intestinale. Una particolare combinazione pro-microbiota è l’aglio fresco macerato in succo di limone utilizzato come condimento, come sostanza depurativa antiage, eventualmente consumato con yogurt e miele.
Quando ad una tavolata conviviale sfoggerò gli effluvi dell’aceto aromatico alle erbe, subissato dalle richieste, mi rincrescerò che sarà impossibile ricrearlo identico. A proposito… non me lo chiedete, è già finito.