La letteratura incontra spesso la natura, il paesaggio e la botanica. Quante sono le scrittrici che ho conosciuto che riescono a dare il meglio con la loro penna proprio nelle descrizioni naturalistiche e paesaggistiche, a cogliere con immagini straordinarie il pulsante e vigoroso risveglio della vita nei primi mesi dell’anno! Proprio a loro vorrei dedicare questo periodo di rinascita vitale e prorompente della natura e scrivendo i loro nomi spero si aprano per altre lettrici e lettori come me dei mondi, dei ricordi vivi di quelle letture indimenticabili.
Dal racconto di Lalla Romano Le Lune di Hvar ho scoperto l’isola croata ammantata da lavande spontanee su un altopiano immenso che si perde a vista d’occhio nel Mediterraneo, alla poetica e verdissima Procida nell’Isola di Arturo di Elsa Morante, ai paesaggi aspri e desolati di Grazia Deledda in Canne al vento. E poi i paesaggi nordici incontrati con Virginia Woolf, nelle campagne solitarie e appaganti della Normandia; mentre Katherine Mansfield mi rimbalza nel racconto L’Aloe dove la protagonista scopre una pianta in fiore1 tra i paesaggi ventosi della Nuova Zelanda, e ancora la cugina di quest’ultima Mary Annette Beauchamp, in arte Elisabeth Von Arneim, mi fa scoprire la Costa Azzurra e i suoi giardini rivelati nel gustosissimo romanzo Un incantevole aprile, divenuto anche un celebre film.
Autrici otto novecentesche come Vernon Lee e Mary Shelley sono ricordate per i testi che forse loro stesse hanno meno amato; Vernon Lee era affezionata al suo saggio Genius Loci, dove parlava di spirito del luogo, di spazi aperti di anima del paesaggio italiano. Mary Woolstonecraft Shelley con Frankenstein o Il Moderno Prometeo, ha avuto un successo strepitoso soprattutto dopo la sua dipartita, ma di questo romanzo, come mi suggeriva un’amica linguista, non si è mai apprezzata la parte dedicata al sentimento della natura, aspetto incredibilmente predominante rispetto al genere di fantascienza per cui è conosciuto. Avendo potuto ammirare un altro suo romanzo meno noto, L’ultimo uomo, ho scoperto una Mary Woolstonecraft gotica e allo stesso tempo naturalista, figlia in una famiglia eccentrica antiborghese, il cui padre William Godwin desiderava che studiasse e crescesse “come un filosofo”.
Se poi stringiamo l’obbiettivo e facciamo uno zoom sulle personalità più appassionate di natura e di botanica non si può trascurare la grandissima personalità della poetessa Emily Dickinson di cui è dato recentemente alle stampe lo stupefacente erbario (Emily Dickinson Herbarium, Elliot Edizioni, 2017) che in 69 fogli riporta 424 fiori perfettamente brillanti nelle colorazioni e ben conservati nei minimi particolari, oggi presso l’Università di Harvard. Questo erbario racconta con ciascuno dei suoi esemplari le innumerevoli motivazioni di una clausura immolata alla scrittura, la rinuncia alla vita sociale alleviata dalle insostituibili piante e fiori della sua serra e del suo rigoglioso giardino.
La botanica ha costituito per generazioni di ragazze e donne del XIX e XX secolo uno spazio privato da coltivare con cura, dedizione e amore sincero; quando non era consentito lo studio nelle scuole pubbliche – ricordiamo le denunce di Virginia Woolf nelle Tre ghinee quando urla per l’intollerabile discriminazione nell’accesso all’Università per le donne – la scrittura, la poesia e l’arte del fare giardini, di dipingere fiori e paesaggi era invece concesso, perché considerate arti minori, forse addirittura di poco conto. Anche di lei, Virginia, è rimasto un giardino che fortunatamente è stato fotografato e pubblicato, un testamento emotivo oggi restaurato che rimane oltre alla sua scrittura (Zoob C., Il giardino di Virginia Woolf. La storia del giardino di Monk's House, 2015), quello spazio intimo che ispirò molti dei suoi romanzi. Un altro giardino della sua amica più intima, la scrittrice e paesaggista Vita Sackville West è ben più famoso, probabilmente tra i più celebri al mondo e le sue creazioni giardinistiche sulla carta, sulle idee di giardino sono state e sono le più copiate dai paesaggisti appassionati del giardino inglese. Anche questa donna dalla personalità forte e fragile allo stesso tempo ha immaginato paesaggi fantastici dove ambientare romanzi incredibilmente moderni di cui ricordo uno dei suoi minori, Sfida (Rusconi, Milano, 1982), pubblicato in America con il titolo Challenge ma bandito nel Regno Unito fino al 1974. Descrive un’isola immaginaria della Grecia dove due giovani amanti Eve e Julian, trovano una natura incontaminata in cui evadere dalla ordinata, rigorosa e opprimente vita borghese anglosassone. Anche per Vita la natura in tutte le sue forme, soprattutto quelle selvagge ed avventurose, costituiva un modo di essere diversa, di sentirsi nomade, libera dagli schemi; un rifugio e un approdo, la fantasia e l’energia vitale pura.
Siamo ancora nell’Ottocento e tra le materie scientifiche la botanica, considerata scienza amabilis, si addice alle giovani ragazze ben educate e formate per diventare angeli del focolare, delle brave mogli e amorevoli madri. Tra i vecchi libri spesso mi fa piacere rileggere le pagine commoventi di Raffaello Caverni Fra il verde e i fiori. Nozioni di botanica nella collana Biblioteca delle giovanette pubblicato a Firenze da Le Monnier nel 1886. Le lezioni di Arturo a Eugenia, una giovinetta ansiosa di conoscenza e di sapere di scienze naturali, che necessariamente dovrà diventare anche la sua giovane sposa! “Il ministero affidato alle donne è quello di educare e di governare, dentro il recinto delle domestiche mura, la propria famiglia”.
“All’uomo la penna, alla donna il pennello”, risuonava il detto e la storia delle donne per molto tempo è stata scritta dagli uomini. Gli erbari dipinti, ad esempio, erano spesso opera di donne che lavoravano dietro le quinte e la pittura botanica è ancora una prerogativa femminile, l’arcano legame tra la donna e natura ha una storia millenaria che non si è mai interrotta.
1 “Svettava sopra di loro adagiata all’aria come su un mare in bonaccia, e tuttavia da come era aggrappata alla terra dalla quale cresceva si sarebbe detto che avesse gli artigli e non delle radici. Le foglie ricurve parevano nascondere qualcosa; il grosso scapo cieco fendeva l’aria come nessun vento potesse mai scuoterlo”. Katherine Mansfield, L’aloe, Mondadori, Milano 1999.