I cambiamenti climatici, ormai appare abbastanza chiaro nel corso delle ricerche e degli accertamenti che da decenni cercano di scoprirne le origini, le dinamiche, come sulla base delle cronache del passato per quello che di comprensibile a livello scientifico è possibile estrarre, non seguono schemi lineari o semplici fenomenologie di causa-effetto, ma subiscono evoluzioni anche eccentriche, difformi e complesse con rallentamenti e accelerazioni che possono anche lasciare più interrogativi che risposte.
Le conoscenze disponibili, le serie storiche dei fenomeni, le evoluzioni attuali e la loro registrazione puntuale mostrano con evidenza che se è possibile delineare meccanismi generali, grandi linee, poi nel pratico evolvere molta di questa conoscenza fa i conti con variabili e sviluppi imprevedibili frutto della stessa complessità del sistema terra, dell’atmosfera, di variazioni indotte dai fenomeni stessi. In buona sostanza, come per le previsioni del tempo, anche quelle climatiche a medio e lungo, lunghissimo termine presentano ampie zone di incertezza.
Ecco perché tutti gli studi e le riflessioni su come intervenire per rallentare ed impedire o invertire la tendenza che attualmente ci parla di una progressiva degradazione del clima globale nella quale la presenza dell’uomo e delle sue interazioni secolari producono sicuramente potenti perturbazioni, non può e non deve prescindere da un continuo approfondimento attraverso gli strumenti sempre più sofisticati a disposizione e un progressivo andare a ritroso nel tempo, nelle ere più antiche, sino a dove l’eco del passato è in condizioni di rivelarci elementi di conoscenza. Molto spesso scoperte in questa direzione hanno portato a rivedere molte ricostruzioni e a comprendere in modo più chiaro molti sviluppi ed interazioni nel tempo.
È in questo ambito che si può guardare ai risultati di uno studio cui hanno partecipato l’Istituto di Scienze Polari del Cnr e l’Università Ca’ Foscari di Venezia, coordinato dall’Università di Bergen (Norvegia), che mostra come durante l’ultima era glaciale nel Nord Atlantico le riduzioni di ghiaccio marino si verificarono nell’arco di 250 anni, in concomitanza con eventi di rapido aumento delle temperature. Risultati sono pubblicati su Pnas, ovvero la rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
I dati che emergono dalla ricerca manifestano con evidenza che gli improvvisi eventi di riscaldamento climatico nell’emisfero Nord, avvenuti durante l’ultima era glaciale, sono stati accompagnati da una egualmente rapida riduzione dell’estensione di ghiaccio marino nel Nord Atlantico. Il lavoro su quello che possiamo definire paleoclima, ci indica che tra i 10 e i 100 mila anni fa, durante l’ultimo periodo glaciale, l’emisfero Nord si presentava bianco a causa delle grandi calotte glaciali che avvolgevano i continenti settentrionali e dell’esteso ghiaccio marino che copriva i mari del Nord.
Tuttavia i dati raccolti come ha sottolineato Andrea Spolaor, ricercatore Cnr-Isp, tra gli autori dello studio, il freddo clima glaciale è stato più volte interrotto da una serie di eventi di forte e improvviso aumento delle temperature, fenomeni noti come eventi di Dansgaard-Oeschger, che hanno condotto fino a 16 °C sulla piattaforma glaciale groenlandese. Evento certamente eccentrico a parossistico.
Le cause di questi eventi di riscaldamento, scoperti già a metà degli anni ‘80 dall’analisi di carote di ghiaccio groenlandese, sono tuttora oggetto di dibattito benché la pubblicazione di questa ricerca abbia contribuito a una loro maggiore comprensione. I risultati dello studio indicano infatti che la forte riduzione dell’estensione del ghiaccio marino potrebbe essersi verificata nell’arco di poche centinaia di anni, contemporaneamente all’inizio di una fase di rimescolamento della stratificazione delle acque del Nord Atlantico, causando così un forte rilascio di calore e conseguente riscaldamento atmosferico.
In pratica mentre il Nord Atlantico perdeva rapidamente la copertura di ghiaccio, il calore dell’acqua oceanica veniva trasmesso all’atmosfera sovrastante, portando così ad un’amplificazione degli eventi di riscaldamento climatico in atto”, quanto ha affermato Niccolò Maffezzoli, ricercatore Marie Curie all’Università Ca’ Foscari Venezia, coautore dello studio.
La ricostruzione di questi avvenimenti ha reso necessario per l’équipe di ricerca di combinare insieme per la prima volta dati climatici da carote di sedimenti marini e carote di ghiaccio. I ricercatori norvegesi hanno analizzato le due carote di sedimento prelevate nel Mare di Norvegia, nella zona orientale del Nord Atlantico, mentre nei laboratori di Venezia-Ca’ Foscari e del Cnr-Isp sono state misurate nel ghiaccio della carota groenlandese di Renland le concentrazioni di bromo e sodio, due elementi sensibili alla presenza di ghiaccio marino stagionale in particolare nell’area tra Norvegia e Groenlandia.
“A segnalare l’estensione del ghiaccio marino stagionale è specialmente il bromo, che viene emesso in atmosfera durante la primavera artica per poi depositarsi sulla calotta polare, l’indicazione del ricercatore del Cnr. Queste ‘esplosioni di bromo’ stagionali registrate nelle carote di ghiaccio ci hanno permesso di ricostruire le dinamiche del ghiaccio marino nei millenni passati”.
“I dati sono stati poi allineati tra loro attraverso l’identificazione, in tutte le carote, di diversi strati di tefra, strati di cenere vulcanica provenienti da eruzioni islandesi passate, che ne ha permesso la sincronizzazione temporale”, conclude. “Il nostro studio ha evidenziato l’utilità di effettuare ricostruzioni climatiche combinando carote di sedimento oceanico e glaciali, fornendo così una più solida comprensione delle variazioni passate del ghiaccio marino nei mari del Nord”.
La comprensione di questi fenomeni consentirà di ampliare la conoscenza delle glaciazioni che hanno contrassegnato dalle ere geologiche l’evoluzione del nostro pianeta e di cercare elementi e prove che spieghino il loro alternarsi nel corso di centinaia di milioni di anni. E, soprattutto, di guardare nel nostro passato dal momento in cui l’umanità ha convissuto con le altre specie il cammino sulla terra affrontando anche i grandi sconvolgimenti che altro non sono che quello che si potrebbe indicare come il respiro del globo, l’insieme delle forze poderose che lo tengono insieme e che ne hanno plasmato l’evoluzione, unite all’interazione del pianeta con gli altri corpi del sistema solare e alla influenza determinante dell’astro che lo governa, il nostro Sole.
Tornando per così dire con i piedi per terra lo studio al quale si è fatto riferimento costituisce un importante tassello nella conoscenza delle dinamiche climatiche mondiali e in particolare di quelle dell’emisfero settentrionale nel quale la civiltà umana ha avuto uno tra i più importanti momenti di sviluppo proprio alla presumibile conclusione di quella glaciazione, la quarta del Pleistocene, la prima epoca del Quaternario: ebbe inizio circa 110.000 anni fa e terminò circa 12.000 anni fa. Su tutto il pianeta Terra si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. Durante questa glaciazione i livelli dei mari si abbassarono di oltre 120 m. Alla fine di questa glaciazione, seguì un periodo tardoglaciale, in cui temperatura e precipitazioni raggiunsero gradualmente i valori attuali (l’inizio dell’ Olocene intorno ad 11.000 anni fa).
Un periodo che per molto tempo è stato indicato come l’ultima era glaciale, in realtà una tra le diverse fasi climatiche che hanno caratterizzato la vita della Terra. La mutevolezza del clima nella quale siamo immersi fa parte proprio di questa alternanza e conoscerne le linee principali e le eventuali costanti può dare risposte agli interrogativi e alle soluzioni da adottare per quella parte di influenza che la presenza umana indubbiamente sta esercitando soprattutto negli ultimi secoli segnati da una capacità espansiva delle attività umane e dallo stress che queste provocano nell’equilibrio del pianeta.
La catena di eventi conclusivi sarebbe partita con la fusione dell’ampia calotta di ghiaccio che copriva l’emisfero nord circa 20.000 anni fa, che riconfigurò le fasce dei venti del pianeta, spingendo masse di aria calda verso Sud, e inducendo l’estrazione di biossido di carbonio dagli oceani verso l’atmosfera, permettendo alla Terra di riscaldarsi ulteriormente. A indirizzare verso questa spiegazione sono state le analisi effettuate sui dati climatici registrati nelle grotte naturali, negli strati glaciologici profondi dei poli e dei sedimenti oceanici.
I modelli scientifici indicano che la Terra cominciò a raffreddarsi circa 100.000 anni fa e intorno ai 20.000, quando il pianeta era in piena era glaciale e vaste aree dell’Europa erano ricoperte da una spessa coltre di ghiaccio, le temperature cominciarono a risalire, si ritiene per una modifica dell’inclinazione dell’asse terrestre che portò l’emisfero nord a un maggior irraggiamento solare. Con lo scioglimento dei ghiacci, enormi masse d’acqua dolce a bassa temperatura raggiunsero l’oceano Atlantico settentrionale.
Fu un processo con effetti planetari che arrestò la Corrente del Golfo e portò a una diffusione dei ghiacci marini in tutto l’Atlantico, ridisegnando gli schemi globali dei venti. In particolare, i venti tropicali si spostarono più a sud, portando a fenomeni di siccità in gran parte dell’Asia e precipitazioni intense in regioni del Brasile normalmente aride. Oltre a ciò, il fenomeno portò aria e acqua ad alta temperatura verso sud, determinando a sua volta un cambiamento nei venti dell’emisfero australe diretti a ovest, che si spostarono verso sud, amplificando il riscaldamento in entrambi gli emisferi. Infine, il rimescolamento delle acque oceaniche intorno all’Antartide portò alla liberazione di biossido di carbonio in atmosfera, come testimoniato dai carotaggi dei ghiacci antichi, che mostrano come tra 18.000 e 11.000 anni fa i livelli di biossido di carbonio salirono da 185 parti per milione a 265 parti per milione.
Da quell’antichità a noi più vicina e comprensibile storicamente comincia la fase evolutiva dell’umanità, quella che viene indicata come preistoria e che dopo altri quattro-cinquemila anni sfociò nelle grandi civiltà con le quali ha inizio la storia che conosciamo. Certo il ripetersi di glaciazioni e di riscaldamenti con i rivolgimenti globali conseguenti potrebbe far anche pensare ad altre epoche lontane e allo sviluppo di civiltà umane ormai sepolte. Ma questa è certamente un’altra storia che in un certo senso ci porta in quello che si definisce il mito!