Negli ultimi tempi si è sentito molto parlare di resilienza. Ma a cosa ci si riferisce quando si parla di resilienza?
In psicologia, la resilienza sta ad indicare la capacità di reagire in modo positivo ad eventi traumatici, di riorganizzare la propria esistenza di fronte agli ostacoli, di reinventarsi e rimanere in una condizione di ricettività rispetto alle nuove opportunità che la vita può riservare, conservando comunque la propria identità.
In questo articolo si vorrebbe affrontare il tema della resilienza riferendosi alle principali agenzie educative, ovvero la famiglia e la scuola i cui effetti ricadrebbero naturalmente sui bambini e i ragazzi; questi ultimi, a causa della pandemia e di tutte le conseguenze sul piano restrittivo, hanno dovuto rinunciare a portare avanti in maniera equilibrata il loro percorso scolastico e le relazioni sociali tanto importanti per un sano sviluppo psico-fisico.
Da febbraio 2020, infatti, abbiamo tutti dovuto fare i conti con un quasi radicale cambiamento nelle nostre vite. Moltissimi adulti si sono ritrovati improvvisamente a modificare i propri piani, a riorganizzare gli equilibri familiari, a gestire la propria emotività.
La resilienza non è una condizione ma un processo: la si costruisce lottando.
(George Eman Vaillant)
Paura, senso di disorientamento, mancanza di certezze sono solo alcune delle sensazioni provate e ci si è trovati a doverle affrontare in prima persona e, di conseguenza, il tutto è stato inevitabilmente riversato anche sui bambini e ragazzi, i quali hanno perso i punti di riferimento. Inoltre, si è assistito ad una regressione per quanto concerne lo sviluppo psico-emotivo dei più piccoli e anche ad una dispersione generale per quanto concerne i ragazzi più grandi.
Come afferma Maria Nardi, psicologa e psicoterapeuta di Varese: “La categoria dei bambini e degli adolescenti è risultata compromessa sul piano psico-emotivo ma anche fisico. Numerosi studi dimostrano come siano aumentati i casi di disturbi di ansia, disturbi del sonno, comportamento irritabile e atteggiamenti regressivi come frutto delle conseguenze del lock down. I più piccoli hanno risentito di questa chiusura che ha impedito loro di vivere la quotidianità in relazione con il gruppo dei pari, presso gli asili o le scuole primarie, ma altresì esponendoli direttamente alla sofferenza degli adulti di riferimento che spesso hanno vissuto lutti familiari o casi di malattia. Allo stesso modo gli adolescenti che sebbene siano più predisposti al contatto tramite i social e virtual game, manifestano anch’essi delle fatiche nell’interazione sociale, fattore di fondamentale importanza a questa età in cui il compito di sviluppo è proprio quello di differenziarsi dalla famiglia di origine per dirigere i propri interessi verso il gruppo dei pari con il quale uniformarsi e dunque crescere. Tutto ciò è chiara evidenza di come l’equilibrio emotivo di queste categorie sia fortemente instabile a causa della pandemia”.
Il compito di un bambino, supportato dalla cooperazione di genitori attenti e responsabili, è sviluppare l’abitudine a non darsi per vinto di fronte a sfide e ostacoli.
(Martin Seligman)
Come è possibile agire, quindi, di fronte a questo scenario che vede una compromissione dell’equilibrio psico-emotivo dei nostri bambini e ragazzi? Cosa possono fare le principali agenzie educative per far sì che questa lunga fase di incertezza possa essere utilizzata per apportare futuri positivi cambiamenti?
Innanzitutto, come afferma ancora l’esperta Maria Nardi: “Qualora in famiglia si presentino forme di sofferenza menzionate precedentemente, il consiglio è quello di rivolgersi ai centri di supporto attivati per richiedere un sostegno di tipo psicologico i quali, aiuteranno le famiglie, ciascuna caratterizzata dalle proprie dinamiche e dai propri equilibri, ad individuare la strategia più adeguata e a far sì che esse trovino dentro di sé la via per individuare nuove priorità e creare una nuova narrativa familiare.
È importante inoltre cercare di erigere, per quanto possibile, una quotidianità da vivere anche in casa, con orari da rispettare per la messa a letto. Coinvolgere soprattutto gli adolescenti in attività motoria e assegnando loro dei piccoli compiti da svolgere per la gestione della casa come, per esempio, apparecchiare la tavola o fare giardinaggio, queste attività permettono non solo di scaricare la tensione ma anche di regolarizzare il ritmo del sonno”.
La scuola, inoltre, ha l’occasione di investire in strategie innovative per quanto riguarda la DAD, e non solo, la quale potrebbe risultare in futuro non soltanto come un mezzo da utilizzare in una condizione di emergenza bensì, come parte integrante del percorso scolastico.
Si potrebbe considerare l’uso della tecnologia non come un mezzo che allontana fisicamente, bensì come uno strumento per poter individuare nuove strategie di partnership a distanza e che allo stesso tempo possano avvicinare a livello emotivo; che possa paradossalmente aiutare a rallentare e a prendersi il tempo nella strutturazione di una collaborazione.
I docenti potrebbero dar vita a gruppi di cooperazione tra gli alunni per quanto concerne progetti educativo-didattici; pur a distanza, per gli alunni sarebbe possibile fornire il proprio contributo per il raggiungimento di un obiettivo comune.
Si potrebbe dedicare tempo alla realizzazione di gruppi di discussione dove i ragazzi avrebbero l’occasione di esprimere un proprio parere e condividere idee su come affrontare la pandemia oppure, semplicemente, confrontarsi sulla lettura di un libro.
Tutto ciò risulterebbe utile affinché le nuove generazioni possano convertire quello che appare come una chance perduta di socializzazione e crescita personale in un’occasione in cui vi è un cambiamento nel modo di guardare le cose, di sviluppare nuove competenze come la curiosità, la creatività, la condivisione di sensazioni ed emozioni, alimentare il senso di empatia, la responsività, ovvero aprirsi all’ascolto dell’altro, la capacità di porsi domande e di conseguenza coltivare il pensiero critico.