La colazione è il pasto che ci riconnette col mondo dopo la notte. Interruzione del digiuno sia per gli anglofoni, breakast, break, rompi, e fast, digiuno, che per gli spagnoli, desayuno e i francofoni, petit déjeuner, entrambi gli ultimi di derivazione dal latino volgare disjejunare, cioè rompere il digiuno; per i tedeschi, invece, è Frühstuck, unione di presto e pezzo. Nei diversi Paesi del mondo, per colazione, a seconda dei luoghi, troviamo cappuccino con brioche, salumi, formaggi, frittelle, pancetta, salsicce, uova, pomodori, pane con burro e marmellata, yoghurt, muesli, frutta e poi le tradizioni asiatiche della zuppa di miso giapponese, sottaceti, il vietnamita pho-pho, brodo con maiale e ossa di manzo, il dim sum e i noodles cinesi, e, ritornando verso occidente, il kolbasa russo, sandwich con formaggio o salsiccia e la ricchissima colazione turca fatta di sucuk, una salsiccia speziata, pastirma, borek, pane fritto, zuppe e ogni ben di Dio che rendono la colazione turca una delle più varie.
Nessuna di queste eguaglia però l’edonismo, il piacere della colazione a Catania, città nera di lava, bianca di pietra calcarea e azzurra del colore del cielo e del mare. La prima differenza tra Catania e il resto del mondo è che la colazione è anche un rito notturno. All’uscita dalle discoteche, verso le 3 o le 4 del mattino, in alcuni noti angoli della città, i ragazzi si ritrovano nei bar o nei “laboratori” dove cuochi e pasticceri preparano i “pezzi” che saranno poi venduti nei caffè. Sono cornetti, brioche, panzerotti, iris, raviole, involtini e cipolline.
La raviola di ricotta, chiamata la piccola luna della felicità, apre un mondo di piacere al palato. Si tratta di un impasto di farina, zucchero, latte, uova, lievito e strutto farcito con zuccherata ricotta di pecora, cannella e vaniglia, poi fritto e subito passato nello zucchero semolato per far aderire i grossi grani alla superfice.
Un altro pezzo godurioso, e fritto, è l’iris, un panino al latte farcito con crema al cioccolato o bianca, poi impanato con pastella e mollica e fritto nello strutto finché non sarà di colore dorato. Per distinguere quello al cioccolato da quello alla crema, i pasticceri incidono il polo superiore della scorza che, con la frittura, assume un colore differente a seconda del contenuto. Riconosciuto e inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT), si dice sia stato preparato per la prima volta nel 1901 da Antonio Lo Verso, pasticcere palermitano, per celebrare la prima dell’opera Iris di Pietro Mascagni.
I panzerotti sono anch’essi a forma di mezza sfera ma fatti con una pasta frolla senza uova e con aggiunta di ammoniaca per dolci, diversa da quella usata per le pulizie di casa, che li rende più compatti e friabili, ripieni quasi sempre di crema bianca o al cacao ma anche, raramente, con un impasto di ricotta e gocce di cioccolato o crema pasticcera. Sopra il panzerotto alla crema bianca e senza uova, c’è una ciliegina di pasta per distinguerlo da quello al cioccolato.
L’involtino, un fagottino quadrato di strati di pasta sfoglia, riempito di crema pasticcera o al cioccolato, morbido, cremoso e spolverato di zucchero a velo se ripieno di crema bianca e anche di cacao se ripieno di crema al cioccolato.
Il cornetto ha la forma del croissant ma è profondamente diverso. Trae origine dal kipfel austriaco ed è fatto con farina, latte, uova, zucchero, sale, burro e lievito a differenza del croissant che è fatto senza uova e burro e con poco zucchero risultando quindi di gusto più neutro e quindi adatto a ripieni dolci o salati. A Catania i cornetti sono o “vuoti”, cioè solo l’impasto, o con ripieno, a scelta, di marmellata di albicocche, Nutella, crema o pistacchi.
La prima colazione catanese non è fatta solo di dolce ma anche di salato grazie alla cipollina al forno, preparata con pasta sfoglia ripiena di cipolle fritte, prosciutto cotto, salsa di pomodoro e formaggio filante. Tutti, l’involtino, l’iris, la raviola, il panzerotto, la cipollina sono preparazioni fatte di contenente e contenuto, un percorso sensoriale che parte dalla vista, l’immagine di questi scrigni che si scorgono in bella vista non appena si entra in qualunque caffè della città, sia del centro storico, con i suoi tavolini all’aperto, che della periferia o anche di supporto a qualche rifornimento di carburante.
Posare lo sguardo su queste delizie crea spesso confusione, non si sa se dirigersi sul dolce o sul salato, ma il profumo e gli aromi che si sentono già nonostante il vetro rendono la scelta più facile. Poi il tatto, mentre il barman ci porge un tovagliolino di carta, quello tipico dei bar, fatto apposta per non sporcarsi le mani ma non per pulirsi la bocca, con dentro la nostra scelta. E lì, già al tatto, con l’acquolina in bocca, si inizia a gustare la prelibatezza prescelta.
La raviola è zuccherosa, morbida, cede al tatto ma non si sfalda. Al primo morso si sente la pasta e i granelli di zucchero, poi è l’infinito fatto di ricotta dolcissima e aromatica, profumosa di vaniglia e cannella.
L’iris ha un carattere diverso, più forte e croccante, oppone resistenza prima di aprire il cuore di cioccolato o di crema; anche se nato per celebrare l’opera lirica, quello al cioccolato mi ha fatto sempre pensare all’Etna, dura montagna dal cuore fluido.
Il panzerotto, già dal nome, è tondeggiante e friabile, più piccolo di tutti, più asciutto ma generoso, si gusta morso dopo morso finché non ne resta un piccolo pezzo fra le dita e lo raccogli cercando di non perderne neanche una briciola.
L’involtino è diverso, con qualche reminiscenza di una cucina più nobile, è più delicato ma lo stesso saporito e saporoso.
Infine lei, la cipollina, assurdo inizio di giornata per chi è abituato al cappuccino con la brioche, ma tipica colazione del catanese, del pescatore al ritorno dal mare, dello studente che deve affrontare un giorno di scuola e d’un tratto senti la voce di un giovane che entra al bar e, con tono quasi intimo, chiede “Mbare, m’ammogghi na cipollina?”, cioè “Compare, mi incarti una cipollina?”.
Non si può parlare di colazione a Catania senza includere la regina dell’estate, ma in realtà di tutto l’anno, la granita di cento gusti diversi, da godersi accompagnata da una buona brioche “col tuppo”, che evoca la forma dello chignon tipico dell’acconciatura femminile siciliana. La granita è fatta un po’ dappertutto in Sicilia ma di solito si trova al limone, al caffè o alla mandorla. A Catania, invece, la scelta è infinita: tutti i tipi di frutta, dai gelsi alle pesche all’anguria, il pistacchio, il cioccolato, le mandorle tostate oltre ai “soliti” limone, caffè e mandorla.
Imitata in altre città e presentata come grattachecca e negli Stati Uniti come shaved ice, ghiaccio grattuggiato, con sciroppo, la granita somiglia alla cremolata e al sorbetto ma non è né l’una né l’altro. Di matrice araba, all’origine era fatta con la neve stipata nelle “niveri”, apposite costruzioni in pietra, dove la neve veniva portata su carretti in cui era coperta di paglia per evitare squagliasse. La granita non lascia con la sensazione di sete come il gelato, è fatta di acqua, zucchero e l’ingrediente che la caratterizza ma l’unione di questi pochi ingredienti provoca un connubio esplosivo che va oltre la loro semplicità individuale. Concepita per la prima colazione, si trasforma spesso in pasto da consumare al mare per non dover aspettare la lunga digestione di un piatto più tipico del pranzo.
Un viaggio in Sicilia si può trasformare in esplorazione gastronomica e la prima colazione permette di affacciarsi un mondo culinario in cui convivono il dolce e il salato e si percepiscono i doni lasciati dai tanti popoli che si sono avvicendati sull’isola, punto di incrocio del Mediterraneo e luogo strategico ambito sin dalla notte dei tempi.