Il viandante si svegliò e pensò agli angeli. Sull’albero udiva germogliare le tenui foglioline. Udiva pulsare e scorrere nell’albero la vita silenziosa e sottile, in flussi dorati. La montagna lo guardava, lassù se ne stava appoggiato Dio in un mantello marrone e cantava. Si udiva il suo canto correre sulla trasparente vastità del lago. Era una canzone semplice, si confondeva con il flusso sommesso della linfa nell’albero, e con il flusso sommesso del sangue nel cuore, e con il flusso sommesso e dorato che dal sogno, attraverso di lui, si diffondeva ovunque. Cominciò a cantare anche lui, piano e a lungo.
(Herman Hesse, Camminare)
Camminare è un inno all’eternità, una canzone dalle note personali che ciascuno di noi può intonare, con il proprio personale e unico spartito. Una musica fatta dei propri passi, di una forza che appartiene solo a noi e alle nostre orme, di vento secco che accarezza i capelli. Di forza. Di unicità.
Camminare è potente, prezioso, armonioso, concreto, salvifico, imponente. Per il cuore e per la mente. L’assiduità nel percorso ci rende quasi onnipotenti, viandanti felici nei giorni azzurri e spensierati. Ma anche in quelli più grigi e preoccupati. Solitari ancora meglio, in compagnia può essere grande fonte di condivisione, ma solo con quella giusta. Con colui che ti si affianca, pazientemente, nella vita può essere il massimo dell’emozione e della felicità. Non si parla, si cammina, ci si sfiora la mano e si guarda avanti. Solo avanti, con lo sguardo fisso all’orizzonte, quell’orizzonte che è comune, senza mai voltarsi indietro. Sulla pelle si sente l’aria, la stessa brezza che accarezza entrambi, una condivisione fatta di purezza. Lo stesso ritmo. In equilibrio con sé stessi e il cosmo.
In un mattino illuminato dal sole si sale la china di una montagna, si respira solo bellezza, leggerezza e trasparenza. Camminare mette di fronte a sé stessi, alla natura, alla possibilità di andare avanti con il semplice respiro all’unisono, con i propri piedi come motore, con le proprie scarpe come unico mezzo. È possente proprio per questo, perché non si ha bisogno di null’altro che di sé stessi.
È una sorta di religione, di unione con il Creato e la sua Grazia e Bellezza uniche e insostituibili.
Non è la meta, la ricerca di nuove terre a fare il vero viaggio, ma l’avere nuovi occhi, avrebbe detto Marcel Proust. Aiuta sicuramente leggere Henri David Thoreau o Herman Hesse, ma a sentire il richiamo del cammino è la sola nostra anima, una rugiada che ci sfiora e ci invita a continuare. Con la schiena dritta e lo sguardo alto, l’andamento è sicuro, se pur, a volte, un poco titubante. Respirare è fondamentale. Respirare aria pura, ma non solo, inspirare quell’alito vitale che ci circonda ed espirare tutto quanto di negativo ci attanaglia. Buttare fuori. Lo yoga, d’altra parte, ci insegna lo stesso. Nutrirsi di anima per andare lontano. Al meglio.
Siate il meglio. Se non potete essere un piano sulla vetta del monte, siate un cespuglio nella valle, ma siate il miglior piccolo cespuglio sulla sponda del ruscello. Se non potete essere una via maestra siate un sentiero. Se non potete essere il sole siate una stella, non con la mole vincete o fallite. Siate il meglio di qualunque cosa siate. Cercate ardentemente di capire a cosa siete chiamati e poi mettetevi a farlo appassionatamente.
(M.L. King)
Camminare può divenire un reale mantra, un senso di pace che non richiede altro sforzo che la concentrazione sulla Bellezza e la Solitudine creativa. Per partire e camminare ci vuole anche rabbia.
In lontananza, il fischio di un treno che corre lungo le rotaie in mezzo a un prato fa da sottofondo ai piedi che accarezzano la terra, la porta di una malga di legno che scricchiola leggermente pare un saluto al tuo passaggio. Il sorriso di un abete, la macchia verde dell’erba spettinata dal vento fanno sorridere e capire che l’uomo è adatto a quella quiete, che ci deve tornare e lasciare andare molte cose inutili. Tutto cambia. Un bizzoso e improvviso scroscio di pioggia, lieve e inquieto, ti risveglia per un attimo, mentre cammini. Ti ricorda solo che gli imprevisti arrivano e che vanno gestiti. Con un sorriso, se possibile, con serenità o sangue freddo se il sorriso davvero non arriva. Incroci altri viandanti, riconosci quelli che lo sono per davvero e quelli che invece ne hanno fatto una moda. La semplicità, la spontaneità e la veridicità si riconoscono sempre, subito, un canto ritmico che scrive la sua lettera da spedire al mondo. Uno scambio di sguardi, la stessa motivazione, la stessa energia, lo stesso ritmo, lo stesso spirito di pellegrino. Se si cammina scalzi, poi, si arriva umili.
Potrebbe non servire un vero testo, ma una busta vuota che contiene un mero spirito di fratellanza. Gli alberi vogliono ascoltare, sanno farlo bene, basta farglielo fare. Al silenzio dell’alba o di un tramonto è più facile, soprattutto se il cammino è solitario. Un alito condiviso vi mette subito in relazione. La conquista del selvatico che scintilla verso l’eternità. La transizione.
Siamo viandanti sulla strada polverosa, vagabondi che cercano la serenità, che spesso la cercano nelle cose materiali ma che si trova solo dentro di noi. È sicuramente questo il percorso più difficoltoso, arduo da trovare. Solo procedere, incedere, camminare, continuare, senza aspettare più nulla.
Ascoltare il silenzio del bosco è la medicina dei momenti bui, dei momenti di tristezza, la magia del tutto, di quel tutto che ci è sempre familiare, di quel tutto che ci fa rialzare dalle nostre cadute.
Si cade e ci si rialza, lo impariamo fin da bambini. Forse nell’infanzia abbiamo maggiore spinta e volontà, maggior perseveranza e fiducia, ma la vita è di per sé tempesta, una bella tempesta che termina sempre con un arcobaleno variopinto. E il cammino non va abbandonato, bisogna proseguire felici sul sentiero, accarezzando la linfa degli alberi e accarezzando, quasi volando, la terra dei sentieri anche non battuti. Riconciliazione sentimentale allo stato puro. Distacco. Ispirazione.
La nostra storia è fatta di passi, di inciampi, di cadute e ricadute, di capacità di rialzarsi e proseguire. Tutto un giorno avrà il suo significato e la Terra, in questo momento storico complesso e difficile, sta iniziando a spiegarcelo. Basta capire il suo messaggio. E continuare a camminare, con volontà e decisione. Osservando, con animo semplice e fantasia, l’acqua che scorre, le foglie che frusciano, le nuvole che si rincorrono e il vento che alita. Perché camminare è la canzone della buona fortuna.
Con altri pensieri voglio ripercorrere tali strade, origliare i ruscelli, spiare i cieli serali, sempre e poi sempre.
(Herman Hesse, Camminare)
Quando le tue gambe sono stanche, cammina con il cuore.
(Paulo Coelho)