Lontano dai luoghi della finzione e del frastuono, ho attraversato a volte una soglia invisibile e scoperto luoghi dello spirito: eremi, fonti, santuari, boschi millenari... Soprattutto piccole valli, orientate come antenne paraboliche verso un silenzio planetario. In questi spazi la parola sembra riacquistare senso e rigenerarsi... Qui il pensiero si espande naturalmente, e naturalmente incontra il Sacro... Mi piace pensare che tali luoghi contengano codici criptati, illeggibili ai barbari, della resistenza all’annientamento, memorie antichissime dei principi della vita… Grazie a questi luoghi il mondo eviterà la catastrofe...
(Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti)
Probabilmente, voleva andare a vivere in questi posti, lontano da tutto ciò che riteneva superfluo e falso, Christopher Johnson McCandless quando, dopo aver conseguito brillantemente una laurea in Storia e Antropologia, abbandonò tutto e tutti, sparì dal suo mondo e dalla sua famiglia per divenire Alexander Supertramp e perdersi in quelle Terre Selvagge dove era certo di trovare se stesso e il senso profondo e luminoso della propria vita.
Christopher nasce nel 1968 a El Segundo, California, da una coppia benestante della ricca borghesia: il padre, Walt, era un dipendente della NASA e pare fosse dedito all’alcool nonché marito violento e infedele, la madre, Billie, era un’impiegata ed entrambi, pur amando i propri figli, tendevano come molti genitori a plasmarli ossessivamente sui propri modelli esistenziali.
Dopo un’infanzia non più travagliata di quella di tanti ragazzi della sua generazione e dopo avere concluso brillantemente il ciclo di studi, fuggì a bordo della sua Datsun B210 gialla dell’82, trovata poi abbandonata da alcuni escursionisti nel deserto di Mojave, in California.
Condusse due anni di vagabondaggi in autostop nell’Ovest degli Stati Uniti, facendosi chiamare Alexander Supertramp, fino a raggiungere il grande Nord e stabilirsi in Alaska nel territorio del Denali National Park per poi morirvi, di stenti o forse per avvelenamento da piante tossiche, dopo aver vissuto per 122 giorni in quel “magic bus”, un rottame arrugginito usato dai cacciatori come rifugio, dove venne rinvenuto morto da circa due settimane proprio da cacciatori di alci nel settembre del 1992. Aveva solo 24 anni e le sue ultime parole, scritte su appunti rinvenuti in quel precario rifugio, furono: “Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio e che Dio vi benedica!”.
Carine McCandless, amata sorella minore di Christopher, scrive nel suo libro di memorie pubblicato nel 2014 col titolo Into the Wild Truth che furono proprio l’atteggiamento violento del padre nei confronti della madre, l’alcolismo dei genitori ed il loro atteggiamento ossessivo e manipolatorio a spingere Chris a fuggire sia dalla famiglia che dalla società borghese che l’aveva generata e sostenuta e che inesorabilmente avrebbe inghiottito anche lui.
Jon Krakauer, celebre saggista e giornalista statunitense, si interessò al caso e scrisse un articolo dal titolo Morte di un innocente che comparve nel gennaio del ‘93 sulla rivista Outside e che poi sviluppò nel racconto biografico Into the Wild che divenne un bestseller tradotto in 14 lingue e che fece conoscere al mondo intero la vita e la tragica fine di Alexander Supertramp.
La figura di Chris McCandless divenne infine leggendaria e il suo Magic Bus meta di pellegrinaggi anche grazie al bellissimo film di Sean Penn tratto dal libro di Krakauer che uscì nel 2007 col titolo Into the Wild. Nelle terre estreme.
Dal film e dal libro da cui è tratto si deduce però che gli autori ritengono Chris vittima di un certo moralismo e soprattutto di un ideale nomadico estetizzante portato fino alle estreme conseguenze.
Certo, vi furono le incomprensioni famigliari e un carattere piuttosto intransigente a spingere alla fuga McCandless ma queste motivazioni avrebbero potuto benissimo portarlo a rifugiarsi lontano dalle odiate convenzioni in qualche comunità hippies come ce ne erano tante in quegli anni, soprattutto in California, e nelle quali in effetti venne accolto durante i suoi vagabondaggi, o a qualche altra scelta esistenziale anticonformista e iconoclasta, non necessariamente ad una meta così lontana e pericolosa come i fiumi e le foreste dell’Alaska.
No, a spingere Alexander Supertramp nelle Terre Estreme, nella solitudine incontaminata e primordiale, bellissima e spietata del Denali ci voleva qualcosa di diverso, qualcosa che solo chi a vent’anni ha provato come lui l’incanto estraniante, l’irresistibile seduzione, il richiamo imperioso della Natura selvaggia può comprendere.
Perché quando si è vittima di quella malia si può arrivare, come fece Chris, a liberarsi di ogni cosa, anche degli affetti più cari per correre da Lei, senza altro progetto, senza altro scopo che non sia quello di consegnarsi a Lei, anima e corpo, nella cieca fiducia che Ella, la Natura Selvaggia accoglierà nel suo amorevole grembo noi e noi solamente, per consegnarci alla fine la sua luminosa rivelazione.
L’inevitabile disincanto per alcuni può essere fatale, tuttavia Christopher McCandless lo superò e cercò di tornare ai suoi cari ma la via del ritorno era oramai preclusa, il fiume Teklanika che aveva guadato con facilità poche settimane prima si era gonfiato per il disgelo e lui, indebolito e forse ferito ad un braccio, non avrebbe potuto attraversarlo nuovamente.
Tornò al suo magico bus e vi trovò la morte pare per avvelenamento causato da una pianta che, ironia della sorte, era ritenuta commestibile e che invece conteneva un alcaloide, una neurotossina chiamata ODAP allora sconosciuta, che ha un effetto devastante proprio per chi, come lui, svolgeva attività fisica in deficit nutrizionale.
La Natura, spietata come gli antichi Dei, non aveva perdonato la sua tracotanza.