Le trasformazioni che stiamo vivendo in questo periodo di ‘clausura domestica’ sono concentrate soprattutto nello spazio interno, dove stiamo sperimentando una forma di isolamento e abbiamo fatto esperienza di un nuovo concetto di tempo. Con piccoli mutamenti siamo ora invitati ad uscire, a sperimentare le prime passeggiate all’aperto concesse su distanze maggiori, a tornare alla riapertura di parchi e giardini pubblici.
La riappropriazione dello spazio pubblico è fondamentale per il benessere fisico e mentale delle persone, oltre che per il recupero delle relazioni paritarie e la coesione sociale, che di fatto si realizzano solo all’aperto, nel luogo più democratico di tutti che è la natura.
Stare all’aperto è psicologicamente una necessità. Qui rispettare il distanziamento sociale è più facile che altrove. Le prime passeggiate dopo l’isolamento ci permettono di ritrovare vecchi amici: il Platano, il Liriodendro, il Bagolaro, il Sambuco, la Rosa canina, il profumo dell’erba e dei primi Glicini in fiore. Gli alberi e la vegetazione sono i nostri alleati. Fondamentale è comprendere che facciamo tutti parte della stessa rete, per un allargamento della visione del mondo e delle prospettive future. Rileggere i principi di Henry David Thoreau è oggi più che mai illuminante. Fu il primo pensatore a proporre il ritorno alla natura, opponendo l’economia della frugalità al consumismo forsennato. Thoreau scriveva:
Andai nei boschi perché volevo vivere in profondità e succhiare il midollo della vita.
(Walden, Vita nei boschi)
E nel suo famoso saggio Walking, afferma:
Dalla natura selvaggia dipende la sopravvivenza del mondo.
Un gradito omaggio mi ha permesso di leggere in questo periodo il libro Consigli per viandanti giardinieri. Storie di paesaggi, semi e talee scritto da Emina Cevro Vukovic e Nora Bortolotti (Ediciclo Editore, 2020). Si tratta di un piccolo quaderno per camminatori appassionati. Passeggiate e percorsi naturalistici che si intrecciano a conoscenze botaniche semplici, alla portata di tutti, per permettere di raccogliere ciò che di più prezioso la natura ha da offrirci: semi e talee. Così, quando non sarà possibile godere di ampi spazi pubblici, si potranno sempre attivare esperienze per la coltivazione di piante spontanee in piccoli spazi verdi: per realizzare giardini futuri, giungle domestiche, terrazzi onirici. Ma soprattutto per il nostro benessere.
Partire da semi e talee è una scelta povera economicamente, ma ricca culturalmente, che restituisce gli occhi meravigliati dei bambini e fa crescere il botanico nascosto in ciascuno di noi.
È una scelta sapiente che non depaupera il territorio, come sarebbe strappare le piante, anzi lo arricchisce favorendo la creatività e la biodiversità. Occorre osservare, chinarsi, mettersi all’altezza degli steli, per scoprire la grazia con cui crescono fiori e cespugli, e scoprire così tesori nascosti tra l’erba o i muschi. Scegliere di progettare un giardino raccogliendo semi e talee di piante spontanee è uscire dalla omologazione del mercato, che spesso tende a proporre le stesse tipologie vegetali, molte delle quali sono seminate in Olanda, cresciute in Sud America e vendute in Europa. Quindi la loro produzione inquina (trasporto aereo e su gomma) e sono quasi sempre trattate con pesticidi pericolosi.
Queste riflessioni esplorano una doppia felicità: quella del camminare e quella di creare un balcone o un giardino o un orto resiliente, selvatico, profumato, etico. Si allenta così il confine tra paesaggio e giardino domestico, con il risultato di vivere il proprio spazio dedicato alle piante come un personale contributo per un pianeta più verde. Non per nulla Bertrand Russell scrisse che la persona più felice da lui conosciuta era il suo giardiniere.