Dopo aver parlato delle risorse utili per affrontare al meglio gli asana più difficili per noi nelle ultime lezioni abbiamo iniziato ad analizzare quale è lo scopo dello yoga. Non una semplice pratica fisico-sportiva, ma una grande risorsa anche a livello mentale che può fare la differenza in percorsi di crescita personale e collettiva, aggiungiamo oggi. Praticare yoga ci può aiutare infatti non solo a maturare a livello psico-emotivo nella nostra vita quotidiana, ma a far maturare anche la coscienza collettiva.
How the body changes the mind & Vice Versa
La prima volta che ho sentito, non capito, sentito, che la pratica poteva avere un impatto sociale e che non si trattava solo di praticare per me stessa è stato quando un'amica entusiasta in vacanza mi propone di seguire insieme una lezione un po' speciale online. Dopo il racconto appassionante della vita di un uomo, che sarebbe stato di lì a poche ore l'insegnante con cui avremmo fatto la pratica, non si poteva non provare!
Ed eccoci lì, in un soggiorno vista giardino improvvisamente diventato troppo stretto per due yogine e due tappetini. Eccomi lì a improvvisarmi nella pratica con un perfetto sconosciuto di lingua inglese, dal forte accento scozzese... Aiuto! - penso sulle prime - Capirò? Iniziamo con una serie massacrante di Chaturanga (o posizione del bastone a terra – simil flessione per capirci) che mi sembrano non finire mai. Sul tavolo c'è lo schermo del PC da cui fuoriesce la voce che dopo poco mi conquista come un mantra. Subito entro in uno stato di profondo rilassamento mentale nonostante l'intensità della pratica si faccia sentire sin dall'inizio. L'uomo sullo schermo dalla voce magica è Stewart Gilchrist1. E non smette di parlare. Penso: strano, perché? Perché non lascia un po' spazio al silenzio? Di fatto parla, parla, ma presto mi rendo conto che non sta solo dando le indicazioni per la pratica. All'improvviso capisco che quella voce, proprio come un mantra, ti tiene lì, nel famoso qui e ora, ti inchioda alla pratica. Non puoi distrarti. La ascolti, la segui ed è lei che ti guida proprio dove anche la meditazione sa portarti. Lì dove si fatica ad arrivare, lì dove nella ripetizione degli asana, del respiro cadenzato e del suono da cui ti lasci guidare, inizi finalmente a fluttuare. Ma c'è di più penso, cosa è che sta facendo? Lo sento, ma lo realizzerò solo dopo. Ecco sì, mi sta facendo riflettere. Riflettere su cosa ci faccio lì, perché sto praticando e cosa significa per me yoga. Tutto in una lezione? Lo giuro!
E la sua voce è ancora lì come una sciabola, taglia via di netto tutti i miei dubbi. Mi sento al posto giusto nel momento giusto a fare ciò che mi renderà un individuo migliore, mi dice la voce. Stewart ha questo modo meraviglioso di insegnare che ti spinge a dare il massimo. Non si scampa a tutti i suoi Chaturanga, non si scappa dalla sua voce, dal suo spingerti a fare del tuo meglio, mentre ti sta già instillando il dubbio che potresti fare ancora di più, anche fuori dal tappetino. La pratica si fa dura. Penso di non essere io abbastanza allenata sulle prime. Possibile. Nonostante faccia da tanti anni yoga, la mia non è ancora del tutto una pratica quotidiana. Le vacanze di mezzo mi hanno messo nell'ottica di prendermela con calma, di rilassarmi, di godermi il paesaggio e il viaggio, quindi di fatto sono settimane che pratico, ma in modo meno intenso e costante del solito. È sì, perché lo yoga alla fine, nessuno lo ammette più di tanto, è una pratica altamente disciplinante. Non si tratta di diventare però i migliori atleti sulla piazza, di fare una performance per sentirsi al top delle proprie possibilità fisiche in vista di una gara o di qualche altro obbiettivo. Si tratta semplicemente di fare yoga, di tornare sul tappetino per ricordarci ogni giorno che possiamo essere e dare il meglio di noi stessi.
“La pratica non è performance, è come una preghiera, è meditazione, è qualcosa che fate per gli altri, non è qualcosa che fate per voi stessi” - dice Stewart durante la lezione.
Vogliamo dare il meglio? Pratichiamo. Svuotiamo la mente. Liberiamoci dai condizionamenti, dalle false credenze. Pratichiamo per ricordarci che indipendentemente da tutto quello che accade intorno a noi, dentro, nel più profondo, siamo esseri liberi destinati alla felicità. l'Universo ci vuole felici. Quindi lasciamoci andare, confidiamo in lui, lasciamo il controllo della mente, pratichiamo, meditiamo, impariamo a respirare e capiremo sempre più il potere dello yoga di riconnetterci con la nostra sacralità, di riportarci ad essa, ogni giorno, per non perderci in dubbi e paure, e riconoscerci come esseri unici e perfetti, già qui, già ora. Non abbiamo bisogno di niente di più di questo in realtà. Non abbiamo bisogno di nuove tutine, tappetini, vestiti, gioielli... Abbiamo bisogno di riconnetterci con noi stessi e con la nostra essenza più profonda.
Ma c'è un altro punto chiave in ciò che Stewart insegna e che spiega il perché le sue pratiche siano tanto intense e richiedano un certo grado di amore verso se stessi per accettare lo sforzo fisico richiesto e ascoltare al contempo i limiti che il corpo ci mostra senza superarli facendoci male.
Il motivo per cui il corpo dovrebbe essere forte - ha detto una volta Stewart Gilchrist durante un'intervista - è che puoi essere al servizio delle altre persone. Se il tuo corpo è ragionevolmente sano e in forma, man mano che invecchi ti ritroverai ancora al servizio di altre persone invece che, al contrario, debbano essere loro a prendersi cura di te. È a questo che conduce una classe dura di asana.
Il bello tra l'altro è che la durezza delle pratiche di questo scozzese dal passato anarchico di attivista politico si mischia all'amore profondo che trasmette al contempo, sorridendo dei difetti dei suoi allievi, facendo battute e ridendo durante alcuni passaggi. Incredibile.
E a fine lezione ho capito! Ecco cosa fa Stewart ho pensato. Per via diretta ti mette lì davanti a te stesso. Ti inchioda per farti ragionare. Accelera il processo di comprensione. Cosa ci faccio qui? Perché sto praticando? E cosa significa per me yoga?
Pensieri sotterranei mi chiesero di emergere a gran voce quel giorno. E finalmente smisi di sentirmi “diversa” per tutte le riflessioni che facevo sulla pratica e su come la intendevo io.
Perché, come direbbe Stewart, yoga non è business, non è l'ultima moda, yoga non è fare un asana perfetta, avere un corpo esteticamente perfetto e prestante, yoga non è fare profitti e non è farsi dei selfie. Piuttosto, leggiamo gli insegnamenti dei Maestri che sono profondi, antichi e parlano alla nostra anima perché impari a riunirsi con l'Universo, perché essa impari ad essere Bhakti2, cioè devota, mettendosi al servizio degli altri. Ecco allora è lì il punto, quando arriviamo a capire tutto questo, è lì che torniamo allo yoga originario, siamo nel posto giusto al momento giusto e la nostra vita può finalmente iniziare a fluire anche fuori dal tappetino, perché ci sentiamo parte di un tutto, parte di una collettività, parte del Tutto, e capiamo che ne siamo responsabili. Non si tratta di diventare asceti oggi, l'ascetismo ha fatto il suo corso nella storia dello yoga. Per me almeno oggi, si tratta di imparare da una scienza millenaria qualcosa che la società moderna e i suoi individui, sempre più sofferenti non a caso, hanno perso: il senso del sacro e dell'unità con gli altri e con il tutto.
1 Stewart Gilchrist, laurea in giurisprudenza, ha lavorato per grandi aziende come IBM, ma anche in piccole organizzazioni senza fini di lucro. Ha vissuto da anarchico e squatter gli anni della droga e della musica di Londra, diventando attivista politico. Una notte fatidica cade e si frattura la schiena in diversi punti. Dopo essersi auto-medicato con narcotici illegali, la sua ragazza finisce per convincerlo a provare con lo yoga. Da allora, circa 20 anni fa, la sua vita è cambiata e oggi si dedica ai suoi allievi presso la East London School of Yoga.
2 La parola sanscrita BHAKTI deriva da Bhaj che significa: “essere in adorazione, essere connessi al divino”.