“E i Medici furono della gran gente! Eppure oggi di tutto questo non resta che un certo tono nell’atmosfera, un'evanescente immagine affidata al vento, una vaga espressione nelle cose, una permeabilità passiva a congetture piene di desiderio – o meglio, per essere più chiaro, la definirei forse reattiva solo in modo timido e patetico. Che lo si consideri molto o poco, l’inalterabilità di questa tenace forma dell’esperienza costituisce l’interesse vero che i luoghi antichi suscitano e la ricompensa ultima per l’indagatore meditabondo. Il tempo ha cancellato gli attori e le loro azioni, ma in quei luoghi indugia ancora qualche effetto del loro passaggio. Possiamo creare parchi su suolo vergine e ne possiamo favorire la crescita con le più costose piante d’importazione, ma per fortuna non siamo in grado di diffondere a largo raggio il seme di un'eventuale anima umana del luogo, un'anima che appare in tempi suoi propri e cha ha bisogno di troppo per crescere. Ma quando è apparsa, non esiste nulla che le si possa paragonare”. (1)
In molte occasioni mi è stato utile ricorrere, prima di intraprendere un viaggio o un piccolo tour in Italia, alla lettura di Ore italiane di Henry James, raffinato e attento osservatore della nostra penisola con uno sguardo che va oltre la mera contemplazione del paesaggio nel ruolo di turista, perché scova significati reconditi e si nutre dei luoghi cercandone il significato e il genio ovunque lui soggiorni: da Venezia a Roma, da Assisi a Ravenna, dalle montagne del San Gottardo a Capri.
Il mio ultimo viaggio in Toscana dedicato alla conoscenza dei luoghi di uno dei più importanti e celebri casati italiani, che ha influito sulla storia del paese dal Trecento a tutto il Rinascimento, si è spinto proprio nei suoi siti di origine, cioè quelli di Campiano e di Valdifiorana, nel Mugello. Quest’area ricade a nord di Firenze e oggi comprende i territori comunali di Barberino di Mugello, San Piero a Sieve, Scarperia, Borgo San Lorenzo e Vicchio. Dal XIV al XV secolo la politica dei Medici, nell’acquisizione di terre nell’avito Mugello, subisce un'impennata straordinaria dovuta alla grande prosperità di tutti i rami della casata: da una parte con Averardo de’ Medici con la costruzione della gran villa-fortezza di Cafaggiolo e dall’altra con l’ascesa di Giovanni di Bicci, padre di Cosimo detto poi il Vecchio, che nel 1427 risulta proprietario del Castello del Trebbio di poco lontano da Cafaggiolo.
Il percorso più consono del visitatore, a mio vedere, è quello che parte dal nucleo solitario e mistico in cui forse proprio quei capostipiti, della casata medicea, trovarono la ragione più nobile da cui far partire un illuminato recupero mercantile e araldico di grandi porzioni del proprio originale focolare territoriale: il convento francescano del Bosco ai Frati a poca distanza dalla cittadina di San Piero a Sieve.
L’antichissimo cenobio, francescano dal 1212, dove San Bonaventura ricevette nel 1273 le insegne cardinalizie da papa Gregorio X, sembra essere di proprietà dei Medici da una Cronica francescana datata 1590 “gli anni 1420 in circa il magnifico Cosimo di Giovanni de’ Medici […] comperò dalli Signori Ubaldini, già Padroni dello stato, molte possessioni nel Mugello attorno al Convento di San Francesco al Bosco e divenne patrono di detto convento […] come cosa annessa a detta possessione temporale, quantunque [essendo] cosa spirituale non si potesse vendere" (2). Così dopo la peste del 1348 i Frati dell’Osservanza poterono rientrare nel risanato Bosco nel 1427 grazie al promotore della ricostruzione Cosimo di Giovanni che affermava in una nota al catasto in quell’anno “ancora ò più boscaglie in più luoghi nella selva de’ Frati dal Bosco”. Questo legame tra la casata e i Frati si ravvivò per tramite di Fra Romualdo de’ Medici osservante di San Damiano ad Assisi.
Sembra sintomatico che il padre di Cosimo nello stesso anno rinnovasse, per ribadire il radicamento mugellano della famiglia, il Castello del Trebbio a poca distanza dal convento, avvalendosi dell’opera di Michelozzo Di Bartolomeo Michelozzi (1396-1472), scultore e architetto fiorentino, come fu per la Chiesa e il convento a lui attribuiti dalla tradizione letteraria a partire dal Vasari a metà del ‘500, e anche per molte altre fabbriche medicee quattrocentesce, una fra tutte la Villa di Careggi.
Mi colpisce repentinamente il linguaggio architettonico che connota il convento, prima di tutto le tozze colonne del peristilio dell’originario chiostro e del portico della chiesa (fig. 1) che mi porteranno poi ai semplificati e perfetti pilastri cilindrici sugli “orti” del Trebbio. La fortuna di queste fabbriche è tale che subito il Convento e la chiesa ascendono alle glorie della letteratura artistica ed encomiastica medicea, come ricorda il Filarete nel suo trattato d’architettura (1460) e da Macchiavelli nelle sue Historie al principio del Cinquecento.
Da questo luogo mistico, esemplare per sobrietà, semplicità e bellezza delle forme, racchiuso in un bosco di querce roverelle in un crinale che guarda la Val di Sieve, si scende tra le colline per risalire dalla via Bolognese, la strada statale 65, che collega Firenze a Bologna valicando il Passo del Giogo, e poi inerpicandosi in una strada sterrata tra i boschi misti secolari a leccio, querce e cipressi si raggiungono le due fortezze medicee. Mentre la fortezza di Cafaggiolo era confluita nelle proprietà di Giovanni di Bicci e del figlio Cosimo (il Vecchio) che ne divenne proprietario per la morte del Fratello Lorenzo, al figlio di quest’ultimo, Pierfrancesco, raggiunta la maggiore età sarà attribuito il Trebbio più molte altre possessioni.
Soffermandomi soprattutto sulla posizione del Castello del Trebbio ravviso che i Medici oltre a muoversi in un contesto “politico” di altissimo profilo, tra Venezia Roma e Firenze, sviluppano una vera e propria competizione tra rami della famiglia per realizzare le più belle fabbriche dell’epoca ove la magnificenza e la grandezza apparisse in tutto il suo splendore. Il Trebbio, un'antica costruzione medievale fu adibita a villa di campagna su ordine di Cosimo il Vecchio, che affidò il lavoro a Michelozzo nel 1451. Oltre a 20 poderi con casa, granaio, altre appartenenze, 16 casette e casolari, orti giardini e bruoli, adornano le ville fortezza, cioè dimora “forte”, palagio “difeso”, ove è presente un Rinascimento aurorale, dicono gli storici, fatto “solo” di armonici volumi intonacati, coperti da aerei padiglioni imparentati con le forme dell’Umanesimo quattrocentesco fiorentino. Il castello sorge nella parte più alta della collina a cui si giunge dopo una sfilata di lecci e cipressi secolari; ha l’aspetto chiuso, ma non fortificato come la vicina villa di Cafaggiolo che rimane nella valle vicino al fiume Sieve. L’elemento paesaggistico più rilevante del Trebbio rimane l’originale hortus conclusus e la più antica pergola quattrocentesca in mattone che affaccia sul paesaggio circostante.
Le costruzioni infatti debbono essere dotate, come Cafaggiolo del 1433, di un moderno “verziere”, primo nucleo dei futuri giardini rinascimentali di Cosimo e Lorenzo de’ Medici, oltre alla citazione di “più ortoli per uso della casa”, “fossi, muri e antimuri”. Il giardino posteriore “et orto dirietro”, che si suppone in asse con la fabbrica e geometricamente spartito, sarà frutto del raffinato gusto del figlio di Cosimo, Piero, detto il gottoso. Trenta anni dopo dalla costruzione si presentava quindi nel 1456 come una villa rustica compiuta alla neo-platonica Careggi con il giardino posteriore delimitato da mura e steccato, per poi proseguire nel selvatico sulla collina. Ci vengono in aiuto, per capire la struttura di queste grandi proprietà agricole, le famose lunette di Giusto Utens, pittore belga, raffiguranti tutte le proprietà Medicee da Firenze al Mugello. La serie delle quattordici lunette fu commissionata da Ferdinando I de’ Medici per la sala della Villa di Artimino a testimonianza del patrimonio della corona medicea alla fine del XVI secolo, ed è un esempio di raffigurazione di paesaggio perfettamente corrispondente al gusto del momento. Già nel Quattrocento questo territorio era chiamato il granaio della Repubblica fiorentina per la vocazione agricola, qui “favisi su grande abbondanza di grano e biada e di frutti e d’olio; et simile vi si ricoglie assai vino, gran quantità di legniame e chastagnie, e tanto bestiame, che si crede che fornisca Firenza per la terza parte”.
Il Mugello era per la sua posizione geografica un mercatale per lo scambio delle derrate agricole, grande via di passaggio tra le odierne Toscana e l’Emilia. L’opera medicea di gestione e conservazione del territorio va di pari passo con il nascente concetto di paesaggio poiché l’attenzione si va via via spostando dalla città alla campagna dandole un ruolo non di autonomia ma di grande corredo alla vita urbana, sia per l’economia che se ne ricava, sia per l’allegria e la bellezza che ne fanno un locus amoenus. La campagna diventa essa stessa ornamento delle ville-fortezza, il guardare da lontano i propri possedimenti dalle alture fortificate diventa fonte di coinvolgimento dei sensi e acquisisce significato estetico per puro godimento e apprezzamento. Il paesaggio comincia a prendere forma quando colui che prima ne traeva solo un vantaggio economico prende distanza dal “fare” , dall’attività quotidiana, per diventare acuto estimatore dei propri possedimenti da cui ne trae nutrimento e piacere estetico. In questo contesto la villa è solo parte della proprietà rurale e la parte meno essenziale, meno importante del fondo terriero, agricolo, del paesaggio da cui prende denominazione come avviene per Cafaggiolo, Trebbio, Poggio a Caiano, Castello.
La sintesi ideale tra vita attiva e vita contemplativa, tra otium e negotium, si compie proprio tramite questo processo di acculturamento e gestione degli spazi aperti secondo un ideale di vita colta da condurre in villa anche attraverso l’agricoltura quale elemento educativo e di identità culturale dell’uomo nuovo: l’ideale dell’umanesimo.
Note:
(1) James H., Annotazioni fiorentine in Ore italiane, 2006, Garzanti, Milano, p. 376-377. Resoconti di viaggio dell’autore che soggiornò a lungo in Italia e soprattutto in Toscana tra gli anni Settanta e Ottanta del XIX secolo, e pubblicati in tempi diversi in giornali e riviste per poi confluire nei volumi: Transatlantic Sketches (Boston, 1875), Foreing Parts (Lipsia, 1883). Questo brano rientra tra quelli scritti fra il '73 e il '74.
(2) D. Pulinari, 1590, Ed. Mencherini 1913, p. 356-368.