Italia, pizza, pasta e mandolino è lo stereotipo più tipico dell’Italia. A me piace leggerlo come la descrizione di un Paese che ha il cibo e l’arte come elementi centrali della sua cultura. Tanto è vero che il cibo diventa pietra di paragone per descrivere delle caratteristiche personali.
Al primo posto, come la pizza e il mandolino napoletani, metterei la frase “Si’ ‘nu babbà”, “Sei un babà”, in dialetto partenopeo ma esportato in tutta Italia, a indicare una persona dolce, preziosa, un tesoro, il più grande complimento che un napoletano possa fare. Questo modo di dire è usato anche per descrivere una persona brava nell’eseguire qualcosa di difficile e si estende agli oggetti che funzionano alla perfezione. Il babà è dolce, morbido, umido di rum. Quando affondi la forchetta percepisci subito l’odore dolce dello zucchero e l’aroma del rum, lo porti alla bocca e sulle labbra senti la morbidezza dell’impasto lievitato e imbevuto di bagna, non puoi evitare di apprezzarlo masticandolo lentamente, si fa soffermare a lungo, come volessimo estendere il piacere e farlo durare il più a lungo possibile. Il paragone della persona al babà riporta in mente quella distinzione, scritta da non so più chi e dove, sulla differenza tra “donne asciutte” e “donne umide” nella storia dell’arte; delle prime sono esempi il ritratto di Ginevra de’ Benci di Leonardo, la Ragazza di Profilo del Pollaiolo e, in tempi più recenti, tanti dei ritratti di Modigliani; delle seconde, le donne di Klimt (donna coi capelli rossi) e di Ingres, prime fra queste la Bagnante e la Grande Odalisca. I napoletani sono divertenti e fanno riferimento al babà anche per descrivere una persona sgradevole: “Aje voglia ‘e mettere rumma, ‘nu strunzo n’addiventa maje babbà”, e questo non ha bisogno di traduzione.
In contrasto con la dolcezza e il complimento del paragonare una persona a un babà, c’è il detto siciliano che paragona una persona che si sente importante senza esserlo a un carciofo, a un “cacocciolo”. Questo detto ha due derivazioni, una legata alla coltivazione e una legata alla società. Per la prima, sentirsi “cacocciolo” deriva da quando nelle coltivazioni di carciofi, dopo la raccolta, rimane qualche “testa” che sporge al di sopra delle piante. Per la seconda, si fa riferimento all’allegoria del carciofo per indicare la famiglia mafiosa. Il nome “cosca”, utilizzato per indicare una banda/famiglia di mafiosi, deriva dal termine omonimo siciliano che indica una foglia di carciofo. Le cosche formano varie cerchie, quelle più esterne proteggono dalla vista quelle più interne, come nella cosca mafiosa i veri capi sono tenuti coperti, segreti, dai delinquenti di ordine basso. Il delinquente di strada, quello che va a riscuotere il pizzo, per esempio, è quello che finisce spesso in prigione, visibile dalla società ma con loro visione limitata dell’organizzazione. Via via che ci si inoltra verso l’interno, le cerchie, come i gironi dell’Inferno dantesco, nel carciofo come in Cosa Nostra, sono costituite da sempre meno foglie fino a quando non si arriva al cuore, segretissimo, la cui conoscenza e visibilità è ristretta a pochissime persone.
Rimanendo nell’ambito vegetale, molti sono quelli che vengono usati in paragoni con l’essere umano. Il prezzemolo, per esempio, ha una doppia valenza e indica sia una persona che è dappertutto, onnipresente in situazioni e luoghi diversi, sia una persona che si intromette in tutto. Valenza ancora diversa è essere paragonato al prezzemolo nelle polpette a significare di essere ininfluente e insignificante così come il sapore forte dell’impasto delle polpette non viene modificato dall’aggiunta di prezzemolo. Ne leggiamo testimonianza anche nell’ottocentesco dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo che scrive: “Gli è come il prezzemolo nella polpetta, cosa o persona di più, che a levarla non guasta”. A proposito di polpetta, anche questa è oggetto di riferimento. Oltre al significato di segnare dei gol nelle partite, polpetta è anche sinonimo di sgridata o rabbuffo mentre fare polpette di una persona significa distruggerla. Dalla polpetta al polpettone il passo è breve. Come pietanza, il polpettone è una grande polpetta, di forma oblunga, ed è composto dagli stessi ingredienti arricchiti talvolta da farcitura con verdure, formaggio e uova sode. Quando è riferito a una persona, ma anche a un’opera come un film o un libro, il polpettone smette di essere pietanza prelibata e diventa sinonimo di pesantezza e noia, forse alludendo a una presunta difficoltà di digestione di questo piatto.
A proposito di noia entra in ballo la pizza con l’esclamazione “Che pizza!”, quando ci si trova davanti ad argomentazione lunga e noiosa, anche se riferito soprattutto a una cosa, l’esclamazione è usata anche, di rado, per le persone. Probabilmente questo modo di dire, come sostengono anche all’Accademia Pizzaioli di Gruaro, in provincia di Venezia, deriva dal fatto che la pizza, a causa di una lievitazione troppo breve o all’uso di ingredienti di scarsa qualità a volte risulta difficile da digerire, causando gonfiore e molta sete.
Resta come un baccalà o uno stoccafisso, cioè il merluzzo essiccato, chi è basito e incapace di agire. Questa espressione allude chiaramente alla estrema rigidità del pesce il cui nome stoccafisso deriva probabilmente dal norvegese stokkfisk o dall’olandese stocvisch e che significano entrambi pesce bastone.
È testardo e ostinato chi, come si dice a Catania, è “cchiù duru ro’ puppu”, cioè più duro del polpo, modo di dire che trae le sue origini da una consuetudine dei pescatori: arrivati a riva, mordono il polpo in testa per dargli una morte veloce e meno dolorosa e lo sbattono ripetutamente contro gli scogli per rendere la sua carne più tenera. Rimedio efficace perché consente di rompere le fibre molto tenaci del mollusco. Quindi essere più duri del polpo significa avere la testa così dura che non si romperebbe neanche sbattendo contro gli scogli. Ma un uomo viene anche chiamato polpo quando ha le mani lunghe e mette le mani addosso a una donna, probabilmente si fa riferimento ai lunghi tentacoli del mollusco che si avvinghiano e circondano.
Finiamo questa prima carrellata di modi di dire legati al cibo con un altro mollusco, la cozza. Una donna brutta o appiccicosa è definita una cozza. La seconda caratteristica in quanto la cozza quando si attacca a uno scoglio o a un pilone è difficile da spiccicare. Per quanto riguarda la bruttezza alcuni sostengono che il paragone sia con la conchiglia che non ha le venature e le forme di vongole o chiocciole, altri sostengono che il paragone è con l’interno, altri ancora lo legano al fatto che la cozza è un filtro naturale dell’acqua marina e quindi il riferimento al loro contenere elementi inquinanti. Un paragone della donna con un altro cibo caratterizza le belle, ma di questo scriverò nel prossimo articolo.