Si potrebbe dire che fu quasi una scommessa. Sicuramente fu un'avventura, iniziata con pessimi auspici. Non solo perché la secolare torre civica di Pavia, che neanche pendeva, era appena caduta rovinosamente senza preavviso, uccidendo quattro persone. Ma anche perché alcuni semplici numeri facevano inorridire, se non altro i più superstiziosi. Quella che nel 1990 si apprestava a 'curare' la Torre di Pisa era infatti la XVII commissione, oltretutto composta da 13 membri. Così, quando il famoso campanile venne chiuso al pubblico perché ormai in pericolo a causa del suo continuo scendere, non mancarono gli scongiuri. Per la verità gli stessi esperti del comitato avrebbero preferito numeri più propizi per dare il via ad una sfida che presentava molti interrogativi. Primo tra tutti riuscire a individuare la misteriosa malattia del campanile pisano. E poi trovare una strategia comune di intervento tra ingegneri e storici dell'arte: cosa per niente scontata.
Quella elegante 'signora' dal ragguardevole peso di 14.453 tonnellate ormai pendeva ben 5 metri e 21 centimetri mentre i 32.400 blocchi di pietra di cui è vestita erano 'cotti' dai venti, erosi dall'escursione termica e dallo sforzo immane che da alcuni secoli sopportavano per sorreggerla. A preoccupare ancora di più c'erano i suoi 'piedi' piccoli e debolissimi appoggiati su un terreno ancora più debole e instabile.
Insomma, il gigante appariva fragilissimo, forse poteva ancora resistere alcuni anni, ma certamente non altri secoli. Per questo il comitato dei 13 saggi al suo capezzale fu subito estremamente prudente. La tecnica non mancava di espedienti, ma l'applicazione ad una ammalata così affascinante e delicata era quasi da incubo, anche perché nessuno, neanche gli ingegneri, voleva dotarla di stampelle o busti permanenti. Lei, la Torre per antonomasia, doveva restare com' era: finalmente 'risanata' dalla sua malattia ma identica a sempre, con quel 'difettuccio' che l'aveva resa diversamente bella e per questo cara al mondo intero. Impresa titanica, quasi disperata. Da quel momento trascorsero 3 presidenti della Repubblica e 8 presidenti del consiglio. Ma lo sgomento fu pari all'audacia e dopo tanti sospiri, allarmi e colpi di scena la Torre ci appare oggi ringiovanita di secoli, sempre pendente, ma mezzo metro di meno.
Anche adesso, venti anni dopo la cura, non soltanto è stabile, ma incredibilmente continua il suo cammino all'indietro.
Dopo l'intervento di sottoescavazione si muove ancora e non cessa di raddrizzarsi, sia pure impercettibilmente. Tra 20-30 anni potremo capire se si fermerà o se tornerà a scendere come ha sempre fatto nei secoli passati. Ma se dovesse ricominciare a muoversi verso Sud gli ci vorrebbero almeno 400 anni prima di raggiungere l'inclinazione precedente.
Il professor Carlo Viggiani, ingegnere geotecnico, tra i tredici componenti della scaramanticamente deprecata diciassettesima commissione, oggi ci parla di numeri ben più favorevoli. E non riesce più a nascondere la sua passione. “Mi sono innamorato della Torre di Pisa quando avevo 25 anni ed è un amore che non mi ha mai lasciato”, confessa. “Solo che ormai siamo certi che lei vivrà ben più di me”. Proprio per questa sua ritrovata longevità il campanile della piazza dei Miracoli è stato la star dell'incontro sulle Cattedrali Europee, svolto a Pisa quasi venti anni dopo l'insperata 'guarigione'. Un traguardo celebrato da esponenti del mondo tecnico, scientifico e artistico di tutto il pianeta, compreso l'ingegner Michele Jamiolkowski, che di quella commissione fu il coordinatore, la guida e l'anima.
Certo, non tutto andò sempre liscio nei lunghi anni di ricerche e interventi. Come quando si decise di ancorare la Torre a 45 metri di profondità con dieci pesi di acciaio che avrebbero dovuto essere cementati nelle sabbie inferiori, vale a dire il punto in cui il sottosuolo argilloso su cui si innalza il monumento diventa più stabile. Abituata a galleggiare su un terreno altalenante, l'ammalata infatti non gradì e in una sola notte, quella tra l'8 e il 9 settembre 1995, aumentò decisamente l'inclinazione. La paura fu tanta. Così tanta che ruspe e gru furono collocate durante la stessa notte nella porzione di prato opposta a quella dei lavori, in modo da controbilanciare il carico e ristabilire il già precario equilibrio.
L'episodio fu archiviato come il 'Settembre nero' e segnò una dura sconfitta. Ma non ci si perse d'animo. Ormai tutti sappiamo che la sfida fu vinta qualche anno dopo grazie ad una quarantina di trivelle, cavatappi giganti che molto lentamente scendevano nel sottosuolo dalla parte Nord del campanile, quella cosiddetta sovrapendenza, togliendo gradatamente fino a 100 chili al giorno di terra, per un totale di 76 tonnellate. Così la Torre veniva 'esortata' a scendere: lei accettò l'invito fino a diminuire la sua pendenza del dieci per cento, senza per questo mutare la sua caratteristica di 'eterna ammalata'.
Ciò che invece non sapevamo è che un aiuto insperato arrivò dal lontano Bangladesh. Chumki Baban, una bambina di 9 anni, inviò un suo disegno in cui decine di persone con un cesto sulle spalle andavano su e giù per una scala che si inoltrava sotto la Torre, togliendo la terra necessaria per abbassare la parte della base che si era alzata troppo provocando l'inclinazione. I bambini hanno sempre amato quella vecchia 'signora' un po' 'squilibrata' e così diversa da tutti gli altri campanili, tanto che l'Opera della Primaziale, l'Istituzione metà laica e metà ecclesiastica proprietaria della piazza e dei suoi monumenti, riceve da sempre idee e consigli dai più piccoli di tutto il mondo. Sono i progetti della fantasia e dell'affetto impressi in disegni originali, buffi, spesso ingegnosi. A Chumki non mancava certo la fantasia, ma nemmeno il senso pratico e la concretezza. Il professor Viggiani, mostrando il suo disegno all'incontro sulle Cattedrali Europee, in fondo ha ammesso che quell'ingenuo suggerimento fu una sorta di lampadina accesa, quasi un cartello indicatore sulla strada vincente della sottoescavazione.
Tutto si è fatto per salvare la Torre. Compresa un'impalcatura mobile e sospesa, realizzata con le leghe ultraleggere usate per le biciclette da corsa e montata da esperti alpinisti, abituati a scalate e strapiombi. Serviva ai restauratori dell'Istituto Superiore Centrale per il Restauro, che sotto l'occhio attento della direttrice Gisella Capponi hanno pulito e consolidato le pietre una ad una con un 'lifting' durato altri 10 anni dopo il parziale raddrizzamento.
Certo, il misterioso autore del monumento forse più fotografato al mondo non si sarebbe mai aspettato tante attenzioni. Né tanta celebrità. Infatti, non volle 'firmare' quel campanile nato male e nessuno nei secoli è mai riuscito a scoprire chi lo abbia progettato. Erano i tempi di massimo fulgore della Repubblica di Pisa, stato indipendente e importante Repubblica Marinara. E quella Torre che cresceva storta non era un vanto per chi voleva dimostrare potenza e ricchezza a tutti i popoli. Ma neanche i pisani del tempo si sgomentarono e continuarono ad arricchire l'intera piazza di tesori, comprese le prede di guerra che arrivavano dalle spedizioni militari in terre lontane.
Così un enorme grifone di bronzo, tra le più grandi sculture islamiche medievali, segno di vittoria contro i Musulmani, venne issato sul tetto del Duomo come simbolo di forza e di supremazia. Ha il corpo di un leone e la testa e le ali di un'aquila. “Proprio questo grifone diventa il simbolo della natura di Cristo, metà uomo e metà Dio”, racconta Marco Collareta, docente di Storia dell'Arte Medievale all'università di Pisa. “I pisani combattono le Crociate, ma prendono il buono dappertutto e lo portano nella loro città”. Il grifone, insieme a un bacile bronzeo con iscrizioni e a un prezioso cofanetto in osso, anch' essi arrivati d'oltremare, sono oggi custoditi nel Museo dell'Opera del Duomo, antico edificio in un angolo della piazza dei Miracoli, con inconsueta vista Torre. Più che museo dovremmo però chiamarlo teatro perché il restauro appena concluso lo ha trasformato in un grande palcoscenico in cui si racconta non solo la storia di uno dei complessi architettonici e artistici più emozionanti del pianeta, ma anche di incontri tra culture che hanno accompagnato la crescita dell'Occidente.
La porta bronzea di Bonanno, fusa per il Duomo, dove oggi è sostituita da una copia, propone nelle sue formelle le storie sacre di Cristo e della Vergine Maria. Un capolavoro della scultura europea del XII secolo, agli albori della cristianità. Così come il rotolo di pergamena dell'XI secolo, dove il testo dell'inno cantato dal sacerdote è intervallato da miniature che lo illustrano. E ancora escono dalle quinte la corona e il globo in argento fuso, inciso e dorato, insegne funerarie dell'imperatore Enrico VII, raccontando una storia laica, quella della 'battaglia' tra Guelfi e Ghibellini che l'imperatore avrebbe voluto pacificare e che invece lo vide sconfitto da un'infezione che lo portò a morte a Buonconvento mentre era in viaggio verso Siena. Il suo corpo è sepolto nella Cattedrale di Pisa dove venne trasportato secondo la sua volontà. Un popolo di pietra ci segue poi in tutto il percorso museale. Sono 'attori' usciti dalle mani di Giovanni, Nicola, Andrea e Nino Pisano, esponenti fondamentali della grande scultura gotica che adornarono il complesso monumentale della piazza dei Miracoli con le loro opere.
Mentre tutto questo accadeva e mentre l'intero Occidente vedeva nascere chiese di candidi marmi, la Torre, in quella stessa piazza, continuava a crescere. Storta. Ci vollero due secoli per portarla a compimento tra continue interruzioni e tentativi di raddrizzarla. Eppure, nonostante il suo 'male oscuro', ha sfidato i secoli, le guerre e i terremoti. Diventando un cult. Del resto già negli anni Trenta, prima - molto prima - della 'cura', Mario Latilla cantava così: “Evviva la Torre di Pisa che pende, che pende ma mai non cadrà”.