Multiculturale, cooperativa, proattiva.
La nuova collezione Spring Summer 2020 della stilista italo-haitiana Stella Jean celebra la collaborazione con la realtà dell’Emerging Pakistan, in particolare con la comunità Kalash, una valle isolata a 2000 metri di altezza, nel distretto di Chitral, presso il confine con l’Afghanistan.
Da anni il suo lavoro si concentra su uno standard multiculturale applicato alla moda, uno scambio di competenze e tradizioni. Ogni sua collezione è, infatti, il risultato della costruzione di un ponte culturale tra la tradizione del design italiano e quella degli artigiani di un paese in via di sviluppo.
Abbiamo incontrato Stella durante la Milano Fashion Week e le abbiamo chiesto di raccontarci come nasce questo progetto: “Uso la moda come strumento per combattere qualsiasi segregazione culturale, sono il risultato di una famiglia multirazziale, essendo figlia di papà torinese e mamma haitiana e ho sempre dovuto lottare per essere così diversa dai miei simili cittadini. Alla fine, ho trovato un modo, la moda, per mostrare alle persone di non aver paura delle diverse culture e colori, ma invece di vederli come opportunità per crescere meglio, insieme”.
Per la prima volta nella storia le donne Kalash hanno ricamato a mano i loro motivi tradizionali per un pubblico internazionale, attraverso il progetto “Laboratorio delle Nazioni”, modello di business e laboratorio di sviluppo sostenibile per i Paesi in via di sviluppo e a basso reddito.
L’obiettivo di Stella è, infatti, quello di rafforzare la determinazione di questa comunità, preservandone la sua tradizione e al contempo accedere al mercato globale, aiutando a costruire in tal modo la propria autonomia economica. Grazie a uno speciale accordo che consente la vendita di prodotti etici, per la prima volta i meravigliosi ricami delle donne Kalash sono stati portati fuori dal loro villaggio e successivamente incorporati ai capi della Capsule Collection dagli artigiani laziali.
Abbiamo chiesto alla stilista se ha trovato delle similarità tra lei e le donne Kalash e quali sono i valori che ha appreso: “L’elemento della loro cultura che mi ha colpito di più è stata la generosità e in secondo luogo la loro concezione del tempo, decisamente libero dagli elementi che nella nostra realtà occidentale siamo abituati a considerare essenziali. Come me, prendono sul serio il loro lavoro e con un sorriso sulle labbra, tra le trame di motivi floreali, mascherano in modo colorato la fatica della vita di tutti i giorni. Scelgono autonomamente per la propria vita e vedrai sempre dei bambini intorno a loro mentre lavorano, cucinano, parlando tra loro. In questo contesto ogni bambino diventa il figlio - figlia di ogni donna, madre - custode di tutta la comunità. Provi una sensazione piacevole e una sorta di sensazione primordiale tutta in una volta”.
In passerella hanno sfilato capi in seta, con calde tonalità pastello ispirati alla caleidoscopica arte regionale pakistana TRUCK ART, dipinta a totale decorazione dei bus locali, che unisce al tocco artigianale dei pittori che li realizzano, un’interpretazione ironica della attualità e il racconto per immagini della storia del Pakistan.
Come ogni artista ha una sua musa che si rispetti, abbiamo chiesto a Stella la sua fonte di ispirazione per questa collezione: “Le mie muse sono piuttosto non convenzionali, una delle più significative è per me la pacifista guatelmateca Rigoberta Menchù. Quando ero un adolescente, avevo alcune delle sue foto e dei suoi articoli nell'agenda della mia scuola e nella mia camera. Lei ha sempre combattuto senza altri strumenti oltre alla sua mente, alla sua educazione e anche, oserei dire, ai suoi vestiti. Ha sempre preso a cuore il suo Paese, ovunque sia stata in tutto il mondo per difenderlo e promuoverlo, lo ha sempre fatto indossando i suoi abiti tradizionali come una bandiera, con orgoglio, indirettamente mi ha insegnato il senso della moda, oltre l'estetica. Sto ancora aspettando da lei una risposta: Ms Menchù se sta leggendo questo articolo, mi risponda per favore!”.