Le astrazioni simboliche sono capacità di alto livello che gli uomini e gli animali posseggono e estrinsecano, per esempio, di fronte a situazioni tragiche come la morte in cui è coinvolta anche la coscienza di sé. Senza coscienza, noi esseri umani non potremmo avere, ma nemmeno gli animali, il senso della vita e quello della morte e distinguere l'una dall'altra. Senza coscienza non potremmo dare un senso alla nostra esistenza. Senza coscienza saremmo come degli zombi e così sarebbero anche molti animali, soprattutto quelli che hanno un sistema nervoso centrale molto evoluto e simile al nostro.
Dunque, ora la domanda è se gli animali, scimmie in particolare, posseggano il senso della morte o della perdita per qualcuno cui erano particolarmente e affettivamente legati, in sostanza se ne siano coscienti, anche se, a dire il vero, è sull'affettività che dovremmo concentrarci per capirlo.
Il vocabolario umano per descrivere un sentimento così complesso, come quello della morte, per esempio, le parole che si usano in queste circostanze, per la perdita di una persona cara, per esprimere il proprio dolore, non è definito e nemmeno universale. È diverso da cultura a cultura, da Nord a Sud, da Est a Ovest del mondo. Ora, però, che è tutto globalizzato, anche il senso della morte si è globalizzato, si piange e si commemora il caro estinto, più o meno, allo stesso modo. Un tempo non era così. Nelle società nordiche e anglicane ai funerali si piangeva di meno rispetto al sud del mondo.
I funerali come un tempo, in pratica, non si fanno più. Poi, nelle culture anglosassoni era, lo è tuttora, anzi più di prima, molto diffusa la cremazione e quindi con questo procedimento si troncava istantaneamente il contatto dei parenti più stretti con il morto. Non c'era nemmeno il tempo per interiorizzarne la perdita. La persona deceduta veniva praticamente portata dall'ospedale alla cremazione, spesso senza la benedizione di un prete cattolico o anglicano che fosse, senza niente: un sistema perfetto, quasi virtuale, che cancellava la morte; la morte diveniva un evento del quale solo il morto avrebbe dovuto essere interessato e naturalmente non poteva esserlo perché era già morto.
Questo è stato il trionfo del cinismo burocratico dell’uomo! Le cerimonie mortuarie di un tempo non si fanno più, a parte qualche rara eccezione, con l’estrema unzione, l’esposizione del morto al pubblico nella camera mortuaria, l’ultimo accompagno, i fiori, le ghirlande, la messa, la tumulazione e la benedizione, tra l’altro il tutto a caro prezzo per i parenti e gli eredi! Si fa senza badare alle spese quando l'estinto in vita aveva un ruolo importante nella società o era molto famoso: cantanti e attori celebri, capi di Stato, eroi nazionali, campioni dello sport, finanzieri d'alto bordo e persino potenti mafiosi. In questi casi, il funerale diventa uno spettacolo, un evento cui bisogna assistere, in cui a ricordare l’estinto intervengono persone importanti con dei discorsi, con delle belle parole e applausi degli astanti, persino in chiesa. Un tempo sarebbe stata blasfemia applaudire in chiesa!
Fino a qualche generazione fa, nel nostro paese, in Italia, soprattutto quella del Sud, ai funerali erano chiamate delle “commedianti” a pagamento che ritualizzavano la cerimonia, non solo con preghiere estenuanti in un latino incomprensibile, ma con pianti, strazi e urla a comando. Il tutto faceva parte del rito che molto spesso era considerato superato, ma che, in realtà, evidenziava un attaccamento molto forte dei parenti verso la persona morta.
Tutti abbiamo vissuto queste esperienze e non sono necessarie tante parole per descriverle. Capiamo la sofferenza di una madre che perde un figlio, soprattutto quando è ancora in tenera età e aveva davanti a sé un futuro e molte speranze.
Ora, la domanda che dobbiamo porci è: gli animali, di fronte alla morte, provano gli stessi sentimenti?
Ciò di cui siamo certi è che le scimmie sono molto simili, geneticamente, morfologicamente e psicologicamente all'uomo, più di qualsiasi altro animale. Condividono con noi un'alta percentuale del patrimonio genetico. L’uomo con gli scimpanzé comuni (Pan troglodytes), ne ha in comune più del 98%, che è una percentuale altissima, un’affinità importante, che non si deve assolutamente sottovalutare. Inoltre, l’uomo, con le scimmie, ha in comune molte funzioni psicologiche (sensazioni, emozioni, motivazioni, eccetera) e predisposizioni genetiche, tutte qualità che abbiamo sempre pensato che fossero esclusivamente umane. Lo abbiamo sempre creduto perché abbiamo avuto sempre la convinzione che noi esseri umani siamo sempre stati, anche oggi pensiamo che sia così, al centro dell'Universo e che il resto del mondo animale fosse inferiore e che con esso avremmo potuto fare qualsiasi cosa: servircene, abusarne o, peggio ancora, farlo sparire dalla Terra. Tutti gli animali sono ancora legalmente consideratati e trattati come se fossero degli oggetti e non esseri viventi, senzienti e pensanti.
Tornando al comportamento di attaccamento dobbiamo dire che è fondamentale per comprendere il senso della morte o del distacco. È certamente vero per l'uomo, ma le cure e le attenzioni materne negli animali sono importanti ed essenziali quanto nell'uomo, anche se negli animali le abbiamo sempre ritenute istintive e prive di qualsiasi sentimento materno. La realtà è che i moduli comportamentali che caratterizzano le cure materne negli animali, scimmie in particolare, sono come quelli umani: vicinanza, cura, svezzamento, protezione, allattamento, eccetera, ma è soprattutto il contatto fisico del figlio al ventre materno nelle prime fasi di accrescimento della prole, che è fondamentale per un attaccamento adeguato il cui scopo principale è la conservazione della prole. Osservando le scimmie, che cosa c'è di diverso da quello che vediamo in una relazione madre-figlio nell'uomo? In pratica, niente.
Il contatto fisico del piccolo alla madre, il sentirsi fisicamente e materialmente alla portata della figura materna, quindi non di un individuo qualsiasi, ma di qualcuno da cui si è presi in cura, è un bisogno fondamentale della prole. La necessità del piccolo di avere accanto la madre o di chi ne fa le veci, è un'esigenza tanto importante quanto lo è il bisogno del cibo o di qualsiasi altra forma di sostegno materiale.
Nel caso di piccoli animali, non solo di scimmie, ma di tutti i mammiferi che crescono in condizioni di libertà, questa necessità consiste anche nel sentirsi protetti dai predatori e soprattutto dall'uomo che è sempre il più pericoloso tra tutti i predatori: non ha zanne, non ha artigli, ma spesso è munito di un mezzo che è il più pericoloso di tutti, il fucile.
In sostanza, il comportamento di attaccamento è tanto più efficace (dal punto di vista della maturazione del senso di sicurezza della prole) quanto più il piccolo manifesta la propria competenza e acquisisce la certezza di essere aiutato dalla madre nei casi in cui lo richieda, soprattutto nei momenti di pericolo, di tensione sociale e di baruffe violente tra i membri del gruppo. Se esistono queste condizioni, il piccolo si sente più tranquillo e rilassato, sia nell'esplorazione dell'ambiente, sia nel contattare gli altri membri del gruppo, soprattutto i coetanei con cui giocare, almeno fino alla maturità sessuale, perché da quel momento in poi, le cose potrebbero cambiare e di molto.
Però l'attaccamento non dipende solo dal ruolo materno, ma anche dai legami di parentela che i piccoli hanno con altri individui del gruppo, in primo luogo con le nonne, le zie, le sorelle, più piccole o più grandi che siano e con le cugine, nel rispetto di una genealogia principalmente femminile, almeno nelle prime fasi della loro crescita. Poi, con l’età, le cose cambiano, anche in funzione del ruolo sociale che le mamme e i parenti più stretti rivestono nel gruppo e del sesso di appartenenza della prole stessa, soprattutto dopo la maturità sessuale.
Un figlio maschio nato da una femmina dominante avrà molte possibilità di diventare da adulto un individuo dominante. Se si tratta sempre di un maschio, ma figlio di una mamma sottomessa, quasi certamente, con la maturità sessuale, verrà allontanato dal centro del gruppo, soprattutto nel caso in cui si trovi in una struttura sociale ad harem.
Nel caso di una femmina, indipendentemente che sia figlia di una mamma dominante o sottomessa, rimarrà, una volta divenuta sessualmente matura, al centro del gruppo e con un ruolo sociale molto simile a quello materno.
Nelle scimmie, le scalate sociali sono improbabili. Ci sono alcuni individui che si ribellano a queste regole, ma in circostanze molto rare. Nelle scimmie rhesus si sono osservati dei casi in cui alcune mamme, sottomesse o dominanti che fossero state, dopo aver partorito dei figli maschi o femmine con handicap motori, malformazioni o malattie ereditarie, secondo le regole del gruppo, dovevano essere abbandonati o allontanati, quindi predestinati alla morte, se non sopraffatti o uccisi sul momento dai leader. In questa specie, si sono viste delle mamme lottare fino allo stremo delle forze per mantenere nel gruppo la propria prole con handicap e anche per inserirla nel migliore dei modi nella società, a meno che le malformazioni non fossero talmente gravi da farle, prima o poi, desistere. Purtroppo, come sappiamo, queste sono regole, che non valgono solo per le scimmie, molto spesso sono valse anche per l'uomo. In un nostro non lontano passato, era così.
Un’antica leggenda, ma tutte le leggende nascondono un pizzico di verità, racconta che sul Monte Taigeto venivano abbandonati i bambini spartani nati deformi. Esisteva addirittura una commissione apposita che decideva se questi bambini costituissero un vero pericolo per la società. Il punto, però, è che la carica affettiva materna verso la prole, comunque sia (sana o malata), ma anche della prole verso la mamma, comunque sia (bella, brutta, grassa o deforme), non si cancella in un istante. Si mantiene nel tempo, spesso per sempre. Per entrambi resterà un sentimento di forte attaccamento che può andare oltre la morte. È quello che noi esseri umani chiamiamo “amore” filiale e amore materno. Questo vale anche per un animale. Solo se esiste questo sentimento si prova un doloroso senso del distacco per qualcuno cui si era affettivamente legati, altrimenti no.