Oggi mi siedo nello stesso posto
Dove altri sedettero in passato.
Fra mille anni altri ancora verranno.
Chi è che intona il canto, e chi l’ascolta?..(Nguyen Cong Tru)
Thich Nhat Hanh è monaco zen da oltre cinquant’anni. Nato in Vietnam nel 1926, fin da giovane promuove il Dharma, la Legge Universale naturale, come strumento per portare pace, riconciliazione e fratellanza nel mondo. La sua vita è ricca, ma bastano alcuni episodi per farne una delle figure più rappresentative del buddhismo nel mondo.
Nel 1967, mentre si trova negli Stati Uniti, incontra Martin Luther King, il quale, commosso dal messaggio di pace del giovane monaco, lo propone per il Nobel per la pace.
Intanto Thich Nhat Hanh prende pubblicamente posizione contro la guerra in Vietnam.
Dopo aver promosso la Delegazione di Pace Buddhista, che partecipa alle trattative di pace di Parigi, a seguito della firma degli accordi, si vede rifiutare il permesso di rientrare nel suo Paese.
Si stabilisce, quindi, in Francia, dove, nel 1982, fonda Plum Village, comunità di monaci e laici vicino a Bordeaux, nella quale tuttora vive e insegna l’arte di vivere in “consapevolezza”.
Solo nel gennaio del 2005, dopo 39 anni di esilio, su invito ufficiale del governo vietnamita, fa ritorno per tre mesi in Vietnam. Nel 2008, fonda in Germania l’Istituto Europeo di Buddhismo Applicato, in cui la visione del Buddhismo Impegnato si approfondisce e integra lo studio dei testi con la loro immediata applicazione alla vita quotidiana. Ai suoi ritiri, da lui tenuti in molti Paesi del mondo, Italia compresa, partecipano ogni anno migliaia di persone di tutte le condizioni sociali, e i suoi numerosi libri di poesie, meditazioni e preghiere sono stati tradotti in molte lingue.
I suoi studenti lo chiamano amorevolmente Thay, “maestro”. I suoi scritti sono favolosi, semplici e intellegibili ma illuminanti. Da tempo mi sono avventurata nella lettura, sono tanti, sono belli, sono profondi. In Italia sono per la maggior parte editi da un editore romano, Ubaldini Editore, piccoli volumi dalla copertina azzurra che ricorda la carta da zucchero. In tutti si viene guidati nell’apprendimento di come trasformare ogni atto della vita quotidiana in un’esperienza gioiosa, totale, avvolgente e illuminante.
Il miracolo della presenza mentale, ad esempio, nasce come una lunga lettera in vietnamita al fratello Quang che, nel 1974, era fra i responsabili della School of Youth for Social Service nel Vietnam del Sud, fondata, negli anni ’60, come applicazione concreta del Buddhismo Impegnato, quel genere di saggezza che dà una risposta a ogni cosa che accade qui e ora: dai cambiamenti climatici e la distruzione dell’ecosistema, alla mancanza di comunicazione, al fanatismo e all’intolleranza, dalle guerre alle famiglie spezzate, alle tensioni personali, con i loro corollari di stress, ansie e violenze.
Allora lavare i piatti significa lavarli solo per lavarli, non per pensare alla tazza da tè che arriverà in seguito. Se mentre beviamo la nostra tazza di tè pensiamo ad altre cose, accorgendoci a stento della stessa tazza che teniamo fra le mani, ci facciamo risucchiare dal futuro, incapaci di vivere il presente. Il Sutra1 della presenza mentale, quindi, dice: “Quando cammina, il praticante dev’essere consapevole di camminare. Quando è seduto, il praticante dev’essere consapevole di stare seduto. Quando giace, il praticante dev’essere consapevole di giacere… qualunque posizione assuma il corpo il praticante dev’essere consapevole. In tal modo vive in diretta e costante presenza mentale del corpo…”. Bisogna anche essere coscienti di ogni respiro, di ogni movimento, di ogni pensiero e sensazione, di tutto quanto ci riguarda in un modo o nell’altro.
Bisogna praticare nella vita quotidiana e non solo durante le sedute di meditazione.
Si può praticare la presenza mentale percorrendo il sentiero che porta a un villaggio, camminando lungo un viottolo sterrato, lungo i fianchi di colline e montagne. Ma anche per i vicoli delle città. “Mi piace camminare da solo - scrive Thich Nhat Hanh - per i viottoli di campagna, fra piante di riso ed erbe selvatiche, poggiando un piede dopo l’altro con attenzione, consapevole di camminare su questa terra meravigliosa. In quei momenti, l’esistenza è qualcosa di prodigioso e misterioso. Di solito si pensa che sia un miracolo camminare sull’acqua o nell’aria. Io credo invece che il vero miracolo non sia camminare sull’acqua o nell’aria, ma camminare sulla terra. Ogni giorno siamo partecipi di un miracolo di cui nemmeno ci accorgiamo: l’azzurro del cielo, le nuvole bianche, le foglie verdi, gli occhi neri e curiosi di un bambino, i nostri stessi occhi. Tutto è un miracolo”.
Ma siamo attivi, abbiamo tante cose da fare e cui pensare, come si fa ad avere il tempo per passeggiare e contemplare? Cosa per pochi eletti, direbbero alcuni. Basta concentrarsi su quello che si sta facendo, pensare solo a quello, al qui e ora, al presente, essere padroni di sé stessi senza lasciare mano libera a impazienza e collera. Portare l’attenzione sul respiro. Quante volte di fronte a un momento difficile si pensa, ecco, mi fermo e respiro. Proprio quello. La presenza mentale è al tempo stesso un mezzo e un fine, il seme e il frutto. Quando la pratichiamo per sviluppare la concentrazione, la presenza mentale è un seme. Ma è di per sé la vita della consapevolezza e, quindi, è anche frutto. Essa ci libera dalla distrazione e dalla dispersione e ci consente di vivere pienamente ogni istante. Il respiro corretto aiuta in tutto questo, il ponte che connette la vita alla coscienza, che unisce il corpo ai pensieri. Ogni volta che la mente si perde, il respiro la riporta indietro. Respirare sempre, inspirare ed espirare. E ancora inspirare ed espirare. Che meraviglia di equilibrio ritrovato. Basta provare.
Chi sa respirare, si dice, dispone di una riserva inesauribile di vitalità: la respirazione tonifica i polmoni, rinforza il sangue, rivitalizza tutti gli organi del corpo. Si dice anche che respirare bene è più importante che mangiare. Il respiro è uno strumento, esso è già presenza mentale. Questa deve accompagnare oggi atto quotidiano, e ogni atto è un rito. Dove la parola “rito”, nella sua forza e solennità, viene usata per far comprendere l’importanza capitale della consapevolezza. Da praticare ogni giorno, senza divagare. Vivendo il momento presente, senza attaccarsi al futuro, senza preoccuparsi degli impegni che ci aspettano, senza pensare ad alzarsi e a correre via per fare qualcosa. Solo il presente è vita. Carpe diem, avrebbero detto i latini. Non pensiamo solo a “partire”...
Conserviamo sempre un sorriso. Magari con un poco di silenzio dentro e fuori di noi.
Sii un germoglio in silenziosa attesa sulla siepe.
Sii un sorriso, frammento del miracolo della vita.
Rimani qui. Non c’è bisogno di partire.
Questa terra è bella come la terra della nostra infanzia.
Non farle male, ti prego, e continua a cantare…
1 Nei sutra buddisti si insegna a usare il respiro come supporto per la concentrazione. Il sutra dedicato alla coltivazione della presenza mentale attraverso il respiro è l’Anapanasati Sutra.