Mercurio è la divinità che presiede la comunicazione, in tutte le sue molteplici forme. Non solo perché lo strumento privilegiato del dio è la parola, ma soprattutto perché la sua azione consegue a un atteggiamento medianico che trova la sua contiguità del reale.
Nella mente greca, il cosmo è letto come una trama di parti, connesse le une alle altre e riconoscibili dalla mente perché compatibili con le sue categorie cognitive. Questa visione del mondo corrisponde alla cifra ermetica, che unisce e compone: Ermes, o Mercurio, è la figura divina del continuum fenomenico, è una sorta di mediatore universale.
Ciò spiega le sue competenze di messaggero e di mercante e anche il patronato sulle attività e le situazioni legate a un ‘passaggio’: il viaggio, l’assopimento e il risveglio, il trapasso dalla vita alla morte, il linguaggio e la sua forza persuasiva.
Le due prime prodezze di Ermes sono l’invenzione della lira e il furto di bestiame di Apollo. In entrambe il neonato da prova di intelligenza arguta e versatile, che gli consente di leggere le situazioni e di anticiparne gli sviluppi, ma anche di una straordinaria abilità manuale e di cinica sfrontatezza. In una parola, dimostra il possesso completo della metis, che è la somma virtù di Odisseo, la capacità di pensare rapidamente e di tradurre un linguaggio di volta in volta diverso e commisurato alla situazione: con Apollo è servile, con Zeus compiacente, con Maia rassicurante.
Generalmente Ermes è raccontato opposto ad Apollo. Queste due divinità rappresentano, infatti, i due estremi entro i quali oscilla il sentimento greco della vita e dell’uomo. Se Apollo è la figura in cui si esprime la lontananza incommensurabile della natura divina, Ermes è il più umano degli dei. Il compagno di viaggio, l’accompagnatore.
La differenza dei due è scritta già, simbolicamente, nella loro epifania. Apollo appare all’improvviso sull’Olimpo, suscitando sorpresa e paura, mentre Ermes esce dalla grotta montana dove Maia l’ha partorito. L’umidità tiepida – che rimanda al tepore della carne e del sangue – è ciò che mette al mondo Ermes e che impronta la sua azione.
La sua parola chiave è: “Mi muovo” e il suo elemento è l’Aria.
Astrologicamente parlando, è collegato al segno zodiacale dei Gemelli e a quello della Vergine, nei quali esprime alcune differenti qualità. Se nel segno doppio, dedicato a Castore e Polluce, si esprime il Mercurio della velocità, della comunicazione, della leggerezza e del ‘mercanteggiare’, nella Vergine si esprime più l’intelligenza mercuriale del ‘saper fare’ e del sapersi prendere cura, attraverso l’intelletto pratico di chi sa usare le mani con ingegno e creatività.
Mercurio è dinamico, veloce, comunicativo. Rappresenta la mente, il pensiero e l’informazione. È legato all’adolescenza e alla sperimentazione, all’intelligenza, alle relazioni e alle reti. Nelle piante, Mercurio rappresenta la linfa, ciò che fa sì che le informazioni viaggino, si spostino, circolino. In generale, si tratta di piante depurative, stimolanti, addette alla circolazione e alla respirazione, toniche del sistema nervoso. A livello aromaterapico esse risvegliano capacità comunicative, riflessi, concentrazione e logica, incentivano la predisposizione al calcolo. Tra queste troviamo il basilico, il timo e la menta e il finocchio. In Natura terapia, ovvero nella terapia che raccoglie gli insegnamenti degli antichi, ritrovando la loro capacità di ‘leggere’ la Natura e di trovare in lei sostegno e medicamenti preziosi, le piante di Mercurio sono note per la loro capacità di muovere, spostare, rimettere in circolo qualcosa di stagnante e di bloccato (come, ad esempio, un dolore) spesso attraverso il pianto, attraverso un’emozione capace di sciogliere un blocco.
Si usano, quindi, in tutti quei casi in cui il dolore è collegato a un congelamento del cuore a causa di amarezze e frustrazioni che finiscono con il far chiudere sempre di più la persona in se stessa, poiché si è sempre creduto di trovare nel pianto una forma di ‘calore dell’anima’. Le lacrime sono in effetti legate a un innalzamento della termia e contengono esse stesse il sale che di per sé non permette che si formi il ghiaccio. Gli antichi pensavano cioè che una pianta che fosse stata in grado di far piangere, di far secernere degli umori, di sbloccare qualcosa di irrigidito e fermo, fosse in grado di salvare la vita, impedendo che si congelasse l’anima del paziente.
Le soluzioni, dal latino solvere, sciogliere, come abbiamo visto, sono sempre state cercate in Natura e la pianta che meglio risponde alla necessità di scaldare l’anima, di chi viva nei tempi di dolore paralizzante è il timo (Thymus vulgaris e Thymus serpyllum) che contiene un olio essenziale, il timolo, che svolge una importante azione termica e che è spesso usato contro i geloni e le malattie da raffreddamento in genere, assolvendo a una specifica funzione di scioglimento dei muchi e dei catarri.
Il modo di ragionare per similitudini, tipico degli antichi e che oggi ha trovato nelle analisi chimiche e di laboratorio importanti conferme, era piuttosto intuitivo. I nostri antenati partivano dal presupposto che se una pianta alzava la temperatura corporea, scioglieva i muchi e scaldava le parti del corpo congelate, questa proprietà si sarebbe estesa anche a livello sottile, sciogliendo attaccamenti ed emozioni bloccate, stimolando la naturale omeostasi del nostro organismo.
Il timo quindi è la pianta consigliata per tutte le persone che, trovandosi ad attraversare un momento di difficoltà, di gelo del cuore e dell’anima, sembra abbiano smarrito la capacità di assumere su di sé la responsabilità della propria vita e della propria felicità, addossando sempre ad altri ‘la colpa’ dei propri insuccessi.
Il timo soccorre tutte le persone che hanno la tendenza a percorrere e ripercorrere sempre gli stessi binari morti che conducono a un sempre uguale senso di frustrazione, tristezza e abbandono, riportando Vita e calore negli angoli infreddoliti della loro anima. Questa preziosa erba aromatica contiene dentro di sé le istruzioni che nel tempo la hanno aiutata a sviluppare adeguate strategie di sopravvivenza al gelo invernale. Questo significa che traducendo nelle sue linfe lo storico geologico del suo ritorno alla vita, il timo è in grado di stimolare nell’uomo la stessa risposta, scongelandone il cuore con il suo fuoco nascosto. La Natura, che sempre insegna e mai smette di farlo, ci sta dicendo che la vita è evoluzione, movimento, cambiamento e che la malattia è tutto ciò che impedisce il libero fluire di questa energia.
Ci dice inoltre che i periodi di inverno nel cuore si superano attraverso un attento (e umile) ascolto di sé che ci rende capaci di intercettare i bivi, le anse del sentiero lungo le quali ci perdiamo di vista e ci affidiamo ai pensieri automatici e autodistruttivi che impediscono la nostra evoluzione personale, bloccandoci, congelandoci (anche nel cuore).
Infine, sempre la Natura, ci ricorda che nello straordinario e variegato universo vegetale, troviamo risposte, strategie, tracce di percorsi evolutivi che si sono sedimentati nei secoli nelle linfe, nei corimbi, nei semi e nelle radici e che la guarigione passa (anche) attraverso un lento (re)imparare a interpretare il linguaggio di segni, sogni e miti che tutto circonda.