La Galleria Alberto Peola presenta la terza personale di Lala Meredith-Vula, con una selezione dei lavori della serie Haystacks (1989-ongoing) esposti a dOCUMENTA14.
«L’opportunità di scegliere alcune immagini dal ciclo Haystacks di Lala MeredithVula, iniziato nel 1989 e tuttora in corso, giunge nel momento in cui l’artista compie una sorta di bilancio della sua opera. Nel tempo, ha accumulato un vasto repertorio di fotografie, sia diapositive di celluloide che immagini in formato digitale, alcune delle quali in attesa di essere scansionate, altre mai stampate. In cantiere anche un libro, a segnare i trent’anni dall’inizio del progetto che fu determinato dall’amore per la forma concreta del pagliaio, le sue qualità scultoree e il suo rapporto con l’opera di precursori artistici come Henry Fox Talbot e, prima di lui, gli impressionisti. Il progetto fotografico fu anche un modo, per l’artista, di riannodare i rapporti con la terra d’origine.
Il progetto fotografico fu anche un modo, per l’artista, di riannodare i rapporti con la terra d’origine. Lasciata da bambina la nativa Sarajevo per Londra, Meredith-Vula tornò dal padre a Priština dopo la laurea al Goldsmith College nel 1988, reduce dalla ancora oggi famosa mostra Freeze. Accompagnata da lui, architetto kosovaro impegnato nella ricerca di strutture locali tipiche, Meredith-Vula intraprende un viaggio nelle campagne del Kosovo sviluppando un singolare interesse per i pagliai, che le diede l’opportunità di conoscere diversi aspetti della vita delle persone del luogo, segnate dalla cura della terra, ma anche da guerre, faide sanguinarie (le cui riconciliazioni sono state documentate dall’artista nel ciclo Blood feud reconciliation) e, più recentemente, dalla crisi economica. Se la selezione delle opere in mostra alla Galleria Alberto Peola non appare sistematica, o governata da un unico filo narrativo, dietro ogni pagliaio si intuisce il senso di una storia. Dopo aver indicato all’artista le opere che istintivamente avevo selezionato, ho scoperto che tre fotografie di pagliai, fatte nel 1989, 1999 e 2018, provenivano dallo stesso villaggio, Batush, che ho trovato citato in un quotidiano online del 16 aprile 1999, in un articolo che raccontava lo spargimento di sangue seguito alla secessione del Kosovo dalla Yugoslavia. Quasi tutto quello che abbiamo appreso su questa regione negli ultimi trent’anni riguarda soprattutto i conflitti etnici. Lala Meredith-Vula sceglie di fotografare forme varie e persistenti che precedono la formazione degli stati attuali.
Talvolta si ha la sensazione che i pagliai siano animati, che stiano per parlare e raccontare la loro versione degli eventi. Sarà l’effetto dell’obiettivo fotografico? Non sempre, direi. La storia della fotografia documentaristica è ricca di esempi di classificazione e oggettivazione di esistenze complesse (umane e non) rigidamente incasellate. Al contrario, il ciclo di Meredith-Vula non segue un sistema prestabilito, né tende a costruirne uno. Spesso l’artista fa addirittura a meno del treppiedi, ma ci tiene a documentare attentamente luoghi e date di ogni fotografia, altrimenti sarebbe difficile risalire a quando e dove sono state fatte. La scelta della pellicola in bianco e nero contribuisce a dare un senso di incertezza temporale, proprio nel momento in cui Meredith-Vula mostra la gestalt unica di ogni pagliaio. Perché quello che l’artista ricerca è proprio la loro individualità, personalità e vitalità come fatti storici».