La mostra Il fascino del mito esplora l'eterno dialogo tra passato e presente attraverso una selezione di opere che reinterpretano temi e motivi mitologici con uno sguardo contemporaneo. Si propone come un viaggio attraverso il tempo, un dialogo serrato tra l’antico e il contemporaneo, che sfida le convenzioni cronologiche per approdare in una dimensione sospesa, dove le rovine del passato incontrano il linguaggio dell’arte moderna.

Al centro di questa narrazione, le opere di Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Giulio Paolini, Salvo, e Jorge Méndez Blake sono accomunate da un approccio che trascende le barriere temporali e geografiche, e che costruiscono un linguaggio visivo intriso di enigmi e citazioni. A completamento e come punteggiatura che mette in luce elementi comuni e assonanze, una selezione di reperti archeologici crea un ponte visivo tra l’antichità e il nostro tempo.

Il progetto, ispirato dal successo dell'esposizione londinese Mythology reinterpreted, mostra selezionata nel 2024 tra le top ten dell’autunno londinese, trova ora una nuova cornice nella prestigiosa sede di Torino, celebrando il mito come fonte inesauribile di ispirazione artistica.

“Che cosa amerò se non l’enigma delle cose?”, si chiedeva de Chirico. Questo interrogativo attraversa le opere degli artisti presenti in mostra: Il trofeo con la testa di Giove (1929-30) di de Chirico, simbolo di potere e sapienza divina, si trasforma in un enigma visivo. L’opera di Alberto Savinio, Jeux d’anges (1930), aggiunge una nota surreale e onirica al percorso espositivo. La sua rappresentazione di angeli in un contesto sospeso e fuori dal tempo si ricollega al desiderio di superare il presente per abbracciare il mistero dell’invisibile.

Salvo, nella sua pittura accesa e geometrizzante, cattura lo spirito delle rovine classiche e offre una visione personale di frammenti archeologici trasfigurati dalla luce psichedelica della contemporaneità, come evidenziato nelle parole stesse dell’artista: “Finché il modello può essere visto in maniera nuova, perché la definizione non è conclusa, perché si dovrebbe interrompere la ricerca?”. (Salvo, Della pittura. Imitazione di Wittgenstein, On painting. In the style of Wittgenstein, Hrsg, Paul Maenz & Gerd de Vries, Colonia, 1980).

Giulio Paolini e Jorge Méndez Blake interrogano il rapporto tra il presente e il passato attraverso il concetto di riproduzione, citazione e alterità. L’opera L’altra figura (1983) di Paolini, con la sua esplorazione della circolarità e dell’eterno ritorno, dialoga idealmente con Defend it (Poetry) II, (2024) di Jorge Méndez Blake, con la sua minuziosa rappresentazione di una colonna greca in rovina sormontata dalla scritta Defend it. L’ammonimento (Difendilo), è riferito alla poesia, come svelato nel titolo dell’opera. Come già nelle lapidi di Salvo, anche Mendez Blake “incide” nella pietra con un linguaggio evocativo, scardinando qualsiasi coerenza cronologica a favore della potenza del messaggio.

La mostra è accompagnata dal catalogo edito in occasione della mostra londinese. Come scrive Benedetta Casini nel saggio Mythology reinterpreted. A journey through ancient inspiration in modern and contemporary art: «L’antico, l’archeologico, la rovina sono [...] una lontananza che non può essere avvicinata. Può essere solo rievocata, elevata forse a modello virtuoso, o utilizzata per evitare la chiassosità di una comunicazione in tempo reale». Gli artisti presentati in mostra utilizzano il riferimento al passato non come esaltazione nostalgica, ma come strumento per interrogare il presente e proiettarsi verso il futuro.