La mostra Incontri sensibili: Paolo La Motta guarda Capodimonte, a cura di Sylvain Bellenger, porta per la prima volta al Museo e Real Bosco di Capodimonte l’opera dell’artista napoletano Paolo La Motta (1972) nell’ambito del ciclo di esposizioni Incontri sensibili, nel quale opere di artisti contemporanei dialogano con la collezione storica di Capodimonte.
Dopo Bourgeois e Guarino (26 marzo – 17 giugno 2017) e Jan Fabre. Naturalia e Mirabilia (1 luglio – 7 gennaio 2017), l’opera di Paolo La Motta si rapporta con alcune opere del museo, da lui scelte, di tecniche differenti e epoche diverse, sollecitando una inconsueta riflessione sull’arte, come storia della sensibilità, e consentendo di svelarne significati inaspettati.
L’artista racconta che da ragazzo, giocando nel Bosco di Capodimonte oltre l’orario di chiusura, ebbe paura di saltare il muro di cinta.
Piace pensare che il giovane Paolo non sia mai davvero uscito dal Bosco di Capodimonte, e che le sue paure siano state vinte con la sua arte che nasce da un dialogo ininterrotto con le opere della grande collezione del museo.
La sensibilità plastica delle sue opere non è prigioniera di una specifica scuola o di una sola epoca artistica: il Rinascimento, il Seicento, l’Ottocento napoletano e l’astrattismo, scoperti proprio nella Reggia borbonica, sono ben coniugati nei suoi dipinti.
La Motta si interessa a tutte le possibilità del linguaggio pittorico e rende la sua opera prova inconfutabile del ruolo che il Museo di Capodimonte ha avuto e continua ad avere sull’arte contemporanea.
Il balcone dello studio di Paolo La Motta (Napoli, 1972) non offre altra vista se non quella di uno dei gialli e polverosi muri di tufo della Sanità. La materialità degli antichi palazzi del centro storico è un tratto distintivo delle sue ricerche pittoriche.
Come lo scultore Vincenzo Gemito (1852-1924) e il fotografo Mimmo Jodice, anche La Motta è cresciuto in questo quartiere storico di Napoli che negli anni ha ispirato artisti, come il pittore gallese Thomas Jones (1742-1803) e viaggiatori del Grand Tour. La Motta vive in via dei Miracoli, una strada che porta al Moiariello dove Gemito aveva la sua fonderia, a poca distanza da Capodimonte, il museo dove fin da giovane ha scoperto la sua vocazione.
Fondamentale nella sua formazione sia umana che artistica, la figura carismatica di Don Giuseppe Rassello (1950-2006), parroco della chiesa di Santa Maria della Sanità, che lo indirizzò agli studi artistici, poi conclusi con il diploma in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la guida dal maestro Augusto Perez (1929-2001).
La ricerca di La Motta, intimamente legata alla grande tradizione della scuola napoletana, è un’operazione colta che propone un discorso radicalmente contemporaneo dove il figurativo si apre all’ineffabile delle forme astratte.
Durante il laboratorio di ceramica presso l’istituto Papa Giovanni XXIII in via Cagnazzi nel rione Sanità, Paolo La Motta conosce l’alunno Genny Cesarano (Napoli, 1998-2015).
In quell’occasione esegue l’opera Genny (2007) a lui dedicata. Polittico composto da quattro dipinti e da un busto di terracotta, che gioca con la bidimensionalità e la tridimensionalità: cinque elementi come le cinque lettere riportate sul retro di ogni opera a comporre il nome di Genny.
Genny dialoga con cinque opere di Capodimonte realizzate con varie tecniche (pittura, disegno, fotografia, ceramica), appartenenti ad epoche diverse e accomunate dalla sacralità dell’infanzia: il Bambino Gesù, il busto di San Giovanni, l’impenetrabile ragazzo fotografato di spalle da Mimmo Jodice.
Qualche anno dopo l’opera Genny (2007) il 6 settembre 2015, durante una “stesa” in piazza Sanità Genny Cesarano, all’età di diciassette anni, viene ucciso dalla Camorra, vittima innocente di scontro tra gruppi rivali. La Motta realizza sul luogo dell’omicidio, in piazza Sanità, la scultura in bronzo policromo a grandezza naturale di Genny, con un pallone incastrato tra le assi, “simbolo di un’infanzia negata”.