La collezione si forma grazie all’impegno del colto cardinale Stefano Borgia (1731-1804), segretario della Congregazione di Propaganda Fide (1770-1789). Grazie al materiale riunito dalle missioni cattoliche nei più lontani angoli del mondo, il cardinale istituisce nel suo palazzo di Velletri un vero e proprio Museo, basato sul criterio dell’enciclopedismo a fini didascalici e suddiviso in dieci classi di oggetti: antichità egiziane, volsche, etrusche, greche, romane, manufatti dell’Estremo Oriente, arabi, dell’Europa settentrionale, messicani e cristiani, ovvero il “Museo sacro”, composto da opere d’arte e di artigianato connesse all’iconografia e alla liturgia del Cristianesimo.
Alla morte del cardinale nel 1804, il Museo di Velletri viene messo in vendita dal nipote, Camillo Borgia. L’accordo di acquisto, concluso nel 1814 con Gioacchino Murat, viene ratificato, in seguito alla caduta del governo napoleonico, nel 1817 da Ferdinando I di Borbone, che dispone il trasferimento delle raccolte nel Real Museo Borbonico (l’attuale Museo Archeologico Nazionale).
Nel 1957 i manufatti d’arte medioevale e moderna vengono destinati al Museo di Capodimonte, dove la ricognizione inventariale e l’identificazione degli oggetti ha consentito di ricomporre ed esporre nella sezione apposita, aperta alla metà degli anni ’90, tre parti dell’originario allestimento (Museo Sacro, Arabo-Cufico e Indico), testimonianza di una raccolta singolare per la rarità dei pezzi e per il gusto e gli orientamenti di un illuminista.