Secondo una leggenda, durante le campagne di conquista arrivava prima la loro puzza trascinata dal vento e poi frecce in numero tale da oscurare il sole. Secondo un’altra credenza popolare saprebbero cavalcare all’impazzata ma così stabilmente da tenere in mano una ciotola colma d’acqua senza nemmeno farne cadere una goccia. Probabilmente però nella ciotola non ci sarebbe acqua ma airag (chiamato anche kumis), il famoso latte di giumenta fermentato di cui sono ghiottissimi, dalla notte dei tempi e tuttora, gli ultimi discendenti del grande condottiero Gengis Khan, che mise a ferro fuoco tutta l’Asia arrivando fino ai confini con l’Europa grazie alle sue truppe di guerrieri tanto forti quanto spietati.
Questo retaggio bellico come cavalieri, arcieri e combattenti rimane ancora oggi uno dei motivi di vanto della popolazione mongola, mostrandolo al mondo con il tradizionale Naadam, festival tradizionale che si tiene nello stadio della capitale Ulan Bator a inizio del mese di luglio e che la leggenda vuole svolgersi da 3000 anni, risultando così la manifestazione olimpica più antica del mondo. Meno spettacolare come numero di atleti in gara e coreografie presenti, ma sicuramente più affasciante per il contesto naturale dove viene organizzato, è invece il Naadam del deserto, che si svolge a metà agosto nel centro del deserto del Gobi.
L’evento catalizza tutti gli abitanti della zona, che usano il pretesto della sfida nelle tradizionali discipline per ritrovarsi a passare una giornata conviviale, richiamando famiglie che normalmente vivrebbero nelle loro tende (gher) isolate a centinaia di chilometri di distanza tra loro e dai pochi e piccoli centri abitati. Il fatto che uno spazio così smisurato sia popolato da solo qualche centinaio di persone spiega bene quanto bassa sia la densità abitativa di questo luogo, deserto di nome e di fatto.
A cominciare dalle prime luci dell’alba i mongoli arrivano con i mezzi più disparati: singoli o coppie a bordo di fiammanti motociclette cinesi, famiglie più numerose su inarrestabili fuoristrada uaz russi, e chi soggiorna nelle vicinanze direttamente a cavallo. Gli addetti alla logistica sono già all’opera per montare un campo adibito alle necessità dei giochi: tende per gli atleti, recinto per i cavalli, area adibita a giuria e premiazioni e persino angolo musicale con strumenti tipici ma anche moderna pianola alimentata da generatore. E nell’angolo ristoro chiaramente non può mancare il famigerato airag, servito in capienti tazze insieme al formaggio, entrambi dai sapori estremante pungenti. Il tutto viene offerto ad atleti, che lo assaporano soddisfatti, e spettatori stranieri che invece lo gustano con meno convinzione, seduti fianco a fianco in cerchio, a formare una grande arena nel mezzo del panorama desertico dove si aggregano bambini curiosi a anziani che sfoggiano con orgoglio le vesti tradizionali adornate da vecchie medaglie, conquistate grazie a chissà quali imprese militari o sportive.
Benché la traduzione letterale del nome mongolo “Eriin gurvan naadam” significhi “tre giochi da uomini”, le donne possono partecipare alle gare ippiche e di tiro con l’arco e, una volta raggiunta la maggiore età, anche alla lotta libera. Tutte le discipline si susseguono secondo consolidati rituali: nella corsa a cavallo si parte dalla pulizia degli animali, si prosegue con la vestizione dei cavalieri e con l’assegnazione dei pettorali numerati, per arrivare all’eccitante momento della partenza in un gruppo disordinato, memori di arrembanti attacchi di cavalleria di molti secoli passati.
La lotta libera viene preceduta da un balletto secondo coreografia tradizionale, ed è curioso vedere questi combattenti forzuti dall’aspetto truce mimare il volo lento di aquile e altri rapaci, simbolo di libertà a cui queste popolazioni non hanno mai rinunciato. Libertà che viene raffigurata anche nella bandiera nazionale grazie alla banda azzurra, richiamo del cielo limpido e smisurato ma dove domina anche un rosso vivo di retaggio sovietico. Il simbolo dorato Soyombo è formato da bande verticali a ricordare le mura della nazione e la rettitudine morale del popolo, il tutto sormontato dal sole, luna e dalla fiammella a raffigurazione del nucleo familiare. Non mancano due triangoli che stilizzano la punta di una freccia dal monito preciso: "morte ai nemici della Mongolia". La bandiera ricca di simbologia ci ricorda che, oggi come ai tempi di Gengis Khan, un mongolo è bene averlo solo come amico.