Pionieri si nasce e lei ne è la prova. Partì per Milano da un lontano paesino della Calabria con l'impegno di studiare Lettere. Era la promessa che aveva fatto a sua madre, casalinga con la passione per i romanzi e la poesia, nell'intento di uscire dalla sonnolenta provincia del Sud e respirare aria di indipendenza e libertà. Ma già al liceo aveva un sogno, quello di diventare medico, sogno osteggiato da mamma Carmelina e quasi inconfessabile per una ragazza dei suoi posti. Ma non per Franca Melfi, giovane tenace e dalle idee chiare fin dall'età giovanile.
Così successe che le Belle Lettere vennero segretamente messe da parte e sostituite con i corsi di Medicina e Chirurgia a Pisa. Papà Giuseppe, funzionario della Provincia di Cosenza, era il suo sponsor. "Non so se ce l'avrei fatta senza di lui. A mamma lo abbiamo detto dopo". La laurea e poi la specializzazione in Chirurgia toracica furono solo l'inizio di una strada difficile che hanno portato Franca Melfi a diventare punto fondamentale di riferimento e tutor europeo per la Chirurgia robotica, dopo aver acquisito e perfezionato in tutto il mondo nuove tecniche di intervento mini invasive con cui poter effettuare qualsiasi tipo di operazione, dalla più banale alla più complicata. Ultimo gradino, per ora, la creazione di un centro di chirurgia robotica a Pisa, la più grande struttura pubblica in Europa, che lei stessa dirige e dove ha creato una scuola per formare i protagonisti della chirurgia del futuro. E del presente. Basti pensare che dagli esordi (fine 1999) ad oggi sono stati 3 milioni i pazienti operati grazie all'aiuto del robot e in Italia gli interventi di questo tipo sono circa 15.000 all'anno, con un incremento esponenziale del 12 per cento, in linea con il trend mondiale.
Tre le sale operatorie del centro pisano, e se Franca Melfi è la mente, il braccio, anzi le braccia, portano un nome altisonante. Sono robot che vengono dagli Stati Uniti, ma si chiamano 'da Vinci', in onore del nostro connazionale, uomo di scienza e di ingegno. Ognuno di loro di braccia ne ha quattro, con altrettante mani: una per il bisturi, l'altra per ago e filo, la terza manovra le forbici e l'ultima muove una lampadina per fare luce nel punto esatto dell'intervento. Nell'angolo delle tre sale, lontano dal tavolo operatorio, c'è la console dei comandi: uno schermo tridimensionale della grandezza e della forma di occhiali 3D e, più in basso, due arti metallici snodabili dove il chirurgo, seduto, deve inserire le mani per azionare il robot che agirà direttamente sul paziente. Appena dieci anni fa sembrava una follia. Ormai è realtà quotidiana.
Professoressa Melfi, lei è chirurgo e donna: quanto è stato difficile?
Quando ho cominciato questa avventura, non mi ponevo il problema, quindi non ho avvertito sofferenza nel fare alcune scelte. Ma ora, guardandomi indietro, so di aver pagato un prezzo alto. Sono sempre andata avanti senza accorgermi di sacrificare me stessa e la mia vita privata.
Cosa le pesa di più?
Aver rinunciato alla maternità. Allora sembrava non interessarmi, ma oggi me ne pento e sono consapevole che non avere una famiglia classica è dovuto al fatto che se avessi interrotto il mio iter, se avessi 'perso dei treni', non sarei mai riuscita ad andare avanti e a costruire la mia professione. È stata una corsa senza fermate, ma tutto questo l'ho metabolizzato dopo.
Scelte imposte?
No, mai imposte. Semplicemente dettate dalle situazioni. Per due volte, ad esempio, mi è successo di ammalarmi piuttosto gravemente, ma ho dovuto fare finta di niente. Voglio dire che, nel primo caso, quando ero ancora giovanissima, l'intera fase di una terapia molto dura la trascorsi lavorando come se nulla fosse e stando ben attenta che nessuno se ne accorgesse. Nel secondo caso ho subìto un intervento chirurgico piuttosto serio, ma per non rischiare di rinunciare alle conquiste fatte ho preso un breve periodo di ferie e ancora in fase di degenza sono tornata in sala operatoria, nascondendo il vero motivo della mia assenza.
Negli ospedali tutto questo succede a essere donna? O anche agli uomini?
Ci possono essere tanti casi e ognuno è diverso. Certamente una donna chirurgo in Italia deve faticare di più per dimostrare che è brava e qualche volta deve anche riuscire a giustificare le sue capacità. Purtroppo qualcosa di simile ho riscontrato anche negli Stati Uniti. Comunque in generale all'estero ci sono maggiori opportunità per le donne chirurgo e più rispetto per il merito.
Ma in Italia la situazione sta cambiando?
Non ancora, purtroppo. C'è un muro alto, difficile da superare. A volte si assiste a vere e proprie denigrazioni gratuite.
Lei ha oltre 60 studenti che a turno vengono in sala operatoria per imparare le tecniche della chirurgia robotica. Cosa dice alle ragazze?
Le ragazze sono tantissime, animate dalla mia stessa passione. A loro dico di non fare il mio errore, di non sacrificare la loro vita. Non devono avere paura, anche perché io ero sola, ma loro hanno me a difenderle.
Come è riuscita a creare il più grande centro europeo di chirurgia robotica in una struttura pubblica?
Mi sono trovata a lavorare su questo progetto in un momento particolarmente complicato per il reperimento delle risorse necessarie. Ma poi, una volta superate le difficoltà per ottenere i fondi, è stato difficile anche farli arrivare a destinazione. Siamo oberati da leggi di ogni tipo che riescono a impedire persino le cose semplici, nonostante siano fatte a beneficio pubblico. Ora siamo qui. Finalmente esiste un centro dove può essere eseguita tutta la chirurgia robotica possibile. Tutta tranne la cardiochirurgia. Purtroppo in Europa questo settore è meno sviluppato rispetto agli Stati Uniti. Un vuoto che può essere riempito solo con la volontà dei professionisti.
Lei dirige questo centro insieme a quello di chirurgia robotica toracico-polmonare, che è la sua specializzazione. In Europa ne ha già aperti 22 di questo tipo. Nel mondo è stata la prima a eseguire una lobectomia polmonare con il robot. Ci racconti come è cominciata l'avventura...
Nel 2001, nel reparto cardiotoracico dove io ero assistente, arrivò in sala operatoria il primo sistema robotico. Per la verità lo utilizzammo solo per un anno: costava troppo e alla fine venne coperto da un lenzuolo e lasciato da una parte. Nel 2004, però, fui invitata a Lipsia per effettuare un intervento di chirurgia robotica nel corso di un convegno. Andò tutto benissimo e da lì sono ripartita da sola. Gli americani mi hanno dato l'input perché in Europa non c'era niente da nessuna parte. Alla fine gli Stati Uniti si accorsero che anche qui c'era qualcosa di buono e la casa madre della robotica chiese che io diventassi il tutor europeo per la chirurgia toracica robotica e che Pisa fosse centro di tutoraggio. Da allora ho aperto i 22 centri di Chirurgia toracica del polmone e timo in Europa, ma si trattava sempre della stessa specializzazione. Così ho cominciato a battermi per ampliare l'uso dei robot. E' stata una strada lunga, ma ci sono riuscita.
Ha mai paura quando entra in sala operatoria? La vita di una persona è nelle sue mani...
Paura? No, perché mai? Però non è che noi chirurghi non abbiamo sentimenti o emozioni. Semplicemente questo è il nostro lavoro e come tutti i lavori diventa automatico, quasi routinario. A me la sala operatoria rilassa, mi dà quasi uno stato di benessere. Certo, non nego che ci siano passaggi chirurgici delicati. Per quanto mi riguarda la cosa che mi mette più in difficoltà è quando si verificano problemi tecnici dovuti a imprevisti.
Quando un chirurgo si può definire bravo?
Il bravo chirurgo è colui che è in grado di cambiare strategia e di affrontare la difficoltà in quel preciso momento. Deve, cioè, sapersi inventare qualcosa che non prevedeva. L'imprevisto fa parte del nostro mestiere.
Allora il chirurgo deve essere anche un artista?
Un po' sì. Non è tanto la ripetitività del gesto quella che conta, bensì la capacità di inventare. In questo senso più il chirurgo è bravo, più è artista.
Però il robot aiuta a superare gli imprevisti...
Diciamo che la chirurgia robotica ti mette nella condizione di dover prevedere tutto quello che non penseresti mai possa accadere nel corso di un intervento. Quando hai le mani dentro un torace agisci in maniera più semplice, governi meglio l'imprevisto. Se, ad esempio, si rompe un'arteria, puoi chiuderla immediatamente con le mani. Ma se lavori a distanza la devi chiudere con uno strumento e quindi hai bisogno di maggiore attenzione. La chirurgia robotica è uno strumento bellissimo ed efficace, ma deve essere in mani esperte e pensanti.
Quali sono, dunque, i vantaggi del robot in sala operatoria?
La tridimensionalità e la fermezza del movimento. Il software ti corregge infatti anche il minimo tremore. È assai meno invasivo e i punti di sutura sono piccoli, minimi. Inoltre operare con un ingrandimento dieci volte superiore alle normali dimensioni ci permette di essere estremamente precisi. Tutte queste cose creano i presupposti per effettuare interventi complessi, diciamo pure sofisticati. Però, lavorando in aree molto piccole e con forti ingrandimenti c'è il rischio di perdere di vista l'insieme. Per questo chi usa il robot deve essere esperto e avere un solido background chirurgico alle spalle.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro?
Strumentazioni più piccole e sempre più evolute. La nuova generazione di robot che adesso è allo studio e che sarà pronta intorno al 2020 potrà simulare l'intervento chirurgico del giorno dopo. Nel senso che attraverso i dati provenienti dai vari esami, come Tac, Pet e tutto il resto, si vedranno prima tutte le reali difficoltà che si potranno incontrare nel corso dell'intervento. Ciò significa diminuire gli imprevisti.
Alla fine il robot farà tutto da solo e vi escluderà dalla sala operatoria?
Questo non potrà mai succedere. La sua gestualità è totalmente meccanica, la mente è quella del clinico. È quest'ultimo a dargli le informazioni giuste. Certamente lavoreremo sempre di più gomito a gomito con gli ingegneri biomedici. Già adesso tanti medici diventano ingegneri e viceversa. Ma il robot non potrà mai fare niente senza l'uomo. Questo è sicuro.