Nel corso del secolo XV d.C., l’Ordine religioso dei Francescani diede vita a una delle prime esperienze storiche di quella che oggi viene definita Banca “etica”, Istituto che opera nel settore del microcredito dedicato alla clientela più svantaggiata che, in quanto non riesce ad accedere facilmente ai tradizionali canali finanziari, viene assistita con strumenti di finanza alternativa, in particolare prestiti di importo anche molto ridotto, concessi a tassi relativamente bassi.
Nella seconda metà del Trecento, e poi nel corso del Quattrocento, l’accesso al credito da parte dei ceti meno abbienti risultava difficoltoso. Infatti, le compagnie bancarie private concedevano finanziamenti di importo rilevante soltanto alle grandi imprese commerciali e/o ai principi e regnanti vari, mentre le banche pubbliche si occupavano sostanzialmente della gestione finanziaria delle amministrazioni municipali. In tale contesto, i privati bisognosi di piccoli prestiti al consumo si ritrovavano in una situazione che oggi definiremmo di “credit crunch” (contrazione del credito), ed erano pertanto costretti a rivolgersi ai prestatori su pegno, in particolare agli Ebrei che applicavano condizioni molto gravose e spesso usurarie.
In questa situazione di disagio economico e sociale, i Francescani si proposero l’intento di debellare la piaga dei prestiti usurai e di diffondere forme di credito alternative a quelle combattute e di più facile accesso, soprattutto per i ceti più disagiati e bisognosi. A tal fine, i Frati dell’Ordine francescano istituirono quelli che furono chiamati Monti di Pietà (Montes Pietatis), organismi deputati alla concessione di piccoli prestiti su pegno.
Il termine “Monte”, che significava pubblica cassa, o più semplicemente cumulo, massa di denaro, oggi diremmo “fondo”, fu ripreso da iniziative precedenti, in particolare dai Monti di debito pubblico istituiti in diverse città italiane fin dal XII secolo (denominati “Monti profani”). Inizialmente, i Francescani istituirono i banchi di prestito su pegno senza interesse, per esclusivi fini caritatevoli e solidaristici. A tal fine, essi organizzavano questue per la costituzione di un fondo comune, il Monte appunto, da utilizzare per concedere piccole somme in prestito agli indigenti, richiedendo al massimo un rimborso spese a chi potesse corrisponderlo. Tali Monti vennero denominati “di Pietà”, in considerazione della loro funzione originaria volta a reimpostare il credito sulla base di criteri di equità e di carità cristiana.
Nati in origine come Istituti di benificenza, e considerati dal Concilio di Trento (1545-1563) come “Opere pie”, i Monti acquisirono progressivamente il loro carattere “bancario”. Il fondo iniziale del Monte veniva raccolto quasi sempre tramite erogazioni liberali a fondo perduto, quali collette, oblazioni e sottoscrizioni da parte dei fedeli, infervorati dalle prediche dei Francescani, ma non mancavano anche gli atti di munificenza di principi, amministrazioni comunali e altre Istituzioni. La nascita del monte veniva ufficializzata con l’approvazione da parte della sede apostolica, e il relativo funzionamento veniva disciplinato da alcuni “capitoli” che contenevano le norme di gestione amministrativa, ivi comprese le modalità di concessione dei prestiti su pegno. L’importo massimo del credito concesso a ciascuna persona era di norma molto contenuto, in modo tale da consentire l’erogazione di piccoli prestiti al maggior numero possibile di richiedenti. La durata del prestito era in genere di sei mesi. Il pegno non riscattato alla scadenza veniva messo in vendita all’asta, il cui ricavato era destinato a reintegrare il credito del Monte. Se il realizzo non era sufficiente, il cliente rimaneva obbligato a rifondere la differenza; in caso contrario, aveva diritto a trattenere l’avanzo. Molti Monti, nel corso del tempo, al pari dei banchi pubblici, cominciarono ad accettare depositi senza corrispondere alcun interesse, con impegno di custodia delle somme ricevute e di restituzione a semplice richiesta dei depositanti.
Inizialmente, i Monti di Pietà non riscuotevano interessi sui prestiti, anche se, al momento del riscatto del pegno, poteva essere richiesta un’offerta per il mantenimento dell’Istituzione. L’assenza di un qualsivoglia interesse, se da una parte risultava conforme ai dettami della Chiesa che condannava il prestito usuraio, costituiva però un notevole ostacolo alla sopravvivenza dell’Istituzione, in quanto quest’ultima doveva comunque sostenere svariate spese amministrative in relazione alla gestione di numerose, piccole operazioni di credito, quali i costi per la tenuta delle scritture contabili e la custodia dei pegni.
I Monti di Pietà cominciarono pertanto a richiedere il pagamento di un modico interesse (nella misura del 2 percento, massimo 5 percento), destinato appunto a coprire le spese generali e amministrative. Tale situazione scatenò nei confronti dei Francescani il sospetto di esercitare l’usura, accusa proveniente soprattutto dai Domenicani e dagli Agostiniani che evidenziavano come l’eventuale avanzo di gestione costituisse chiaramente un’usura che consentiva di incrementare il capitale iniziale ai danni dei poveri che avevano pagato l’interesse. Al fine di tacitare tale dibattito, il capitolo generale dell’Ordine dei Francescani del 1493 approvò la percezione di un compenso per i prestiti su pegno e, qualche anno più tardi (1515), intervenne la sanzione ufficiale della Chiesa che, con la bolla Inter Multiplices di Leone X (al secolo Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico), legittimò l’esistenza dei Monti di Pietà e concesse loro la facoltà di riscuotere un compenso per far fronte alle spese di gestione.
Il movimento di fondazione dei Monti di Pietà venne avviato dai predicatori francescani Giovanni da Capestrano (1386-1456) e Giacomo della Marca (1393-1476), insieme a Bernardino da Siena (1380-1444), religiosi tutti poi santificati, figure di spicco dell’Ordine mendicante dei frati minori. Le loro numerose predicazioni portarono alla nascita dei primi Monti di Pietà di Velletri (1402) e di Arcevia (1428).
Successivamente, nella seconda metà del Quattrocento, grazie soprattutto all’opera di altri predicatori francescani - tra cui Barnaba da Terni (1430-1474) e Marco da Montegallo (1425-1496), insieme a Bernardino da Feltre (1439-1494), religiosi tutti poi proclamati beati - vennero fondati i Monti di Pietà di Perugia (1462) e quelli di Orvieto, Gubbio e Foligno (1463), e via via numerosi altri nell’Italia centrale e settentrionale, dove era maggiore la presenza dell’Ordine francescano. Anche la fondazione del Monte dei Paschi di Siena, datata 1472, viene fatta risalire all’esistenza di un originario Monte di Pietà. Dall’Italia, i Monti si diffusero anche in altre località europee, in particolare a Norimberga (1492), a Ypres (1534), a Bruges (1572).
Accanto ai Monti di Pietà, che operavano in particolare a favore delle popolazioni urbane, furono promossi e vennero istituiti, sempre ad opera dei Francescani, quale strumento di contrasto preventivo contro l’usura, i cosiddetti Monti frumentari, che invece concedevano credito in natura alle popolazioni rurali. Tali Monti prestavano ai contadini bisognosi il grano per la semina e/o per il loro sostentamento, con obbligo di restituzione dopo il raccolto, oltre a una maggiorazione dovuta a titolo di interesse.
Il funzionamento dei Monti frumentari - che potevano richiedere la costituzione di un pegno per l’erogazione del credito - era più complesso rispetto a quello dei Monti di Pietà, soprattutto in relazione alla custodia di consistenti quantità di grano, derrata peraltro deperibile. Il primo Monte frumentario venne costituito a Rieti nel 1488 da Bernardino da Feltre, e successivamente sorsero gli altri Monti di Sulmona, Spoleto, Macerata e altri ancora, quasi tutti collaterali ai Monti di Pietà.
Nell’Italia Meridionale, i Monti frumentari si svilupparono soltanto a partire dalla seconda metà del Seicento, soprattutto per impulso del Cardinale Vincenzo Maria Orsini (1649-1730), divenuto Papa nel 1724 con il nome di Benedetto XIII. Egli fondò nel 1694 un primo Monte Frumentario a Benevento, all’epoca in cui era arcivescovo, e invitò costantemente i parroci e i vescovi a sostenere e incoraggiare iniziative simili che, nel Mezzogiorno d’Italia, si diffusero notevolmente e operarono fino agli inizi del XX secolo.