L’ansia (o la speranza? o la ricerca?) del trascendente ha condotto l’uomo, sin dal suo primo approccio con l’incomprensibile “evento morte”, a crearsi un'accettabile immagine dell’aldilà. Ogni religione quindi, a partire dalle primordiali, in un modo o nell’altro, ha sacralizzato il trapassato, sino a farlo assurgere a parte integrante ma invisibile dell’unità familiare: i Penati diventarono così inseparabili divinità protettrici delle famiglie presso gli antichi romani.

Assurti a tale rango, i Trapassati erano pertanto onorati come “entità”, “anime”, erano cioè la parte eterna, quella scintilla, emanazione della stessa essenza del supremo Essere trascendente e a Questo tendenti, nel corso di quel tempo senza tempo che va dalla detta emanazione sino al ritorno alla grande luce.

A tanta “sacralità”, quindi, l’uomo transeunte non poteva non pensare a creare dei templi entro i quali preservare, ricordare e venerare i Trapassati: vennero così edificati, ciascuno a proprio modo, in base alle proprie sostanze e al livello sociale, i luoghi per la sepoltura dei loro resti mortali, da semplici loculi ad intere aree cimiteriali, dai sontuosi monumenti egizi (le piramidi, la necropoli di Saqqarah, le necropoli delle Valli dei Re e delle Regine) alle sontuose tombe etrusche o ai mausolei romani (mausoleo di Augusto, di Cecilia Metella, di Costanza, la colonna Traiana) e cristiani (catacombe, sarcofagi, monumenti e … marmi a profusione).

Il luogo per la sepoltura divenne insomma, scrive Ezio Bacino [1]

“Il ritratto veritiero nonché immaginario, a volte appassionato, talvolta compiaciuto ed auto-congratulatorio, a volte immalinconito, tal’altra tenebroso, ovvero glorioso e trionfale, o infine patetico, che l’uomo fantastica - e si manifattura con arti varie - di se stesso e della sua immagine e permanenza, al confronto dell’enigma della trascendenza”.

Ma questa visione filosofica del concetto di sepoltura ha pure qualche eccezione: qui ne vogliamo citare una che insiste nell’ambito territoriale nomentano, ove fu realizzata non per bramosia di grandezza della moglie, bensì per un estremo anelito di vita, luce e verde, da poter fruire anche dopo la morte: Antonia Fiermonte, quando espresse tale desiderio al suo sposo, non poteva davvero immaginare che da lì a poco Jacques avrebbe dovuto davvero adoperarsi per realizzarlo; la sua vita infatti fu stroncata a soli 42 anni!

È proprio curioso che di tale presenza monumentale importante in Mentana se ne parlasse in tutto il mondo dell’arte sin dagli anni Cinquanta ma non se ne fosse per nulla edotti “in loco”: la notizia mi fu segnalata nel febbraio del 1995 dal prof. Federico Zeri che stava leggendo una biografia scritta da Jean Bothorel [2] . Quanto emerso dalle mie ricerche successive fu così interessante che divenne argomento di una mia monografia [3] .

Jacques Zwobada fu uno scultore di scuola francese ma di origine ceka, nato nel 1900 a Neuille-sur-Seine, morto nelle vicinanze di Parigi nel 1967 e sepolto a Mentana, accanto alla donna in onore della quale aveva eretto il mausoleo. La sua arte fu inizialmente molto accademica, come si può desumere dal gigantesco monumento equestre eretto a Quito, capitale dell'Ecuador in Sud America, in onore di Simon Bolivar, in collaborazione con René Letourneur. Lo Scultore dal 1921 al 1937 aveva esposto regolarmente nel “salone degli artisti francesi”, ottenendo pure, nel 1937, la “medaglia d'oro”. Dopo tale data abbandonò lo scalpello ma continuò a disegnare: accettò anzi l'incarico di professore di disegno presso la “Scuola delle Arti Applicate” all’Accademia de la Grande Chaumière, all'Accademia Julian e infine, nel 1948, all’Ecole des Beaux-Arts di Caracas. Durante questi anni si dedicò al disegno a carboncino o a seppia, ove il nudo femminile fu tema dominante, sotto l'influenza delle scuole di Aristide Maillol, Charles Despiau e Charles Malfray.

Intanto, maturata e assimilata la lezione già appresa presso il museo Rodin, rivoluzionò la sua concezione scultorea, soprattutto sull’onda emotiva derivante dal fascino della donna che entrò, come turbine, nella sua vita all'inizio degli anni Quaranta ma pure per effetto del suo accostamento culturale a François Stahly e ad Ėtienne-Martin: senza questi riferimenti non si riuscirebbe a comprendere come l’Artista, dopo gli anni Quaranta, si sia liberato totalmente di ogni riferimento alla realtà, creando una sua nuova metodica scultorea, lirica e sensuale.

Zwobada considerò, da allora, il blocco lapideo non solo “come un monolite nella sua massa” ma soprattutto “come sorgente di movimento”: effetto ottico della successione, nel contesto della materia plasmata, dei pieni e dei vuoti. La risultante fu una scultura tutta curvature e slanci, spasmi dolorosi e astratte tensioni d’abbracci d’amore che, in una sorprendente intuizione inconscia, fa percepire una violenta e inebriante sensualità [4] .

Allorché la donna, alla quale egli dovette tale miracolo, prematuramente lo lasciò, consacrò gli ultimi suoi anni alla edificazione del monumento funebre presso il cimitero di Mentana, da lui scelto per soddisfare l’ultimo desiderio di lei: quello di essere sepolta in un luogo lontano dalla grande città, tra il sole, il silenzio e il verde della campagna romana. La ricerca del cimitero occupò molto tempo e solo dopo lungo peregrinare identificò quello di Mentana, al tempo ancora piccolo, non smaliziato borgo.

Il monumento fu progettato dall’arch. Paul Herbé ed edificato da Jacques Zwobada, in modo da potervi collocare alcune fra le sue più belle sculture: il progetto originario contemplava l’esposizione de le Couple dietro l’epigrafe dedicatoria; all’entrata, sul lungo viale di cipressi, doveva essere collocata la straordinaria Cavalcata notturna (scolpita nel 1957) “con le sue forme liberate e disperse verso lo spazio, traduzione astratta di una ballata romantica tedesca”; a metà tragitto doveva essere montata la Verticale (1960); lungo il semicerchio antistante l’esedra dovevano essere collocate le sculture: i Lottatori (1935) e l’Orfeo (1954); sui due lati del viale dei cipressi che conduce al “mausoleo” dovevano essere posti “busti”, colonne votive e rilievi.

La comunità mentanese da lui scelta, però, non si accorse neppure del privilegio ricevuto e nulla fece perché l’Artista avesse potuto realizzare il progetto: le sculture sono tutte rimaste nel suo atelier parigino, compresa l’ultima, Orfeo ed Euridice (1967), chiara allusione simbolica di un Artista che, qualche mese dopo la realizzazione, avrebbe chiusa la sua esperienza terrena.

Nei quarant’anni intercorsi dall’edificazione, troppi cambiamenti sono avvenuti a Mentana: lo stesso cimitero e l’antistante Convento di S. Maria degli Angeli ne sono usciti, sconvolto il primo, abbattuto il secondo; si è salvata solo la struttura muraria della chiesa ma in uno stato lacrimevole [5] .

Oggi il monumento funebre eretto in omaggio ad Antonia Fiermonte che conduce subito alla Coppia [6] è stato reintegrato; le piante di cipresso del viale, sempre più svettanti, danno prestigio alle eleganti linee dell’esedra la quale, con due emanazioni curvilinee, abbraccia l’ipogeo: qui dormono il sonno eterno gli sposi. Le linee dell’esedra terminano in due cappelle funebri e incorniciano il bel mosaico centrale realizzato a Parigi ad opera del nipote, Pierre Zwobada, su cartone di Jacques [7] .

All’esedra fa da quinta di chiusura un muro ad archetti pieni, al centro del quale e su apposito piedistallo, fu posta la statua in bronzo a mezzobusto di Antonia da precedente opera in gesso realizzata e lasciata da Jacques [8] . Altre sette opere originali, tutte in bronzo, furono poste accanto all’epigrafe dedicatoria, in semicerchio, a enfatizzare quella témoignage d’un amour que ni l’absence ni le temps ne peuvent effacer, come Jacques fece incidere nel marmo.

Le teste raffigurano personaggi, di cultura o di famiglia, che hanno avuto importanza determinante nella vita del nostro Scultore: di André Caplet [9]; di Luise de Vilmorin[10] e di André de Vilmorin [11] ; di Paul Herbé [12] ; di Chadourne [13] ; di René Letourneur [14] . Su un piedistallo posto tutt’a destra di chi entra e all’angolo del mausoleo fu posta infine una fusione del periodo più creativo dell’Artista, l’abbraccio, ove era possibile leggere tutto il tormento del suo amore infranto: asportata nel primo furto, l’opera non fu più ricollocata [15] .

Il mausoleo di Mentana, per tutti i membri, diretti o acquisiti, di quella numerosa famiglia Fiermonte sparsa per il mondo resta la meta terminale del loro cammino terreno.

Note:
[1] Ezio Bacino, I golfi del silenzio, Lalli ed., Firenze 1979, p. 50.
[2] Jean Botherel, Louise, ou la vie de Louise de Vilmorin, B. Grasset, Paris 1993, pp. 264-265.
[3] Salvatore G. Vicario, Zwobada a Mentana, amore folgorante, simbolismo erotico, Editoriale Umbra, Foligno 1997.
[4] Hans Vollmer, All Lexikon ... Kunstler, alla “voce”, Veb E.A., Seemann Verlag Lipzig, 1962; Dictionnaire Universel de l’Art et des Artistes, vol. 3, Fernad Hazan ed., Paris VI, 1967; E. Benezit, Dictionnaire critique..., alla '‘voce”, Tome Dixième, ed. Librairie Grund, 1976; M. Aarnaut, J.Z., Démons et merveilles, estr. da “Cimaise” n. 218, Paris 1992; Pier Cabanne, Jacques Zwobada - Dessins et bronzes, catal., Musée Municipal de Saint-Cloud (23 apr. - 22 mag. 1994); M.N., L’érotique abstraite de Zwobada, ne “Le Figaro”, Paris, 6 sett. 1995, p. 21.
[5] Vicario, La Nomentana, strada di Roma per la bassa Sabina, Rotary Club Monterotondo Mentana ed., 1994, pp. 88-89 e 335.
[6] Quest’opera fu il primo segno dell’avvento, nella sua scultura erotico-simbolica, dell’elevazione: da quel primo sforzo plastico, nel quale fuse le reciproche foghe concupiscenti, sino a rendere indecifrabili le linee dell’uno o dell’altro amante, tanto sono coinvolte e compenetrate, la sua arte acquisì e sublimò l’intero rapporto copulativo dalla prodromica suddetta elevazione sino alla verticale, ipertrofica immagine di potenza sessuale e al sincretizzante e spasmodico significato orgastico dell’interpénétration.
[7] Questo cartone, dall’Autore donato al Museo Nazionale d'Arte Moderna, era stato dimenticato, ormai malconcio, nei soliti malfamati scantinati: è stata fatica non comune rientrarne temporaneamente in possesso, al fine di potere ricostruire dall’originale lo stesso tessuto musivo.
[8] Pier Cabanne, Zwobada, Les editions de l’amateur, Paris 1992, p.17.
[9] Direttore d’orchestra e compositore, maggiore di Zwobada di circa 20 anni, che gli fu di incoraggiamento ed esempio nei suoi momenti cupi.
[10] Scrittrice e amica di Jacques, una delle grandi signore dell’alta società parigina, “rappresentante di un’élite culturale e mondana, sopravvissuta alle due guerre, che viaggiava, sapeva divertirsi..., lanciava le mode intellettuali sino a consacrare talenti artistici e inventare il gusto (Federico Zeri, Confesso che ho sbagliato, Longanesi e & ed., Milano 1995, p. 117)” .
[11] Estimatore, amico e grande botanico.
[12] Architetto ed urbanista francese (1903-1963), che nel 1960 propose il progetto “Paris parallèle” dopo avere realizzato numerosissimi piani regolatori e importanti opere pubbliche (padiglione dell’Esposizione di Lille, Piano regolatore di Beaune, Ville-neve-la Garenne...): grande amico di Zwobada, ne progettò il grandioso mausoleo di Mentana.
[13] Amico e medico di famiglia.
[14] Scultore e primo marito di Antonia Fiermonte.
[15] Le teste attualmente presenti nel Mausoleo sono in vetroresina; quelle poste in bronzo furono trafugate per ben due volte (Daniele Goretti, Mentana, Cimitero, cinque teste di bronzo rubate al mausoleo di Zwobada, “Il Messaggero”, 2 marzo 2008).