Castelfiorentino, Firenze, 1929: nasce Roberto Malquori, uno dei principali esponenti dell'arte italiana degli anni '60 che ha varcato i confini nazionali per aderire al Bauhaus Situazionista Scandinavo ed esporre in occasione di eventi come l'Alternative Documenta a Kassel nel 1972 o la mostra itinerante Drakabygget. Frihetens Verkstad. The Workshop of Freedom, svoltasi fra Svezia, Olanda e Danimarca e conclusasi a Göteborg nel 2001.
La mostra personale, dedicata al maestro toscano, che apre la stagione espositiva autunnale della galleria Colossi Arte Contemporanea, vuole omaggiarlo esponendo un'accurata selezione delle sue Iconosfere, opere rappresentative della peculiarità del suo linguaggio espressivo, ideate nel 1963 ed esposte per la prima volta nel 1964, in occasione della personale alla galleria L'Indiano di Firenze, anticipando sia il successo della Pop Art di Rauschenberg alla Biennale veneziana del 1964 che la nascita del riporto fotografico su tela emulsionata della Mec-Art.
Con singolare lungimiranza, infatti, il giovane Malquori, allievo dell'Accademia di Belle Arti di Firenze, seguiva, nei primi anni '60, le sperimentazioni interdisciplinari più all'avanguardia, seguendo l'evoluzione della Scuola Pop di Pistoia e partecipando alle manifestazioni pubbliche degli amici del Gruppo 70, Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, caldeggiate dall'Equipe di Quadrante con la mostra Tecnologica (1963) e il convegno Arte e Tecnologia, tenutosi al Forte del Belvedere di Firenze nel giugno del 1964.
Già nel 1963, l'artista, appropriandosi delle tendenze favorevoli all'introduzione della riproduzione meccanica, tipica del linguaggio comunicativo della società massmediatica nella ricerca artistica, parallelamente a quello che stava elaborando la tecnica della riproduzione serigrafica di Warhol negli USA, aveva ideato un suo personalissimo codice linguistico, una “via italiana” alla Pop Art: esso era in singolare equilibrio tra l'estetica di appropriazione di immagini tratte dal panorama iconografico dei mass media dei Pop artisti americani e il rovesciamento ludico, sia semantico che contestuale, del suo materiale linguistico e figurativo, tipico della metodologia creativa della Poesia Visiva degli amici del Gruppo 70.
Gli universi metamorfici di Malquori nascono da queste premesse di rimessa in questione di radicale dei mezzi di comunicazione corrente, dei meccanismi di ossessiva ripetzione dell'immagine, secondo una linea di appropriazione non analitica, come quella della Pop Art americana, ma sottilmente critica nei confronti della fascinazione verso il nuovo mondo delle immagini.
Le sue Iconosfere sono caratterizzate dall'accostamento e dalla moltiplicazione di immagini tratte dal panorama iconografico della società massmediatica, immagini sottilmente subliminali, illustrazioni pubblicitarie estratte dai giornali con speciali solventi che, tramite l'assorbimento degli inchiostri, trattengono la loro roboante sensualità, talvolta la accentuano, sottraendole dal loro contesto originario per trasformarle in effimere icone di un mondo patinato. La loro vacuità viene rivelata in semi trasparenza solamente tramite il “medium” della carta o della tela sulle quali vengono trasferite.
Il suo “décollage”, inteso nell'accezione di “decollo”, di distacco dell'anima dell'immagine da rotocalchi e manifesti, come diversificazione da ogni altra espressione artistica coeva, diventa un'operazione di ritorsione critica che si inserisce nella tradizione dell'esplorazione creativa e semantica del mondo mass-mediatico: dal collage delle avanguardie storiche al décollage di Rotella e degli affichistes francesi, per arrivare al ludico rovesciamento delle immagini in segni nelle sperimentazioni della Poesia Visiva del Gruppo 70.
Nella sua arte, il décollage opera estrapolando analiticamente dati di realtà, come avviene nella poetica “predatoria” dei Nouveaux Réalistes, ma utilizzando gli stessi strumenti tecnologici e comunicativi della civiltà dei consumi: la ripetizione ossessiva, l'accumulo si trasformano, tramite il capovolgimento e
l'affastellamento dei segni, in un caleidoscopio di associazioni oniriche che ingloba forme e motivi simbolici tratti dagli ambiti culturali più eterogenei, passati e futuribili, per creare ambienti momentanei della vita, improntati al culto dell'effimero e capaci di provocare nello spettatore, ancora al giorno d'oggi, il “détournement”, lo straniamento decantato dall'Arte Situazionista; si tratta di un risveglio della percezione assuefatta dalla trasmissioni di impulsi subliminali del linguaggio pubblicitario che porta alla riscoperta di un dato di realtà fenomenica più volte filtrato, prima dalla fotografia che lo cattura, poi dalla trasposizione in immagine a fini commerciali e, in ultimo, trattenuto dai solventi utilizzati dall'artista.
I numerosi punti di contatto di Malquori con l'Arte Situazionista, dalla libertà di sperimentazione alla libera espressione delle energie creative, dalla contaminazione tra i vari ambiti artistici al risveglio della coscienza dello spettatore con impulsi emotivi e psicologici, lo porta a dare alla sua arte un respiro internazionale: nel 1965 aderisce al Bauhaus Situazionista Scandinavo fondato nel 1959 da Jörgen Nash e Asger Jorn a Drakabygget, fattoria-studio situata nel sud della Svezia, dopo la separazione dal movimento Internazionale Situazionista fondato da Guy Debord. Da Firenze la volontà di reinventare un nuovo mondo partendo da quello esistente e superando la soglia dei parametri convenzionali di percezione del dato reale ed oggettivo di Malquori giunge in Svezia.
Nel 1967, anno in cui il teorico e fondatore del Situazionismo, Guy Debord, pubblicò il suo saggio programmatico La societé du spectacle, Malquori era presente con due mostre personali in Svezia: a Halmstad e a Stoccolma. La sua volontà di reiventare l'universo del reale ha conquistato anche le fredde terre del nord, come testimoniano, non solo le mostre e i cataloghi (da Alternativ Documenta a Kassel nel 1972, a International Bauhaus Sweden a Karlskron, in Svezia, nel 1988, e Bauhaus Situationiste Drakabygget alla Konstakademie di Stoccolma, nel 1996), ma anche tutta una serie di volantini, pubblicazioni, manifesti e, soprattutto, la rivista Drakabygget, fondamentale strumento di diffusione e comunicazione delle evoluzioni nella ricerca teorica del movimento scandinavo, dove Roberto Malquori ha sempre ricoperto un ruolo rilevante, mentre le sue Iconosfere brulicanti di immagini sembrano bucare le pagine e, con i loro galleggiamenti di volti in derive oniriche, colmare lo spazio tra il sublime dell'arte e la banalità quotidiana, attraverso il campo della comunicazione, il between dei situazionisti.
Nel 1969, dopo lo scioglimento, nel 1968, del Gruppo 70, è tra i sostenitori del Centro Tèchne, fondato da Eugenio Miccini, volto alla promozione di eventi d'arte, incontri, teatro d'avanguardia e pubblicazioni. Negli anni '70 Malquori continua a partecipare alle attività del Bauhaus sitauzionista.
L'onda lunga dell'energia comunicativa dal sapore pop che trapela dalle opere di Malquori seguita a conquistare il pubblico anche negli anni 2000, grazie all'attenzione di gallerie, istituzioni pubbliche e musei, sia in Italia che all'estero.
Nel 2007 la galleria Colossi Arte Contemporanea di Brescia gli dedica la mostra personale Effetto Pop, corredata da un catalogo con testo critico di Walter Guadagnini.
In questi anni, Malquori ha esposto presso il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (2007, 2010), il Museo della Permanente (2008) e il Museo Pecci (2013) di Milano, l'Istituto Italiano di Cultura di Bratislava (2010) e la Foundation Ik di Middelburg (2012), in Olanda, il Museo di Arte Moderna di Buenos Aires (2012), il Museum of Fine Arts di Koahsioung, il National Palace Museum di Taipei in Taiwan (2013), il Museo Novecento di Firenze (2015) e il Mart di Rovereto (2015).
Nel 2016 viene invitato a partecipare all'accurata selezione di artisti che espongono in occasione della mostra Italia Pop. L'arte negli anni del boom presso la Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo (Parma).
Nel 2017 le sue opere vengono esposte al Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino in occasione della mostra Dai 60's ai 60's. Un secolo dopo l'unità d'Italia, la Pop Art, a cura di Luca Beatrice e Ferruccio Martinotti, oltre che presso il Palazzo del Pegaso di Firenze, sede del Consiglio della Regione Toscana, in occasione della mostra personale Dagli anni '60 ad oggi.