Sulle rive del Paraná, in Paraguay, un museo ricorda l’avventura umana e scientifica di Mosé Bertoni, ticinese emigrato in Sud America nell’Ottocento.
L’imbarco è sul fiume Iguaçu, in Brasile, a bordo di un battello. Più in là, navigando ai confini con l’Argentina, l’acqua biancastra delle grandi cascate contrasta con il verde tropicale e il rosso del terreno. In guaraní iguaçu vuol dire grandi acque. Così gli indigeni chiamarono il fiume e le cascate. Una leggenda di questi luoghi ricorda l’amore di un dio per la bella Naipú fuggita con Caroba, suo amante, a bordo di una canoa. Per la rabbia, narra la leggenda, il dio tramutò le acque del fiume in cascate, Naipú in roccia, Caroba in albero. Gli amanti invisi al dio del grande fiume ancora oggi si guardano senza potersi sfiorare.
Il fiume Iguaçu è un affluente del Paraná. La regione è quella della grande centrale idroelettrica di Itaipu, delle vestigia delle missioni gesuitiche disseminate fra Brasile, Paraguay e Argentina. Qui vivono, venerati, i pesci dorati, le tigri del Paraná. Terra di prodigi e bellezze naturali, quaggiù ancora raccontano di quel corpo luminoso dalla grande scia rossastra che una notte di tanti anni fa cadde su Medianeira, lungo la rotabile Foz do Iguaçu-Cascavel, nel Paraná e su Lajeado Ipiranga. Era un meteorite, di quelli che fanno la gioia dei giornali locali.
Navigando lungo il Paraná, fra alberi e ramaglie aggrovigliate, dove si nascondono gli sguardi dei felini del Sud America e quelli di pappagalli e tucani, il battello giunge a Puerto Bertoni dove sorge, anch’esso nascosto fra la vegetazione, il Monumento Científico y Natural Nacional Moisés Bertoni. Siamo nell’Alto Paraná, nel Paraguay orientale, fra Brasile e Argentina, non lontano dalle cascate di Iguaçu e a qualche centinaio di chilometri da Asunción, capitale del Paraguay. Accoglie i visitatori, dopo una passeggiata fra la boscaglia e sentieri in pietra viva, un cartello con la storia e la mappa del luogo. La riserva protegge quei pochi ettari sfuggiti all’invasione gaucho-brasiliana della soia. Ma ciò che colpisce è la casa. Una casa in legno chiaro, pennellate amaranto, patio e balconata, cui fanno da guardia palme e alberi altissimi. Dentro, mobili antichi, macchinari, oggetti di lavoro, collezioni naturalistiche, libri. La casa, oggi museo, è quanto rimane dell’antica colonia Guillermo Tell fondata da Mosé Bertoni nel 1893.
Era il 31 marzo del 1884 quando Bertoni sbarcò a Buenos Aires, carico di bagagli, a bordo di una nave stivata di emigranti. Con lui, la moglie Eugenia, la madre Giuseppina, cinque figli, alcuni coloni svizzeri. Arrivava dal Canton Ticino, dov’era nato ventisette anni prima. Nel 1887, abbandonato dai compagni, era passato in Paraguay, fondando una colonia nell’Alto Paraná, trovandovi al suo arrivo, immersi nella foresta pluviale, gli indiani Mbya di lingua guaraní dediti alla caccia e alla pesca, nonché alla coltivazione di mais, manioca, fagioli, patate, arachidi.
Nel 1894 è ad Asunción, direttore della Scuola Nazionale di Agricoltura. Al suo ritorno, Puerto Bertoni, dove le coltivazioni sono ormai da reddito, diventa una stazione agronomica. Bertoni agricoltore e colono scrive, disegna mappe, studia climatologia, botanica, zoologia, etnografia, stila calendari delle piogge. Arrivano le grandi gelate con la distruzione delle piantagioni. Nel 1918 nasce la tipografia Ex Sylvis. Le macchine sono azionate a pedale. Manca l’energia elettrica, in una regione dove anche carta e inchiostro sono difficili da trovare. Passano gli anni. Della grande famiglia patriarcale c’è solo il ricordo. Quando nel 1929 Mosè ed Eugenia muoiono, la Guillermo Tell è ormai in decadenza.
Bertoni lascia in eredità parte della descrizione fisica, economica e sociale del Paraguay, un almanacco agricolo, una mappa del Paraguay orientale, libri e articoli scientifici. Molte delle sue collezioni botaniche, zoologiche, micologiche sono invece andate distrutte a causa delle alluvioni, dell’umidità, degli insetti. Non così i suoi manoscritti, oggi custoditi ad Asunción. Anni fa studiosi ticinesi hanno invece ritrovato, abbandonate in quest’angolo di foresta paraguaiana, le sue lettere. Bertoni oggi riposa sulle rive del Paraná accanto alla moglie Eugenia. Così come per la casa con patio, fanno loro da guardia palme e alberi altissimi. La loro ombra sull’uomo del grande fiume, creatore del mito della civiltà guaraní.