Italiana, anzi emiliana d’origine con un touch mitteleuropeo, nata nella Libia coloniale, radici di cui porta dentro una nostalgia lieve e struggente … quasi senza volerlo ha saputo imporsi nello scenario internazionale della fotografia di moda in un momento in cui lo chic non era un’opinione, ma un’esigenza assoluta. La sua apparizione e la successiva consacrazione negli Stati Uniti … risale alla metà degli anni Sessanta. Sono gli Stati Uniti, oltre alla trasfigurazione simbolica che di lei ordirà l’obiettivo di Gian Paolo Barbieri, a sancire la piena affermazione di Isa Stoppi ...
Così è presentata questa “Iside della moda”, nell’introduzione della monumentale monografia, pubblicata recentemente a Milano, dove lo stesso Barbieri la definisce così: “Intelligente, a differenza della maggior parte delle modelle, poco acculturate, aveva il dono di dare un tocco personale a tutto ciò che indossava, cosa anche questa molto rara”. Sempre nelle quasi 300 pagine di questa raffinata monografia, la Stoppi rende anche un omaggio riconoscente agli Usa e New York: “New York è la città che più amo, che più occupa il mio cuore. Un luogo che mi ha insegnato tanto, che mi ha formato, coinvolto e divertito, in cui da subito, quando ci sono arrivata alle prime armi, giovanissima, negli anni Sessanta, mi sono sentita parte del tutto, a casa... Ancora oggi vado molto spesso a New York e mi ci sento perfettamente a mio agio, assai felice, serena, appagata”.
Ricorda gli incontri che la metropoli statunitense le aveva offerto, da Alida Valli a Maria Callas, da Sinatra a Dustin Hoffman e, tra i suoi tanti corteggiatori illustri, cita Ted Kennedy, che “l’aveva riempita di tutti i possibili numeri di telefono della Casa Bianca e del Congresso, scritti su foglietti volanti e tovagliolini di carta dei bar … ”. Per la sua figura, per il suo portamento, per la sua personalità, Isa è stata paragonata a Iside, la magica dea egizia, che, come lei, ha “origini” africane e questo suo innato esotismo la porta oggi a passare gran parte dell’anno a Ibiza, dove è riuscita a costruirsi, in una zona lontana dalla costa costipata dal turismo estivo, una casa immersa in un magico ambiente, che le permette di rivivere: “Odori, sapori, frammenti d’immagine, reperti di memorie evocati dall’isola balearica che mi riportano alla mia infanzia nordafricana, riannodando il filo spezzato o confuso del ricordo e della comprensione; una specie di itinerario psicoanalitico à rebours, indotto inconsciamente dalle acque marine, dal fruscio di una palma, da un cielo smisurato spazzato dal vento ... ”.
Tra un volo a New York, un incontro a Milano e un soggiorno a Ibiza siamo riusciti a rivolgerle qualche domanda.
Lei ha rappresentato, dagli anni Sessanta, un nuovo modello di professionalità della modella, che da semplice “mannequin”, è diventata “modella”, nel senso più ampio di interprete della moda: come ha vissuto questa “rivoluzione”?
Erano completamente distinte le cose: l’indossatrice normalmente non faceva foto. Erano due ruoli differenti: i canoni della modella fotografica erano simili a quelle delle mannequin ma necessariamente dovevano avere bei tratti del viso e fotogenia. Tutto è cominciato dalle sfilate di Mila Schön, Valentino, St. Laurent, Pierre Cardin ecc.
È stata definita “una tigre bionda dagli occhi color acqua marina”: qual è il tipo di bellezza più confacente a una modella?
Per me non esiste un unico tipo di bellezza. La differenza si fa naturalmente tramite la personalità della modella stessa.
E oggi cos'è cambiato nel ruolo della modella, rispetto agli ultimi decenni?
Prima la modella era un personaggio anonimo, eravamo conosciute solo dagli addetti ai lavori.
Ha vissuto il passaggio dall'abito firmato, pezzo unico, al “prêt-à porter”: come si può conciliare stile ed esigenze di mercato?
Il prêt à porter ha reso possibile a tante donne di essere eleganti senza costi eccessivi.
Nel suo straordinario curriculum, ha sfilato nelle più importanti capitali internazionali della moda: quali sono, a suo avviso, i centri più vivaci e innovativi?
Londra sicuramente era conosciuta come “la rivoluzione del fashion” (es. Mary Quant, Biba, Ossy Clarck, Vivienne Westwood, Ken Scott).
Nel mondo della moda, gli stili, le tendenze, si susseguono a ritmo serrato: esistono dei punti fermi a cui è necessario essere ancorati per non cadere nell'effimero e nel “modaiolo”?
Mantenersi sul classico con – ogni tanto – un guizzo di fantasia e non essere “fashion victim”.
Come il culto di Iside, che nella Roma antica era stato a un certo punto perseguitato, lei ha scritto che, per sua esperienza personale, ancora negli anni '70, nella Milano borghese, il “culto” della moda e la nuova figura della modella non erano stati riconosciuti...
In Italia era effettivamente un “mestiere” sconosciuto; l’alta moda sfilava unicamente a Roma.
Che significato e importanza ha poi avuto Milano nell'affermazione e nello sviluppo della sua carriera?
Tutto è partito da Milano essendo stata scelta come rappresentante italiana al concorso di Miss Universo a Miami. Molti fotografi videro le mie foto, tra cui Gian Paolo Barbieri - il quale mi scattò subito una foto con un boa constrictor proveniente dallo zoo di Milano - che insieme a un grande make-up artist (Paolo Manzoni) rese questa foto iconica.
Esiste una “linea milanese” alla moda?
Lella Curiel sicuramente, Giorgio Armani, Donatella Versace.
Dopo una folgorante carriera come la sua e una vita, piena e dinamica, cosa direbbe di se stessa? Ci rispondono le sue parole tratte dalla monografia sopra citata:
Mi ritengo una persona fortunata. La vita mi ha chiesto molto ma mi ha comunque dato tantissimo. Posso dire, facendo un bilancio, che i miei debiti li ho pagati, senza nessuno sconto. Alle volte mi sembra di aver vissuto una fiaba, uno strano film in cui si susseguono momenti diversi e contraddittori. Ma tant’è. Ho realizzato molti sogni...