Cloak of rags (Tale of a dismembered bank, rendered in blue), è una mostra personale che trova la sua origine in un altro luogo, all’interno di un altro edificio, la banca citata nel titolo. Prima della sua completa ristrutturazione, la sede di UBS – un edificio di nove piani situato nel cuore del Principato di Monaco – è stato trasformato da Mike Nelson in un’opera d’arte, una mostra commissionata dal Nouveau Musée National de Monaco, inaugurata nel Luglio 2016.
L’interno dell’intero edificio e ogni sua singola superficie - componenti architettoniche, arredi, oggetti – era stato ricoperto di vernice blu, un orizzonte che si apriva ad un paesaggio completamente diverso, chiamato Cloak. Una volta entrati si aveva la sensazione di essere immersi sott’acqua, o forse intrappolati nello schermo blu di un qualche dispositivo sconosciuto, con un senso della percezione e della realtà piuttosto alterati.
Cloak è un’opera concepita in risposta all’edificio stesso, una riflessione sul suo stato corrente, sia sul suo valore come palazzo sede di una Banca nel centro di Monaco, sia in previsione della sua trasformazione in opera d’arte. La relazione tra denaro e arte, che si rispecchia nella geografia costantemente mutevole dei poteri e delle economie mondiali, ha spinto Nelson a pensare ai pigmenti, quali colori ma anche come valuta, come merce ricercata di scambio. Andando a ritroso nel corso della storia dell’arte, Nelson ha ricordato l’alto prezzo al quale veniva venduto il più prezioso tra i pigmenti, quello blu, l’oltremare.
L’etimologia della parola è un riferimento letterale a ‘oltre il mare’, alla posizione delle miniere situate nel Nord-Est dell’Afghanistan viste dalla prospettiva dei mercanti italiani che per primi portarono il pigmento in Occidente nel XIV e XV secolo. L’oltremare è stato ampiamente utilizzato nella pittura di età rinascimentale e barocca, solitamente riservato alla rappresentazione delle linee fluide e cadenti del manto della Vergine, in Inglese Cloak. Tracce dell’uso di questo pigmento sono tuttavia presenti già in epoche precedenti: ad esempio nelle sepolture del Neolitico, nelle tombe egizie, nelle regioni di Sumer e di Ur in Mesopotamia. Il lapislazzuli, la pietra semi-preziosa da cui il pigmento era ricavato, è stato estratto per millenni dalle miniere nei monti dell’Afghanistan nord-orientale, divenendo in tempi recenti la più grande risorsa per i popoli Talebani dopo l’oppio.
A Torino una nuova serie di sculture si lega direttamente alla conclusione del progetto espositivo a Monaco, continuandolo: vengono infatti riutilizzati per la loro realizzazione particolari architettonici, oggetti e materiali recuperati dall’edificio prima del loro smaltimento e della sua completa ristrutturazione.
Cloak of rags può interpretarsi quale necessità per l’artista di riflettere ancora una volta su un tipo di consunzione, quasi un atto di cannibalismo rispetto alla propria opera, un atteggiamento che guarda e risuona nei panorami più ampi della storia antica e di quella più recente, e negli scambi e negli incontri tra di esse a vari livelli.
Analogamente alle rovine che recano su di sé le tracce della loro storia – splendore, decadenza, riutilizzo, talvolta furto o saccheggio – Nelson e i suoi assistenti hanno rimosso parti e oggetti dall’edificio, consentendogli ancora di esistere in un campo e in un contesto completamente diversi.
Nonostante il fabbricato inteso quale accumulo di materiali non abbia un eccezionale valore economico, ne ha invece uno enorme dal punto di vista immobiliare, rispetto alle funzioni che svolge e alle persone che serve. I detriti che provengono da lì rivendicano e rappresentano ora invece una teoria di valori differenti, quelli che si possono genericamente definire con il termine arte.
A Torino, passando attraverso il varco di porte precedentemente appartenute alla Banca, lo sguardo cattura la vista di sezioni brutalmente strappate dagli interni dell’edificio, ed è come trovarsi di fronte a una strana e pittoresca distesa di rovine, un’estetica che si sostiene grazie a una complessa rete di associazioni e rimandi tra l’inusuale e l’ordinario.
Mike Nelson (Loughborough, Inghilterra) vive e lavora a Londra. Nelson ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia nel 2011, il suo lavoro è stato presentato in importanti mostre personali e collettive in tutto il mondo, tra le quali: ‘A Psychic Vacuum’, Creative Time, New York 2007; Turner Prize, Tate Liverpool 2007; ‘Eclipse: Art in a Dark Age’, Moderna Museet, Stoccolma 2008; ‘Kristus och Judas: a structural conceit (a performance in three parts)’, Statens Museum for Kunst, Copenaghen, Denmark; Tate Triennial 2009; ‘Psycho Buildings’, Hayward Gallery 2008; ‘September 11’, MoMA PS1, 2011; ‘408 tons of imperfect geometry’, Malmö Konsthall, 2012; ‘M6’, Eastside Projects, Birmingham 2013; CAG, Vancouver, Canada; ‘Studio apparatus for Kunsthalle Münster’, Kunsthalle Münster, Germania 2014; ‘Amnesiac Hide’, The Power Plant, Toronto, Canada, 2014; ‘80 Circles through Canada’, Tramway, Glasgow 2014; ‘Sensory Spaces 8’, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam 2016; ‘Imperfect geometry for a concrete quarry’, Kalkbrottet, Limhamn, Malmö 2016; ‘Wanderlust’, High Line, New York, 2016. Ha partecipato inoltre alle Biennali di: Venezia 2001, Sydney 2002, Istanbul 2003, São Paulo 2004, Singapore 2011, Lione 2015.