I millenni e i secoli della civiltà umana, o almeno di quella parte che giunge a noi con caratteristiche ed elementi coerenti basati su documentazioni e racconti suffragati da elementi di prova, come anche le sensazioni, le suggestioni, le rievocazioni di quel che l’intelligenza e la capacità dell’uomo hanno saputo far arrivare sino a noi come echi del passato, della preistoria, di quella che si definisce la notte dei tempi, ci rimandano in modo chiaro il ruolo di una pianta che sembra accompagnare da sempre il corso del cammino umano: la vite!
La vite, o vitis vinifera, fa parte della famiglia delle Vitacee e in realtà è un arbusto che si sviluppa in tutta la sua bellezza grazie ai sostegni creati dall’uomo. Ha le foglie verdi accese a forma di stella e il frutto che ne cresce è universalmente conosciuto. Esso è un grappolo con chicchi bianchi-giallastri o neri-violacei denominato uva, che una volta lavorata sapientemente produce il vino. Le sue origini, lo abbiamo sottolineato, risalgono a tempi antichissimi. La Vite compare nella Bibbia dove già veniva considerata una albero sacro e il vino, una bevanda divina. I profeti Michea e Zaccaria affermavano che essa potesse essere realmente l’albero della vita del Paradiso terrestre. Sempre all’interno del contesto cristiano, la Vite diviene il simbolo di Israele e viene metaforicamente curata e vendemmiata da Dio che è il suo sapiente vignaiolo.
Probabilmente la coltura della Vite e il vino che ne deriva provengono dall’Asia Minore come il Dio che li rappresenta nell’antica cosmologia, Dioniso. Esso fu il frutto di uno dei tanti “adulteri” di Zeus, che dopo esser riuscito a trovare Persefone, figlia della dea Demetra, si trasformò in serpente seducendo la giovane e concependo il dio. Era, gelosa del frutto di quell’adulterio, mandò i Titani a uccidere il piccolo, che fu fatto a pezzi e bruciato, ma si narra che dalle sue ceneri, in seguito, nacque la prima pianta di Vite.
Viene da qui, il messaggio di sacrificio e resurrezione che accomuna per certi versi la figura di Gesù Cristo e Dioniso, entrambi simboli della vita e con un destino intrecciato con la Vite. La storia e la mitologia ci raccontano che essa era strettamente collegata ai misteri dionisiaci di morte e resurrezione tanto che il liquore forte ottenuto dalla fermentazione della vite è chiamato “acquavite”, ossia acqua di vita, che in antico gaelico si dice “whiskey”. Divinità dell’ebrezza, della gioia di vivere, della passione e dell’impetuosità dei sentimenti, la sua breve vita è la metafora della lavorazione dell’uva fino a trasformarsi in vino. Prima viene raccolta nel piacevole mese di settembre e poi viene pigiata e straziata per prepararla al processo di fermentazione che culminerà nella trasformazione in vino. Naturale e potremmo dire coerente la considerazione che ne discende: così come la vita: nascita, crescita, morte, trasformazione e resurrezione, elemento presente in forme diverse in tutte le religioni sin dall’antichità. Dioniso, prima di divenire la divinità del vino, fu il dio della linfa vegetale, il polline fecondatore che rende i frutti maturi e succosi, Insomma, la vita in tutte le sue sfaccettature.
La narrazione può anche continuare. Una divinità simile che possiede le stesse caratteristiche è l’egizio Osiride che, secondo una leggenda, insegnò agli uomini l’arte di intrecciare la vite e ottenerne il vino. È particolarmente interessante riflettere sul fatto che nella lingua italiana il termine “Vite” abbia la stessa radice etimologica di vita, mentre il termine tedesco “Wein” (vino) derivi dal verbo “weinen” ossia piangere, sicuramente sono parole strettamente correlate alla religione cristiana e alla rappresentazione del sangue di Cristo versato per l’umanità e alla vita donataci dopo tante sofferenze subite. In conclusione, si può intravedere nella vite la trasposizione della vita verso un percorso di tipo evolutivo e di miglioramento.
La pianta della vite è stata usata negli antichi scritti di molte culture sia dell'Asia che dell'Europa o del Medio Oriente per descrivere la vita stessa che, tra l'altro, ha la stessa radice presente nel nome: la pianta della vite è in linea con il principio latino "in vino veritas" ovvero "nella vite esiste la verità" o "nel vino c'è la verità", o ancora "nel vino c'è la saggezza". Molti i significati connessi alla vite e ai suoi frutti. Tra questi vita abbondante; gioia di vivere bene; protezione dagli spiriti maligni; devozione per i frutti dello spirito; il desiderio di prosperità, fertilità e bellezza nella vita. Ancora, parole chiave della pianta della vite sono considerate gioia, fede, piacere, pienezza, antichità, maturazione; saggezza; fecondità; abbondanza; prosperità; celebrazione; giovinezza.
Ci sembra anche importante sottolineare tra questi aspetti anche quelli del lavoro, della fatica e della complessità che sono alla base del processo che porta dalla pianta al suo frutto e al vino che ne deriva. Caratteristiche che sono proprie di quanti cercano di ottenere il risultato agognato ex vite, potremmo dire, nei luoghi più impensati e soprattutto difficili della terra o che tentano e riescono a ottenerne in realtà fisiche ai limiti e normalmente considerati non adatti. Si sviluppa da questa analisi l’iniziativa, nata e realizzata in Veneto, dove si è svolta per due anni, ed è ora divenuta itinerante la manifestazione dedicata ai vini prodotti da uve coltivate in zone sconosciute e geograficamente impervie dove la viticoltura è una sfida.
Vini da terre estreme, questo l’evento, che è stato ospitato nel mese di ottobre a Roma, nella sede della F.I.S./Fondazione Italiana Sommelier - partner della manifestazione insieme a Bibenda, la rivista rivolta a tutti i professionisti e gli appassionati del mondo del vino e all'Associazione no profit "La Tavola Italiana", un progetto nato per promuovere la cultura del cibo tutelando l'ambiente, la sua storia, le sue tradizioni, e a Proposta Vini, distributore di numerose etichette estreme.
Per vino "estremo", si indica quello prodotto con uve coltivate in zone sconosciute, geograficamente impervie, in minuscoli fazzoletti di terra strappati alla montagna o al mare. Estremo, in sostanza, come le condizioni ardue e faticose in cui i vignaioli sono costretti ad allevare le viti, in un confronto quotidiano con una natura difficile che richiede sacrificio, sapienza ed esperienza. La manifestazione ha proprio l‘intento, osservano i suoi promotori, “di rendere omaggio alla "tenacia" di questi vini e all'eroismo degli uomini che li realizzano”. Un'iniziativa creata per valorizzare e far conoscere al mondo dei consumatori e dei professionisti i risultati unici e straordinari che nascono dalla peculiarità di questa condizioni: perché questo incontro-scontro con la natura origina spesso prodotti rari, vini a volte ruvidi ma sempre di forte carattere e personalità. E con tante storie, sentimenti e umanità racchiusi in ogni bottiglia.
Trentatré le aziende che hanno preso parte alla manifestazione per oltre 100 etichette "estreme". La loro collocazione va dal nord al sud. Dalla Valle d’Aosta, alla Liguria, alla Lombardia, al Veneto, al Friuli, alla Slovenia, al Trentino Alto Adige, poi via via lungo la penisola sino al Sud, la Campania, la Calabria, e alle Isole, la Sardegna e al Sicilia.