L’iperico è una pianta che ha sempre affascinato gli uomini, già a partire dall’etimologia del suo nome, che significa “oltre l’immagine”. Del resto, le più antiche leggende narrano che l’iperico sia nato dal sangue di Prometeo, punito da Zeus per aver donato il fuoco agli uomini. Il fuoco che appunto permette agli uomini di “vedere oltre”, superando il buio e le tenebre.
In molte lingue, l’iperico viene comunemente chiamato “l’erba di San Giovanni”: infatti, la tradizione vuole che si raccolga nella notte tra il 23 e il 24 giugno o proprio durante questo giorno, in cui viene tradizionalmente celebrata la festa di San Giovanni. In molte campagne italiane, soprattutto piemontesi, lombarde ed emiliane, la raccolta era accompagnata da riti propiziatori: per esempio, in Piemonte i sacerdoti solevano benedire i fuochi accesi dai contadini, atti a propiziare i raccolti e la buona salute. Una tradizione molto suggestiva questa, di cui si trovano tracce anche nella letteratura: basti pensare alla famosa opera di Cesare Pavese La luna e i falò.
Il 24 giugno fin dall’antichità è stato considerato un giorno magico, forse perché coincide con il solstizio d’estate, il momento in cui il Sole si trova nel suo apogeo, ovvero nel punto più lontano rispetto alla Terra. E tutte queste tradizioni sottolineano, ancora una volta, il carattere fortemente solare e positivo di questa pianta, capace appunto di farci “vedere oltre”, guarendo sia le ferite del nostro corpo che quelle del nostro animo.
L’uso esterno dell’olio di iperico come cicatrizzante, utile in caso di ferite, scottature e piaghe da decubito, risale a tempi antichissimi: secondo il mito, Medea donò all’amato Giasone un “unguento prometeico”, composto appunto da foglie di iperico, per proteggerlo dal fuoco. È inoltre storicamente documentato che, durante le crociate, i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme fossero soliti curare le ferite dei combattenti utilizzando l’olio ricavato da questa pianta. In questo caso, si basavano sulla cosiddetta “dottrina dei segni” tanto in voga in epoca medievale, secondo la quale le infermità di qualsiasi parte del corpo potevano essere curate con le piante che avevano la forma di quella specifica parte. E infatti, se si osservano le foglie di iperico in controluce, esse appariranno costellate da piccole ghiandole trasparenti simili a perforazioni, e quindi a quelle ferite che i soldati riportavano in battaglia.
Ma se l’olio di iperico è capace di guarire le ferite esterne del nostro corpo, ben più importante è quello che riesce a fare questa pianta se assunta internamente: essa infatti, riesce a guarire le “ferite” del nostro animo, tanto da essere oggi ritenuta uno dei più potenti antidepressivi naturali. Non bisogna infatti credere che le depressioni nervose siano “malattie moderne”: esse sono state documentate fin da tempi antichissimi, e l’iperico è stato sempre ritenuto il rimedio naturale più efficace per combatterle, tant’è che un altro dei nomi con cui è conosciuto è “erba scaccia diavoli”, per la sua capacità di fugare i fantasmi e le ombre della psiche.
L’uso dell’iperico come antidepressivo è storicamente documentato a partire dal I° sec. d.C.; si può qui citare Plinio Il Vecchio nel XXVI libro della sua Historia Mundi: “I semi di iperico con i fiori di timo servono contro le convulsioni e le tensioni nervose, sia come unguento che per uso interno”. Andando più avanti nel tempo, nel Medioevo si usava tenere alcune foglie d’iperico sotto il cuscino proprio perché, essendo capace di “scacciare i diavoli”, aiutava a riposare meglio. Inoltre, quando si riteneva che una donna fosse posseduta dal demonio e nemmeno gli esorcisti riuscivano a guarirla, le si mettevano in seno alcune foglie d’iperico e se ne sparpagliavano altre nella sua abitazione. Del resto, la consuetudine di tenere in casa alcune foglie d’iperico e di metterle anche vicino alle finestre per impedire ai demoni di entrare nell'abitazione è documentata ben oltre il Medioevo. A tal proposito, si può leggere quanto scrive Pier Andrea Mattioli nella sua opera I discorsi del Matthioli, datata 1568: “Scrivono alcuni essere l’Hiperico tanto in odio à i Diavoli, che abbrusciandoli, e facendoli fumento con esso nelle case, ove li sentono, subito sene partono via, perciò è chiamato da alcuni caccia diavoli, ovvero fuga demon”.
Il fatto che l’uso dell’iperico per riequilibrare il tono dell’umore fosse ampiamente diffuso in tutta Europa è dimostrato dalle molte citazioni che si possono estrapolare da diverse fonti. Per esempio, in un testo olandese stampato nel 1618, il Cruydt Boeck di Dodonaeus, si legge “le sommità fiorite estratte in vino aromatico, ristretto tramite ebollizione e bevuto molto caldo, servono contro le tensioni dei rimorsi interiori”. O ancora in un testo austriaco ottocentesco, Abbildung der inn und ausländischen Bäume, Stauden und Sträuche del botanico Schultz, corredato tra l’altro di bellissime tavole a colori raffiguranti le piante che adornavano i giardini dell’epoca, tra le quali si trovano molte specie di iperico, si legge relativamente a questa pianta: “l’iperico era conosciuto come Daemon fuga, caccia diavoli e veniva usato quando si avvertivano stati di malinconia spesso dovuti anche, secondo la tradizione, a forze soprannaturali”.
Lasciando stare le forze soprannaturali, l’uso dell’iperico come antidepressivo, capace di portare gli stessi risultati dei farmaci di sintesi senza però averne gli effetti collaterali, è stato da molto tempo scientificamente provato ed è oggi largamente diffuso. Un solo dato su cui riflettere: sia il mercato statunitense che quello tedesco negli ultimi anni hanno visto un notevole aumento del consumo di iperico, che tra tutti i fitoterapici è uno dei più richiesti. Insomma, per le sue innumerevoli proprietà l’iperico può veramente essere considerata una pianta capace di portare “la luce oltre le tenebre” e tutte le leggende e le superstizioni ad essa legate mostrano chiaramente come il passato sia sempre in grado di fornirci preziose indicazioni per il nostro presente.