Ci sono alcune musiche che diventano e restano come degli "imprinting", specie se te ne appassioni nell'adolescenza. Per me una di queste è l'ouverture delle musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare scritta da Felix Mendelssohn. Possiamo applicare a questa composizione ciò che Rimbaud scrisse nelle sue celebri Vocali.
Nei quattro incantevoli e delicati accordi di flauti che inaugurano e sigillano questa musica, come un alfa e un omega, ci troviamo infatti di fronte ad una musica blu, viola, cianica. Una "porta iniziatica" che sommessamente apre al prorompere di un "fantastico" che subito si impone nell'impazzire sottile e volatile degli archi. E' difficile trovare un’altra musica così narrativamente e fonicamente mimetica rispetto al suo contesto semantico e pratico di riferimento. Baricco commentò un passo di Rossini (amico di Paganini) che, a sua detta, "iniziava come finendo, diminuendo" (Il genio in fuga, Einaudi) e questa notazione la possiamo predicare anche per questo celebre incipit di Mendelssohn. Qui però non siamo in presenza di una “cadenza ingannevole” atta a suscitare teatrale suspence come nel Guglielmo Tell, ma di vero e proprio rito magico dove la musica si fa timbro puro, assolutamente aliena da contesti musicologici culturalmente o tecnicamente predefiniti, e, quindi, potentemente evocativa.
Una rivoluzione che veicola una nuova filosofia della musica quale via di conoscenza autonoma, quasi in un ritorno della concezione demonica egizia di Giamblico. Rovistando fra i miei vinili adolescenziali ho trovato anche Le streghe di Paganini (1813). Rovistando ancora ecco uscire fuori da vecchie scansie altri tesori. In ordine di apparizione: la Sinfonia Fantastica di Berlioz (1830) e la Danza macabra di Liszt. A questo punto mi sono chiesto: ma questi grandi della musica che all'inizio dell'Ottocento sembrano rievocare dimensioni fantastiche, miti, leggende medioevali, si conoscevano fra di loro? Ecco la piacevole sorpresa: non solo si conoscevano ma si stimavano e si influenzavano a vicenda! Studiandoli nelle loro opere di ispirazione "fantastica" e nelle loro vite scopriamo conferme del sorgere del Romanticismo quale naturale sviluppo a partire dall'Illuminismo e quale "fioritura post-traumatica" rispetto allo sconvolgimento della rivoluzione francese. Quello che Goya ha anticipato, pochi anni prima dei nostri “fantastici quattro”, con le sue rivoluzionarie e sconvolgenti opere dedicate a “sabba”, demoni, incubi e streghe (fra il 1797 e il 1823), lo ritroviamo quasi simultaneamente nella grande musica dove la sperimentazione tecnica si associa all'evocazione di matrici culturali e temi notturni, crepuscolari, ancestralmente mitopoietici.
Paganini ascolta Berlioz a Parigi insieme a Liszt, Hugo, Heine e commissiona a Berlioz un concerto per viola nel 1834. Liszt ama l'opera di Paganini tanto da riscrivere per pianoforte i suoi concerti per violino ed orchestra, e in particolare la Campanella. Il Totentanz di Liszt, da lui continuamente gestato e rielaborato per 25 anni, influenza l'ultimo movimento della Sinfonia Fantastica di Berlioz, non a caso dedicato al "sabba delle streghe". Liszt conosce Mendelssohn e nel 1830 assiste alla prima esecuzione della Sinfonia Fantastica di Berlioz il quale incontra anch'egli Mendelsshon, a Roma, diventandone amico. Liszt trascrive per pianoforte lo stesso capolavoro di Berlioz, ricco di sperimentalismi tecnici dirompenti. Analogamente Nella stessa Rapsodia Ungherese n°2 di Liszt, la più celebre, la sperimentazione tecnica e fonica supera la dimensione della trasfigurazione della musica popolare, secondo le teorie romantiche del Volk, per indurre sensazioni di "fantastico puro", quale aura in cui il linguaggio è sorgivamente sciolto nelle proprie potenzialità fisicizzanti, giungendo a livelli di libertà espressiva quasi pre-jazzistici.
Si tratta infine di quattro artisti molto simili per due aspetti fondamentali: la genialità precoce e la grande forza creativa di innovazione. Liszt suona a 14 anni davanti al re d'Inghilterra Giorgio IV quale virtuosista prodigio (un sorta di "Paganini" del pianoforte), Mendelssohn compone il Sogno di una notte di mezza estate a soli 17 anni, e Berlioz cresce musicalmente quale geniale autodidatta. Ma cosa significa “fantastico”? Deriva dal greco “phàntasma”: larva, spettro, visione, fantasma, apparenza, immagine. Il termine nella sua purezza etimologica evoca efficacemente la rivoluzione che attraversa anche la musica nel passaggio da un baricentro contemplativo ed accademicamente architetturale ad una polarità esistenziale, pittorica, demiurgica.
Questi quattro maestri introducono una musica che crea “corpi immaginali”, che coinvolge e assorbe chi ascolta in un proprio autonomo processo ermeneutico. L'emozione entra a far parte sensibile e strutturale dell'idea di musica e della sua percezione. Fra di essi assaporiamo una simile mimeticità dirompente con la quale la musica si fa gesto, colore, immagine, espressionismo, sviluppando nuove performatività. Se la musica diventa “immaginazione sensibile” allora non è difficile che sorgano parallelismi ermeneutici di tipo musico-immaginale come la mimesi del verso dell’asino nella trasformazione quasi apuleiana nel capolavoro di Mendellsohn e la “metafora asinina” pure applicata dai contemporanei a certi salti di ottava vertiginosi nei celebri “staccati” di alcuni Capricci di Paganini.
La traslazione ed inversione linguistica è epocale, anticipando persino il concetto di “postmoderno” (ma libero da decadenze decostruttiviste), in quanto questa nuova musica che celebra il “fantastico” eleva a se stessa e ai propri autori un processo di prometeica mitizzazione. Il rapporto fra ermeneutica e linguaggio musicale si ribalta: quest’ultimo si autonomizza sfuggendo alle più varie ancillarità ed erigendo una propria ermeneutica interna. Non furono comunque tempi connotati solamente da facili successi. L’impresa ebbe dell’eroico. I sacrifici giovanili furono grandi. Liszt fu rifiutato al Conservatorio ed ebbe una giovinezza inquieta e travagliata, Paganini scontò un’adolescenza sofferente sotto il rigore paterno, come già Mozart, Berlioz veniva preso in giro nelle caricature dei giornali che mostravano dei cannoni nella sua orchestra a ridicolizzare il fragore dei suoi fiati.
Questi quattro maestri ci confermano, nel suo farsi, sull’origine della Modernitas quale operazione di creativa rimitizzazione. La modernità non nasce infatti da una nuova mitizzazione del fantastico con Shakespeare, Milton ed Edmund Spenser? Siamo in quella sfera che ontologizza i mondi esistenziali ed intermedi della creatività umana. Una dimensione simile a quella “subcreativa” (rispetto alla creatività di Dio) di cui parla Tolkien. Se vogliamo approfondire le matrici culturali del primo Romanticismo ci aiuta ancora un volta lo stesso Mendelssohn, in quanto suo nonno, Moses Mendelssohn, fu filosofo illuminista ed elaborò una sua nuova "teoria del sentimento", influenzata dall'empirismo sensista inglese, la quale può essere considerata una delle matrici culturali del "nuovo corso" estetico che ancora oggi si perpetua. Moses riprese la concezione estetica del leibnitziano Alexander Gottlieb Baumgarten, per il quale il sentimento era alla base dell'autonomia dell'estetica quale dimensione paralogica, analogica ed esistenziale, dotata di una propria facoltà conoscitiva.
Sono bastate due generazioni e quattro musicisti geniali affinché da elitarie discussioni di “filosofia della conoscenza” si sia passati a cambiare in modo rivoluzionario, nella prassi, lo sviluppo della società con quella ciclica “tempesta immaginale” che è il Romanticismo, creando così le premesse per la società di massa e per la "società dello spettacolo" di "situazionistica" memoria. Neppure il Novecento può comprendersi senza la rivoluzione estetica del Romanticismo e il suo pensiero magico, comune substrato per le grandi ideologie e per le avanguardie artistiche. Non è inutile ricordare che la figlia di Liszt, Cosima, sarà la moglie di Wagner e sarà venerata da Nietzsche quale icona di sapienza ed illuminazione.