1.013 morti in quattro Paesi dell'Africa Occidentale (Liberia, Sierra Leone, Guinea e Nigeria), un’epidemia di nuova generazione che ricorda i tempi cupi degli untori, che riporta alla luce, in maniera schiacciante e tragica, l’impotenza dell’essere umano di fronte all’enormità delle catastrofi.
L’Ebola ha reso urgente la riflessione bioetica da una parte e una tempestiva presa di posizione dell’OMS dall’altra, e così è stato: al termine del vertice tenutosi a Ginevra, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito l’eticità della sperimentazione umana dei nuovi farmaci per combattere il virus che causa l’Ebola e ritiene lecito, in questa particolare circostanza, offrire profilassi non testate la cui efficacia debba essere ancora dimostrata, così come eventuali effetti collaterali negativi, come potenziale trattamento o procedura di prevenzione.
In termini pratici questo sta a significare che i nuovi farmaci che si stanno producendo saranno sperimentati direttamente sui pazienti che hanno contratto il virus, anche a rischio di effetti collaterali gravi che non è stato possibile testare a priori. Questo tipo di decisione apre le porte alla discussione bioetica riguardo alla sperimentazione umana e coinvolge, a pieno titolo, sia il Principio di Precauzione che quello di Autonomia. Il primo vive in bilico sul delicato filo del rapporto tra rischio e beneficio, il secondo, imprescindibile in una società che voglia definirsi civile e democratica, dovrebbe essere tutelato dalla normativa sul consenso informato che impone al medico di non prescindere dall’autorizzazione del paziente al trattamento.
Nel caso specifico dell’Ebola, il principio di Precauzione, almeno per ora, sembra essere di più facile gestione in quanto il rapporto tra rischio e beneficio è talmente sproporzionato da non lasciare spazio per una reale critica alla posizione presa dall’OMS; trattandosi di un virus letale, infatti, il rischio di effetti collaterali non potrebbe superare la prospettiva, seppur niente affatto scontata, di una possibile guarigione, come è accaduto nel caso dei due sanitari statunitensi. Diverso è invece il discorso quando si tratta del Principio di Autonomia, in questo caso è fondamentale tener presente che non può esserci autonomia senza consapevolezza, ovvero, senza una reale conoscenza e consapevolezza alla base della decisione del singolo non si può sostenere che si tratti di una scelta autonoma.
Quanto il consenso informato possa oltrepassare questa problematica è, ad oggi, ancora da stabilire. Infatti, perché si tratti di un’informazione adeguata sarebbe necessario che venissero forniti anche tutti gli strumenti socio culturali per poterla acquisire, cosa che accade raramente quando si tratta di epidemie di queste dimensioni, sia per il livello di emergenza assoluta che lascia poco spazio d’azione, sia per le situazioni socio culturali che troppo spesso fanno da sfondo a questi contesti sanitari. Ci troviamo davanti a tre diversi tipi di ragioni: le ragioni della scienza medica, le ragioni del business e le ragioni della speranza. Le prime impongono l’agire e la necessità di sperimentare in modo da poter progredire e salvare vite, le seconde sono quelle che determinano i fenomeni che poi ostacoleranno le prime, le terze sono indiscutibili e giustificano l’agire a ogni costo per superare l’emergenza sanitaria.
La problematica bioetica nasce anche a fronte della connessione tra scienza medica, sperimentazione umana e lobby farmaceutiche. La richiesta di sperimentazione a basso costo e la totale assenza di una coscienza etica hanno avuto come conseguenza l’utilizzo di cavie umane su cui testare i nuovi farmaci che sarebbero poi stati rivenduti a caro prezzo dall’altra parte del mondo. Questo il rischio anche dell’ebola, le ragioni del bisogno si legano, in un connubio letale, con quelle economiche e i ceti sociali più bassi dei paesi del terzo mondo o dei paesi in via di sviluppo si sottopongono alla sperimentazione come cavie consenzienti, ma sicuramente non autonome. D’altro canto è imprescindibile la decisone dell’OMS di agire, non farlo sarebbe altrettanto scorretto dal punto di vista etico, come dimostra la guarigione dei due statunitensi.