“Otto minuti da sogno”. Così veniva reclamizzata, nell'estate del 1914, la più strabiliante attrazione dell'Esposizione Internazionale di Igiene, Marina e Colonie di Genova: si trattava della prima monorotaia elettrica “a sella” realizzata sul continente europeo, denominata e memorizzata dai Genovesi, storpiando un termine inglese, come “il Telfer”.
Gli studi ingegneristici sulle monorotaie datavano ormai più di mezzo secolo, specialmente in Nord-America e Gran Bretagna, ma raramente avevano contemplato un utilizzo diverso dal trasporto merci. In Germania, a Wuppertal, era stata inaugurata nel 1904 ed esiste ancor oggi la Schwebebahn, una monorotaia sospesa ovvero a guida dorsale, anzichè ventrale come nei sistemi a sella.
Di lì a poco Genova, reduce dall'Expo Colombiana del Quattrocentenario (1892), si sarebbe riproposta come sede fieristica, ottenendo il benestare governativo per il 1914. Temi cardine della manifestazione sarebbero stati l'Igiene (intesa come benessere psico-fisico), l'economia marittima, (dalla cantieristica alle rotte commerciali), il contributo degli Italiani al progresso mondiale, sia come “civilizzatori” (le Colonie, da poco aumentate con l'annessione di Libia e Dodecaneso), sia come emigranti (mostra Italo-Americana).
I padiglioni, il cui bizzarro, variopinto disegno fu curato da una valida squadra di progettisti diretta da Gino Coppedè, avrebbero trovato posto negli oltre 70mila metri quadri della spianata di Piazza di Francia, antistante la nuova stazione di Brignole (attuali piazze Verdi e della Vittoria). Degno contraltare dell'area espositiva sarebbe stato il porto stesso, protagonista e simbolo della vorticosa crescita della marineria italiana, che per l'occasione si sarebbe concesso alla curiosità dei visitatori grazie ad appositi tour in vaporetto.
Occorreva quindi collegare adeguatamente queste due polarità, con un'opera che fosse essa stessa motivo di interesse.
All'interno del Consorzio Autonomo del Porto, sia il presidente Nino Ronco sia l'ingegnere capo Enrico Coen-Cagli cercavano una soluzione che lasciasse tutti sbalorditi: l'idea iniziale di una funivia orizzontale, presentata dall'ing. Ferretti, venne accantonata (salvo essere poi impiegata per un impianto di risalita fra piazza di Francia e il colle di Carignano) in favore di un progetto già elaborato anni prima dalla “Bellani, Benazzoli & C.” per collegare Milano a Milanino: una “tranvia elettrica sospesa a rotaia singola” veloce, robusta e del tutto svincolata dal traffico urbano; il costo esorbitante sarebbe stato compensato non tanto dagli incassi in periodo di fiera, quanto dal successivo reimpiego per il trasporto merci dal porto (di cui ancora si ipotizzava l'ampliamento verso levante) verso lo scalo di Brignole (su cui era previsto l'innesto di due nuove linee transappenniniche direttissime, verso Tortona e verso Piacenza).
Il cantiere iniziò il 26 gennaio 1914; il 23 maggio, giorno dell'inaugurazione dell'Expo, i Reali poterono contemplare l'opera pressochè ultimata: in appena 100 giorni lavorativi, ridotti a 50 per le avverse condizioni meteomarine, le imprese Mantelli e Corbella avevano realizzato, lavorando anche di notte con organici fino a 600 uomini contemporaneamente, 2,2 km di travate “Vignoles” poggianti su 72 cavalletti di calcestruzzo armato, molti dei quali immersi nel mare, nonchè le stazioni di molo Giano e Piazza di Francia; nel frattempo la Carminati&Toselli aveva fornito il materiale rotabile, consistente in quattro carrozze e una motrice.
Le immagini del manufatto, immancabili in qualsiasi collezione genovese di cartoline d'epoca degna di tale qualifica (in tal senso non mi stancherò mai di ringraziare l'amico Stefano Finauri) trasmettono meglio di qualsiasi descrizione la meraviglia che doveva suscitare questo piccolo prodigio. A terra, sguardi increduli accompagnavano il convoglio, sferragliante alla ragguardevole velocità di 20 km/h sotto l'occhio vigile del macchinista affacciato da un finestrino laterale della motrice baricentrica. A bordo, i fortunati possessori del biglietto da 1 lira (se avevano già pagato l'ingresso all'Expo, sennò il prezzo aumentava di 20 centesimi) si godevano il panorama, il fascino della velocità e la sensazione di volare standosene comodamente su sedili disposti a gradinate. Questa magia andava in scena per la prima volta il 18 giugno 1914.
Tutto lasciava presagire una nuova stagione di progressi, scoperte, conquiste. Tutto si poteva immaginare, tranne che di lì a dieci giorni, a Sarajevo, il mondo avrebbe imboccato la strada verso la prima grande carneficina dell’età contemporanea.
Sei mesi dopo, il deludente bilancio dell’Expo (l’imbarazzante media giornaliera di 4500 ingressi, per un totale inferiore alla soglia psicologica del milione di visitatori), confermava una volta per tutte non solo le gravi deficienze in fatto di promozione pubblicitaria dell’evento (disastrosa abitudine ancor oggi molto in voga a Genova) ma anche la diffidenza della comunità internazionale nei confronti di un’Europa ormai ben oltre il punto di non ritorno.
Non c’era più traccia dell’entusiasmo dei giorni dell’inaugurazione: grigie considerazioni ragionieristiche affossavano l’idea di prorogare la fiera, provocando conseguentemente la fine del servizio del Telfer. Probabilmente gli osservatori più attenti già prefiguravano la sbrigativa dismissione di questa scintilla di Futuro, ma forse quelle stesse persone erano portate dalla propria lungimiranza a preoccuparsi di ben altro.
Ancora cinque mesi, e il Piave avrebbe iniziato a mormorare la sua lugubre filastrocca.
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