Ho letto nei giorni scorsi la bellissima Lettera di Papa Francesco (pubblicata il 17 luglio 2024, dodicesimo anno del suo Pontificato) sul ruolo della letteratura nella formazione. Davvero un documento bello e decisamente utile per capire che “è necessario recuperare modi di rapportarsi alla realtà ospitali, non strategici, non direttamente finalizzati a un risultato, in cui sia possibile lasciar emergere l’eccedenza infinita dell’essere.
Distanza, lentezza, libertà sono i caratteri di un approccio al reale che trova proprio nella letteratura una forma di espressione non certo esclusiva ma privilegiata. La letteratura diventa allora una palestra dove allenare lo sguardo a cercare ed esplorare la verità delle persone e delle situazioni come mistero, come cariche di un eccesso di senso…”. Il documento – in estrema sintesi – offre due filoni di approfondimento molto interessanti. Il primo riguarda, potrei dire, il lato “formativo umano”, nel quale impariamo che nella lettura del racconto, della poesia si “scatenano in noi nello spazio di un’ora tutte le possibili gioie e sventure che, nella vita, impiegheremmo anno interi a conoscere in minima parte… Leggendo le grandi opere della letteratura divento migliaia di uomini e, allo stesso tempo, rimango me stesso. Qui, come nella religione, nell’amore, nell’azione morale e nella conoscenza, supero me stesso, eppure, quando lo faccio, sono più me stesso che mai”.
Leggendo è come se riuscissimo ad immergerci “nell’esistenza concreta ed interiore del fruttivendolo, della prostituta, del bambino che cresce senza i genitori, della donna del muratore, della vecchietta che ancora crede che troverà il suo principe. E possiamo farlo con empatia e alle volte con tolleranza e comprensione”. Perché “lo sguardo della letteratura forma il lettore al decentramento, al senso del limite, alla rinuncia al dominio, cognitivo e critico, sull’esperienza, insegnandogli una povertà che è fonte di straordinaria ricchezza”.
Ci educa anche a potenziare la sensibilità e a non ridurre la complessità della vita. Leggendo poi, “scopriamo che ciò che sentiamo non è soltanto nostro, è universale, e così anche la persona più abbandonata non si sente sola”. Ecco – aggiunge il Papa – una definizione di letteratura che mi piace molto: “ascoltare la voce di qualcuno”.
Passando, infine, al secondo filone – più spirituale e religioso – Francesco ci ricorda (citando il Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 22) come solamente nel mistero del Verbo incarnato trovi vera luce il mistero dell’uomo; ma non “il mistero di un’umanità astratta, ma il mistero di quell’essere umano e concreto con tutte le ferite, i desideri, i ricordi e le speranze della sua vita”.
Pertanto, “la letteratura scopre gli abissi che abitano l’uomo, mentre la rivelazione, e poi la teologia, li assumono per dimostrare come Cristo giunge ad attraversarli e a illuminarli”. Il cristiano, infatti, deve vivere la sua fede utilizzando il materiale del mondo. E lo potrà fare soltanto se avrà familiarizzato con questo materiale. Ecco che le “parole viventi” della letteratura lasciano trasparire la infinita gamma della realtà, … “simili a conchiglie dentro le quali risuona il vasto mare dell’infinità” (v. A. Spadaro, La grazia della parola – Karl Rahner e la poesia, Jaca Book, 2006, pag. 47). Per questo il credente – attraverso la letteratura – conosce più intimamente le profondità umane, per comprenderle e interpretarle alla luce di Dio. Giustamente, a questo punto, vengono ricordate le parole di Papa San Paolo VI rivolte a tutti gli artisti: “Noi abbiamo bisogno di voi. Il nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione.
Perché, come sapete, il nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intellegibili, voi siete maestri”. È necessario allora capire l’intuizione “delineata dal teologo Karl Rahner, di un’affinità spirituale profonda tra sacerdote e poeta”. In questo senso, “l’affinità tra sacerdote e poeta si manifesta così in questa misteriosa e indissolubile unione sacramentale tra parola divina e parola umana, dando vita ad un ministero che diviene servizio pieno di ascolto e di compassione, ad un carisma che si fa responsabilità, ad una visione del vero e del bene che si schiude come bellezza. E non possiamo fare a meno di ascoltare le parole che ci ha lasciato il poeta Paul Celan: ‘Chi impara realmente a vedere, si avvicina all’invisibile’”.
Va anche chiarito come la dimensione cristiana dello scrittore non dipenda dal fatto che egli si occupi di tematiche religiose, perché è sufficiente che egli con verità parli della realtà esistenziale dell’uomo. E in questo abisso, in questo mistero possiamo ritrovare il cristianesimo come “realtà esistenziale” data, nella quale “il fatto di essere chiamati dalla Grazia di Cristo, il fatto che Dio ami l’uomo con l’offerta assoluta e completa di sé e della vita trinitaria fa parte delle realtà esistenziali permanenti di un essere umano, non come il fatto di essere battezzato e di appartenere alla Chiesa visibile. Essere chiamati dalla Grazia di Cristo è un ‘esistenziale permanente’ dell’essere umano in quanto tale” (v. A. Spadaro, op. cit., 65).
Ecco perché il Manzoni si domanda: “Perché Shakespeare è più cristiano di Racine e più grande poeta? Forse pensate che risponderà che dipende dal fatto che in Giulietta e Romeo c’è un monaco? No, è perché in Shakespeare si va più in fondo al cuore, perché Shakespeare è in modo più continuo e intenso il poeta dell’io profondo” (v. A Spadaro, op. cit., 25). Occorre pertanto ricordarsi che se Dio elargisce il salutare dono del “lievito” della fede, altrettanto generosamente (e misteriosamente) elargisce il necessario dono della “farina” di questo mondo (a parte il problema della “crusca” del diavolo). Pertinente poi questa annotazione(-provocazione) dello scrittore Pier Angelo Soldini. “La Chiesa ha paura delle cose avvenute fuori dalla sua influenza. Per essa i disegni di Dio prima che Cristo nascesse non contano”! Ma Cristo è Dio, e Dio ha creato tutto: il mondo visibile e quello invisibile.
Pertanto, il rapporto tra arte, letteratura e religione rimane aperto ma centrale, perché “coinvolge due realtà costitutive dell’uomo in quanto tale: la tensione all’espressione e alla comunicazione da una parte, e l’anelito verso una dimensione che superi la contingenza dall’altra” (v. A. Spadaro, op. cit., pag. 15). Voglio anche annotare una bella testimonianza come docente di Letteratura di Papa Francesco (presso una scuola di Gesuiti negli anni ‘60), quando ad un certo punto del documento racconta questo fatto. “Dovevo fare in modo che i miei alunni studiassero El Cid. Ma ai ragazzi non piaceva. Chiedevano di leggere Garcìa Lorca. Allora ho deciso che avrebbero studiato El Cid a casa, e durante le lezioni io avrei trattato gli autori che piacevano di più ai ragazzi… Non c’è niente di più controproducente che leggere qualcosa per obbligo…”. Quanta verità in queste parole!