Dai bambini impegnatissimi a quegli anziani che non sanno come trascorrere le giornate, passando per le persone cosiddette “attive”, stracariche di adempimenti, ovviamente tutti urgentissimi, sembra che nessuno -o solo qualcuno- sfugga alla quotidiana battaglia con il tempo, in cui quasi sempre vince quest’ultimo. Il tema è reale, affrontato da tempo in molti settori, a volte perfino abusato. Non mancano i testi, i video e gli audio ma perfino i corsi e gli specialisti sull’argomento, ovviamente con tesi contrapposte l’una all’altra!
Abbiamo a disposizione pure molti strumenti, da quelli datati -come sono i calendari e le agende, ai più recenti programmi per computer, tablet e smartphone, oggi li chiamiamo “applicazioni”, capaci di “ripetere” tutto quello che si può fare con carta e penna ma anche di aggiungere nuove funzioni, sicuramente utili per colmare il divario tra la complessità del vivere contemporaneo e strumenti nati nell’Ottocento, agli albori della contemporaneità.
L’ozio dei romani -del tutto diverso dal dolce far nulla- è finito nei libri di storia, oggi tutti dobbiamo essere -o quanto meno apparire- impegnati, totalmente privi di tempo libero. Meglio così, secondo molti, chissà cosa potrebbe succedere se sfruttassimo questa nuova “libertà” per chiederci chi siamo, cosa stiamo facendo ed in quale direzione stiamo andando.
Se invece ci muoviamo come fossimo lanciati a tutta velocità, senza freni, in una discesa che sembra non finire, non resta che guardare l’immediato intorno -che viene sempre più velocemente verso di noi- per cercare di non andare a sbattere!
In questo caso, è meglio sperare nella fine della discesa -che c’è di sicuro ma cui potremmo non arrivare o finire prima contro un ostacolo insormontabile- o accettare un piccolo -certo ma ridotto- danno? Provare e rischiare l’azzardo o accettare un danno sicuro ma limitato?
Sull’importanza del tempo, visto come lo utilizziamo, ci sarebbe molto su cui ragionare. Non abbiamo tempo (!) a sufficienza, ci diamo per questo -coscienti o incoscienti- delle priorità, dando la precedenza alle cose che riteniamo notevoli, trascurando quelle che non lo sono o per lo meno possono aspettare.
Qual è in moltissimi casi -cioè per tanti di noi- la cosa più importante, quella che non può aspettare ed anzi deve scavalcare tutto e tutti? E’ l’insieme delle “attività comunicative” che ruotano attorno allo smartphone: telefonate e messaggi di ogni tipo (dal SMS all’e-mail, ovviamente senza trascurare le applicazioni ed i servizi di messaggistica integrati nei social network oppure in altri software, gestionali o solo “comunicativi”).
Li vedo solo io gli irrispettosi che smettono di relazionarsi con chi hanno di fronte per dare la precedenza a qualsiasi chiamata (comprese quelle di tentata vendita...), e quelli con gli auricolari indossati ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, pronti a rispondere a tempo di record, senza interrompere qualsiasi cosa stiano facendo?
Purtroppo urlano e quindi non riusciamo a non ascoltare, il che oltre al disturbo ci fa comprendere la qualità della conversazione, spessissimo totalmente vuota!
Ciò che accade sui social network é del tutto analogo, parlare diventa scrivere, soprattutto non si comunica da uno all’altro, e magari nei due versi, ma da uno a molti, facendo sentire importante chi pubblica.
Tornando al tempo, è ovvio che utilizzarlo in questo modo è sprecarlo, e che come tutte le abitudini anche questo modo di fare può essere cambiato. Che sia davvero questo il modo per recuperare un poco di tempo? Lo è di sicuro, non raddoppiamo il tempo libero ma, se consideriamo che il multitasking (cioè il fare più cose contemporaneamente) è una mera illusione mentre sono del tutto veri gli incidenti stradali causati dal non riuscire ad ignorare le notifiche provenienti dallo smartphone.
Meno grave ma importante è considerare quanto tempo viene sprecato per riprendere il lavoro interrotto dal rispondere a telefonate e messaggi, nella maggior parte dei casi inutili se non dannosi. E dell’energia profusa vogliamo disquisire?
Non ho la pretesa di dare un parere valido in tutti i casi però per molti non sarebbe un vantaggio, anzi si aprirebbero le porte dell’incerto -termine simile a inferno- del non sapere cosa fare, come occupare -appunto- il tempo, e arrivare a sera ogni giorno.
Se non abbiamo il problema dell’horror vacui siamo avvantaggiati, la gestione del tempo però è -o può essere- un problema anche per chi ha un rapporto migliore col proprio smartphone-braccialetto elettronico.
Questo è un mondo complesso, nessuno di noi è in grado di modificarne la natura, non ci resta perciò che imparare come riuscire a relazionarci in modo equilibrato con ciò che ci circonda, partendo proprio dal tempo.
Non ci interessa affatto la concezione ed il pensiero di filosofi e pensatori su un tema tanto complesso -in particolare quelli che sostengono come il tempo “in realtà” non esista- qui l’attenzione è limitata al nostro fare in quello scorrere che -appunto- chiamiamo con quel termine.
Tralasciamo anche detti e proverbi, e pure la disputa tra chi lotta contro la procrastinazione (cioè il continuo rinvio) e chi la ritiene una risorsa per non farsi travolgere dalle urgenze, vere o presunte che siano. Impossibile, invece, non contestare chi afferma che tutti abbiamo lo stesso tempo, perché l’anno, i dodici mesi, le ventiquattro ore, i sessanta minuti ed i relativi secondi sono gli stessi per ciascuno.
Per una volta vince la democrazia? No, purtroppo non è così neanche questa volta. Come possiamo pensare di essere tutti nelle stesse condizioni? C’è chi ha malattie che limitano l’operatività, c’è chi -poco importa il motivo- non ha (e non trova nemmeno in prestito) un soldo per cui può fare ben poco (ad esempio “delegare” qualcosa), e l’elenco potrebbe essere molto lungo… Semmai a parità di condizioni c’è chi riesce a non far nulla (lamentarsi non fa punteggio), far poco (già meglio…) e chi è davvero produttivo (e non solo nel lavoro!).
Che cosa possiamo -anzi dobbiamo- imparare da questi ultimi? Non voglio scontentare alcuno, è un tema su cui lavoro da decenni, avendo sperimentato davvero molte cose, per cui esprimo il risultato a tutt’oggi di questo lungo lavoro, che per forza di cose non potrà mettere tutti d’accordo. Ebbene riscontro come due siano i fattori determinanti.
Il primo è l’atteggiamento: chi si dichiara perdente o non è interessato a nulla, nemmeno a non sprecare se stesso, lasciandosi vivere addosso (senza pannolino…) non ha alcuna speranza di migliorare la qualità del proprio essere e fare. Chi invece desidera, si attiva e prova, ammettendo la possibilità di sbagliare ma rettificando di continuo il proprio percorso non potrà che ottenere sempre di più, utilizzando meglio il tempo ed avendo soddisfazioni crescenti.
Impossibile fare una trattazione completa della cosa, un paio di esempi possono comunque essere molto utili. Facciamo mente locale su chi è stato colpito da una disgrazia -ad esempio una grave malattia- o una lunga condanna -qui non interessa il motivo, errori giudiziari compresi...- e sul loro atteggiamento di fronte alla cosa: c’è chi si dispera, domandandosi per tutto il tempo perché sia capitato proprio a lui o a lei -non potendosi rispondere e nemmeno darsi pace- ma c’è anche chi prende atto della situazione in cui si trova -immodificabile- e da qui riparte per fare il meglio che sia possibile, compatibilmente alla situazione. I primi sono rovinati, non potranno che deprimersi sempre di più, fino ad azzerarsi del tutto, i secondi otterranno molto, dandosi una ragione per alzarsi ogni giorno ed avendo le soddisfazioni del caso.
La gestione del proprio tempo non è così diversa, ci saranno anche in questo caso due atteggiamenti antitetici.
Un primo foltissimo gruppo si lamenterà (pur se non vi é bisogno di aumentare il numero degli “addicts” a questo sport), atteggiandosi a vittima del sistema (il che giustifica tutto) e dichiarando l’impossibilità di cambiare (per la precisione: non è impossibile per gli altri ma solo per noi), subendo fino alla pensione (periodo in cui verranno colpiti dall’effetto opposto, passando dall’essere super impegnati alla noia). I non aderenti a quanto sopra prenderanno invece atto del meccanismo in cui sono immessi per mettere in atto tutto quanto serve per migliorare -di continuo- la propria condizione.
Il secondo fattore è l’organizzazione, perché solo mettendo insieme in modo ottimale quello che dobbiamo fare possiamo limitare le corse a vuoto, gli inutili doppioni e simili.
Anche se non siamo una grande azienda, una sorta di micro-programmazione ci consente di pianificare la giornata, la settimana, il mese e l’anno. Qualcuno riesce ad andare oltre -dandosi orizzonti di cinque o dieci anni ma anche dell’intera vita, lavorativa e non- pur se in questo caso siamo in presenza più di obiettivi da raggiungere che di cose da fare.
In entrambi i casi si tratta di un lavoro su se stessi, che può essere effettuato da soli o con l’aiuto di strumenti e/o di specialisti. Sia gli uni che gli altri sono importanti, ed anzi forse indispensabili per ottenere risultati importanti, ma è innegabile come un atteggiamento errato sia deleterio, rendendo vano ogni tentativo che riguardi l’altro fattore.
L’organizzazione è però più “a portata di mano”. Dimenticati gli assunti romantici ed improduttivi quali il “carpe diem”, il “cogliere l’attimo” ed il “vivere alla giornata” (compresa la variante “come non ci fosse un domani”), che lasciamo ai film ed agli adolescenti (in cui la componente “sogno” è ammessa ed anzi perfino auspicabile), potremmo stabilire cosa fare nel tempo che verrà, per rispettare gli impegni presi ma anche per ricavare dello spazio per noi stessi, per il riposo e le altre funzioni -in senso corporeo- vitali ma anche per coltivare qualcosa di meno utilitaristico, le arcinote passioni.
Per organizzarsi meglio (ora) e al meglio (domani) ognuno può fare come meglio (e tre...) crede a seconda dei propri orientamenti, scegliendo tra le macrofamiglie della carta e delle applicazioni, ed all’interno di queste tra agenda, diario, calendario o altro oppure software, dal più semplice al più complesso.
Questi sembrano diversissimi, ovviamente le differenze non mancano, ma in realtà vi è qualcosa che le accomuna, non inventato oggi dai maghi dell’informatica ma giunto fino a noi dall’Ottocento: è la rappresentazione spaziale del tempo.
Agenda e calendario, su carta o schermo, sono, infatti, lo “srotolamento” del tempo su di un supporto che ne consente la visione d’insieme. È questo a consentirci di stabilire il da farsi e soprattutto quando, grazie alla diversa rappresentazione del tempo, che -al contrario degli orologi- non ci da l’indicazione del solo momento attuale ma mostra l’intero flusso, in modo da farcelo valutare e… annotare.
Dai tempi della scuola siamo stati spinti ad utilizzare il diario, sulla cui definizione potremmo disquisire. Di fatto siamo stati abituati ad utilizzare l’agenda, e quindi ad interiorizzare l’immagine del tempo.
Ancora oggi moltissimi continuano ad utilizzare questi “quaderni” con prestampati i giorni, le settimane ed i mesi, preferendo uno specifico prodotto. Guai a cambiarlo, ne risentirebbe ogni giorno dell’intero anno.
Altri invece hanno sperimentato le applicazioni, non tornando più indietro, semmai cambiandole ogni tanto con altre, inseguendo una maggiore produttività.
Oltre ai cloni di agende, calendari e rubriche, generalmente basati sulla semplicità, lo sviluppo ha portato le software house a proporre applicazioni che si differenziano dai loro predecessori per la ricchezza delle opportunità offerte ma anche per l logiche alternative, basate sugli studi e sulle teorie elaborate dai più acclamati ricercatori.
Molto successo hanno le “to-do-list”, gli elenchi delle cose da fare, articolabili per data, argomento, priorità o altro. Assolutamente semplici, prive di difficoltà nell’uso e utili, impedendo di dimenticare il da farsi ma, anzi, organizzandolo.
Altro modo di fare prevede di suddividere le attività da svolgere in “task”, cioè in compiti, da accorpare in fasi e da collegare al calendario, per pianificare il lavoro e non solo questo.
Software più complessi distinguono le attività da portare a compimento in base alle priorità, dalle urgenze vere ed importanti a scendere, in modo da evitare di farsi “rapinare” il tempo da adempimenti non fondamentali per non dire superflui o peggio.
Infine, se vi sono applicazioni semplici e specializzate che fanno una cosa sola, all’insegna della chiarezza, ve ne sono altre che integrano al proprio interno pressoché tutti i moduli, che operano in modo integrato, consentendoci di passare da una modalità all’altra, a seconda delle necessità, dal calendario all’agenda, dalla bacheca alla mappa mentale, dalla lista al cronoprogramma e non solo.
Il senso di una offerta tanto vasta è quella di soddisfare ogni esigenza, da quella di chi predilige la semplicità a quella di chi non rinuncia a nulla, perché la complessità è ricchezza, con buona pace del minimalismo e dei suoi adepti.
In un mondo con tante pretese e con un grado di complessità in continuo aumento, chi non voglia o non possa chiamarsi fuori deve valutare i due fattori di cui sopra, il rischio è quello di venire espulsi, il trovarsi come appena scritto, ma questa volta non per scelta.