Gregory Lucente intervista Calvino nel 1985, poco prima della sua morte. Alla domanda:

L'ultima domanda riguarda il mestiere di scrittore. Devo dire che anche agli studenti dei miei corsi la sua lingua è parsa sempre molto lucida, ma anche molto complessa. C'è un insieme di difficoltà che sono espresse - non negate, non semplificate - ma espresse in modo molto chiaro. Questa combinazione di chiarezza e complessità, questo suo stile, è un dono divino o è qualcosa su cui ha dovuto lavorare consapevolmente?

Calvino rispose:

È, diciamo, un programma di lavoro. Quello che mi interessa è cercare la complessità: se è il caso chiarirla, comunque rappresentarla. Mi interessa ciò che è complesso, aggrovigliato, difficile da descrivere, e cerco di esprimerlo con la maggiore limpidezza possibile.

Cosa intenda Calvino per complessità della vita è ben espresso nel racconto L’avventura di due sposi del 1958, poi incluso nella raccolta Gli amori difficili del 1970. Il racconto descrive la routine quotidiana di Arturo ed Elide. Arturo lavora di notte e dorme di giorno, mentre Elide lavora di giorno. Le loro vite si incrociano solo in fugaci incontri mattutini e serali, mentre per il resto sono separate dagli orari imposti dalla fabbrica. Tuttavia, nonostante l’assenza fisica, riescono a comunicarsi il proprio amore:

[Arturo] spegneva la cicca, chiudeva gli sportelli alla finestra, faceva buio, entrava in letto. Il letto era come l’aveva lasciato Elide alzandosi, ma dalla parte sua, di Arturo, era quasi intatto, come fosse stato rifatto allora. Lui si coricava dalla propria parte, per bene, ma dopo allungava una gamba in là, dov’era rimasto il calore di sua moglie, poi ci allungava anche l’altra gamba, e così a poco a poco si spostava tutto dalla parte di Elide, in quella nicchia di tepore che conservava ancora la forma del corpo di lei, e affondava il viso nel suo guanciale, nel suo profumo, e s’addormentava.
[…]
Elide lavava i piatti, riguardava la casa da cima a fondo, le cose che aveva fatto il marito, scuotendo il capo. Ora lui correva le strade buie, tra i radi fanali, forse era già dopo il gasometro. Elide andava a letto, spegneva la luce. Dalla propria parte, coricata, strisciava un piede verso il posto di suo marito, per cercare il calore di lui, ma ogni volta s’accorgeva che dove dormiva lei era più caldo, segno che anche Arturo aveva dormito lì, e ne provava una grande tenerezza.

Qualche anno più tardi, all’inizio degli anni Sessanta, Calvino trascorse quattro mesi negli Stati Uniti, dove poté osservare da vicino i numerosi e contraddittori aspetti della società americana. Il ritmo incalzante imposto dal capitalismo, mirato a rendere sempre più veloce ed efficiente il ciclo produzione-consumo, determinava valori e ritmi che influenzavano ogni aspetto della vita collettiva e individuale. Calvino ha modo di osservare da vicino il cambiamento delle relazioni sociali e del rapporto tra l’uomo e le cose, gli spazi e i tempi: gli oggetti trasformati in merci, le città smarginate in periferie-dormitori, il tempo della vita diventato un sottoprodotto del tempo del lavoro. In un’intervista del 1960, poco dopo il ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, alla domanda di Ernesto Battaglia sulla felicità dell'americano medio, Calvino risponde:

C’è una felicità vera, di chi riesce a realizzarsi nelle cose che fa, la grande lezione morale della vecchia America; e c’è un’infelicità vera, di chi soffre di vivere nel vuoto, rotella di un ingranaggio. Così come c’è una felicità falsa, diffusissima, di chi vive nel vuoto e non se ne accorge, e un’infelicità falsa (esempio: i beatniks) di chi, per protesta contro la vita sprecata, si fa un programma dello sprecare la vita.

Nel saggio La sfida del labirinto del 1962, analizzando le reazioni della cultura europea alla seconda rivoluzione industriale, Calvino conclude che la civiltà rivoluzione è un trauma permanente. Scrive: “Nessuno sfugge all’ingranaggio dell’industria in nessuna ora della sua vita pubblica o privata", e aggiunge: “Guai a chi si illude d’aver trovato un equilibrio di tipo classico, di sapere che le cose vanno così e così.” Le reazioni prevalenti della cultura europea di fine Ottocento alla nuova realtà industriale furono due: da una parte, l'evasione estetica verso la natura o alla ricerca di società primitive, non contaminate dal progresso; dall’altra, la critica feroce della nuova realtà, che sfociava in rigidità preconcette.

Tuttavia, con fatica prese corpo anche una terza via, che Calvino fa propria: accettare la civiltà industriale e viverla come sfida alla costruzione di senso, poiché “fuori di essa non c’è storia né scienza né poesia.” Non è una sfida solo per letterati e artisti, ma riguarda ogni uomo, che, smarrite le sicurezze religiose e ideologiche, deve costruire giorno dopo giorno un senso per la propria vita.

Calvino evoca l’immagine del labirinto:

Quello che oggi ci serve è la mappa del labirinto la più particolareggiata possibile. Dall'altra parte c'è il fascino del labirinto in quanto tale, del perdersi nel labirinto, del rappresentare questa assenza di vie d'uscita come la vera condizione dell'uomo. […] Resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alla loro difficoltà; […]. Quel che la letteratura può fare è definire l'atteggiamento migliore per trovare la via d'uscita anche se questa via d'uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto all'altro e la sfida del labirinto che vogliamo salvare, è una letteratura della sfida dal labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto.

Un punto di vista che Calvino preciserà nel dialogo finale tra Kublai Kahn e Marco Polo nelle Città Invisibili del 1972:

L’inferno dei viventi, non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Arturo ed Elide sono gli eroi della nostra contemporaneità: accettano la sfida del labirinto, e, benché separati dalla vita di fabbrica, riescono a inventare, in mezzo all’inferno, un modo per sentirsi vicini e preservare il loro amore.

E la sfida continua…