Dov’è la verità Rom? (Romani istina kaj si)
Dov’è la verità Rom?
Da quando mi ricordo
giro con la tenda per il mondo
cerco amore e affetto,
giustizia e fortuna.Sono invecchiato sulla strada
non ho trovato un vero amore
non ho sentito la verità giusta.
La verità Rom dov’è?(Rasim Sejdić)
Il volto assolato, gli zigomi scolpiti, il naso camuso, lo sguardo luminoso e attento. Negli occhi la magia del viaggio, la libertà di piantare la tenda e restare quel tanto che basta, in un posto confortevole, finché resta accogliente, sfidando le stagioni e il tempo. Tra un arrivo e una partenza, al sicuro dell’oggi, perché del domani ancora non c’è certezza e il passato svanisce subito, lasciando il posto al racconto, alla musica, alla poesia.
Rasim Sejdić, scrittore e poeta di etnia Rom, era nato nel 1943 - poco dopo la Seconda Guerra Mondiale - in Bosnia a Vlasanica, dove aveva frequentato le scuole elementari, medie e superiori. Trasferitosi a Sarajevo con la famiglia, aveva seguito un corso di giornalismo. È scomparso a soli 37 anni a causa di una malattia renale, nel 1980, a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina.
Apparteneva a una famiglia del gruppo dei Xoraxané Romà, che sono Rom di origine musulmana: koraxaj in lingua romaní significa letteralmente “turco” e per traslazione si intende “di confessione musulmana”; questi gruppi provengono dalle regioni balcaniche di Macedonia, Albania, Bosnia-Erzegovina. Sono divisi in tanti sottogruppi, Rasim apparteneva al sottogruppo Koraxané ćergarija, ossia "quelli delle tende" dal serbo-croato ćerga che significa appunto “tenda”. E possiamo comprendere la funzione di questa tenda da questo passo della poesia Tenda Rom di Marko Aladin, figlio di Rasim:
…Alzati, marito mio, e smonta la nostra tenda!
Tutti i rom stanno già smontando le loro tende,
i rom vogliono partire!
O moglie, metti i bambini sul carro,
prendi le coperte dal prato
mentre io smonto la tenda e spengo il fuoco,
e poi raggiungiamo con la strada gli altri rom.
Cosa c’è, dove andiamo?
Andiamo in un altro posto.
Quanto è distante questo posto?
Là, oltre quelle montagne c’è un prato,
su quel prato potremo accamparci,
potremo piantare le nostre tende tra le montagne
e accendere il fuoco,
vicino al fiume potremo mangiare,
non dovremo più scappare…(Marko Aladin Sejdić)
Rasim è diventato adulto molto presto, come tutti i rom, a soli 14 anni cantava, suonava la chitarra e scriveva racconti e poesie nelle sue due lingue, il serbo-croato e il romanès. I giovani della sua familje (famiglia in senso allargato simile al concetto di tribù) lo ascoltavano come si ascolta un cantastorie che tramanda al suo popolo le tradizioni millenarie degli antenati. Raccontava fiabe, storie, poesie: descriveva la vita quotidiana, la bellezza del canto e della danza, il ruolo fondamentale della musica nella cultura rom. Denunciava i soprusi, la discriminazione, le persecuzioni. Era poeta dell’amore, del quotidiano, della denuncia sociale, era la voce di un popolo muto che esponeva la realtà al di là delle dicerie dei “non rom”, delle critiche ingiuste e delle esaltazioni irreali, degli stereotipi dilaganti, dell’antiziganismo, «dello strabismo che rende “invisibili” i profondi e validi aspetti culturali e artistici della popolazione romaní» (Le verità negate, Santino Spinelli, Meltemi Linee, 2021).
Rasim Sejdić trasmetteva la propria cultura ai figli e a tutta la generazione, possedeva talento nel racconto orale, ma anche nella parola scritta. Come afferma suo figlio Marko Aladin Sejdić:
La scrittura di Rasim ha testimoniato le vicende e diffuso la cultura e la lingua del popolo Rom. Ma che i Rom rimangano Rom! Conservando il ricordo, non dimenticando la tradizione, custodendo i valori tramandati dai padri, che la loro morte ha reso sacri!.
Il padre e la madre di Rasim Sejdić - Mehmed Sejdić e Džehva Sejdić (Hrustić) -, vivevano nella periferia della città di Vlasanica. Avevano 9 figli, 5 maschi e 4 femmine perché la prole per i Rom rappresenta una grande ricchezza e gli innumerevoli bambini che scorrazzano nelle loro case sono la certezza di un futuro per la propria discendenza. Abitavano in una fattoria con boschi, ruscelli, alberi da frutto, tantissima terra da coltivare e animali da accudire. In una terra dove il concetto di tempo era scandito secondo i ritmi della natura e organizzato in relazione agli eventi della vita: nascite, feste, matrimoni, funerali, ecc., dove "il presente è sempre più importante del futuro incerto e di un passato ormai svanito" (Santino Spinelli).
Mehmed Sejdić lavorava anche nella costruzione delle strade nella città di Vlasanica. Nel tempo libero, con gli amici, beveva il liquore di prugne di sua produzione: la Šljivovica, la rakija di frutta più popolare nei paesi Balcani. Forte, intensa e aromatica, per il tepore che infonde ad ogni sorso. Spesso servita come aperitivo, ma anche come digestivo alla fine di un pasto, la šljivovica fatta in casa si beve in buona compagnia. Il padre di Rasim cantava e suonava anche il tipico strumento bosniaco, la šargija, uno degli strumenti tradizionali che accompagna la danza in Bosnia.
Džehva Sejdić, invece, casalinga, esperta nella medicina naturale, saggia conoscitrice della cura con le erbe, cucinava usando spezie ed erbe aromatiche per la salute della sua familje, per i suoi numerosi figli e per gli anziani della sua gente. Era anche una drabarni (esperta guaritrice) e anche chiromante, un “consigliere spirituale” per la comunità, perché la malattia arriva sia se non si osservano le leggi che se non si rispettano gli dèi. Insomma, Džehva come molte donne rom aveva il dono di saper leggere il futuro.
Rasim crebbe in quest’ambiente ed ebbe a sua volta 5 figli perché uno dei detti Rom afferma “Tanti figli, tanta ricchezza” (But chavé, but bravalipé). E mi piace citare questa splendida poesia intitolata:
Figlio (Sine)
Senti il violino come piange piano,
e nel suo lamento sentirai la mia voce,
era mio amico, lungo il cammino,
nel momento del bisogno.
E anch'esso era amaro di tristezza come me.
Quando il cielo è di piombo abbraccio la fiamma,
le nostre lacrime rimaste, o figlio mio.
Se tu sapessi quali venti ci spezzano
la notte senza stelle,
e piove su di noi grandine, figlio mio.
Siamo coperti di lana, bianchi,
nel cielo nero rossi colori
ancora sui muri guardali, figlio.
Ti chiamano quando l'alba è azzurra
sanno che la cenere è sua
e tu sei vigoroso e prode
la scala salirai come statua.(Rasim Sejdić)
Negli anni ‘60 Rasim a Sarajevo divenne giornalista e collaborò per tanti anni con il quotidiano anti nazista Oslobodjenje (Liberazione) con sede a Sarajevo e con la Radio Televisione di Sarajevo, Radiotelevizija Bosne i Hercegovine, l'ente radiotelevisivo pubblico della Bosnia ed Erzegovina che trasmette programmi e informazione da Sarajevo in lingua bosniaca. L’attività di giornalista e scrittore di Rasim in questi due canali socio-politico-culturali molto importanti, era incentrata sulle tradizioni della sua gente: racconti e poesie narravano delle vicende e della vita quotidiana dei rom.
Negli anni ‘70 Rasim partì per l'Italia per recarsi a Torino, spinto dal sogno che accarezzava molti bosniaci, un lavoro sicuro, ben pagato, la possibilità di comprare un’automobile. All’epoca le sue poesie erano già molto conosciute in Bosnia: furono ampiamente diffuse attraverso giornali, riviste, radio e televisione. E così anche in Italia Rasim era diventato ormai una figura di poeta molto nota. Settimanalmente la RAI dedicò uno spazio ai suoi racconti e alle sue poesie sulla cultura Rom.
Suo figlio Marko Aladin lo ricorda così:
Quando vivevamo a Sarajevo nel terreno del nonno, tutti insieme, io avevo circa 4 o 5 anni. La notte, mio padre Rasim, per farmi dormire, mi recitava a memoria una delle sue poesie. Si ricordava ogni cosa che scriveva, non aveva bisogno di leggerla, l’aveva tutta scritta nella sua vasta memoria. Quando il tempo era bello nelle nostre verdi montagne, si sedeva nel prato, prendeva la chitarra, suonava, cantava e scriveva. Normalmente era molto impegnato con giornalisti e artisti, sempre ben vestivo, frequentava teatri e centri culturali della città. Quando si trasferì a Torino per lavorare come operaio alla Fiat, tornava ogni sei mesi e si tratteneva con noi un mesetto, ma era sempre accompagnato da qualche giornalista che voleva conoscere la vita rom. Si è ammalato presto, avevo solo una decina d’anni quando lo vidi l’ultima volta in ospedale, pallido, magro, morente. Fu una grande tristezza.
C’è anche una bella poesia dove parla di suo padre Le Poesie mio padre ed io tratta dalla raccolta Io vengo da lontano, I.S.U. Università Cattolica, 2000, di cui ho estratto questi passi:
Giovane, ammalato, morto...
Io ero allora un bambino
e tutti i rom dicevano che mio padre era morto.
I miei occhi hanno lasciato cadere le lacrime.(…)
La madre di mio padre mi dice:
andiamo alla tomba di tuo padre.
Alla tomba di mio padre siamo andati
mezza sigaretta abbiamo fumato
e mezza sigaretta abbiamo lasciato sulla tomba.
Mia nonna a mio padre racconta
che io sono venuto alla sua tomba
e che noi tutti stiamo bene in salute e vivi.
Due lacrime sono scese dai miei occhi.
Dai gagé siamo andati
e abbiamo comperato la lapide di marmo,
ai gagé abbiamo detto che sulla lapide di marmo
mettano la sua immagine
e le sue poesie a caratteri d’oro scrivano
e con la pietra modellino un libro da mettere sulla tomba.(Marko Aladin Sejdić)
[I morti si onorano con il rito della libagione che si fa fumando o versando gocce di vino o di caffè; sovente gli zingari mettono sulla tomba riproduzioni di oggetti legati alla vita o all’attività del morto].
Rasim ha pubblicato le sue poesie in Italia in lingua romanì-italiana in una raccolta intitolata Rasim, poeta Zingaro", Publi e Stampe, Milano, 1978. Inoltre, ha collaborato con la rivista bimestrale di studi zingari Lachio Drom (buon viaggio) fondata nel 1965 da Mirella Karpati insieme a don Bruno Nicolini, pubblicata dal Centro Studi zingari dal 1965 fino al 1999 sotto la sua direzione. Rasim che divenne molto amico dei due fondatori, pubblicava vecchie storie rom in lingua romanì e in italiano. Il frutto di questa collaborazione è stato riversato in un libro intitolato Lachio Drom.
Mentre per il libro: Rasim Sejdić, Eppure cantavano le loro anime, pubblicato presso I.S.U. Università Cattolica, Milano, Italia 2013, Rasim collaborò con Giulio Soravia, studioso della cultura sinti, che nel 1969 iniziò a scrivere per Lachio Drom. Insieme a Rasim elaborò la raccolta di testi, favole, proverbi, pubblicati poi su Lachio Drom.
Rasim aveva trasmesso al professore lezioni di antropologia pratica molto semplici, tra cui la volontà di rafforzare l’amicizia tra Rom e non-Rom. E gli raccontò una serie di racconti bellissimi. Rasim aveva la sua filosofia: una volta che aveva narrato le sue storie all’amico, gliele aveva consegnate e lui poteva pubblicarle senza più chiedergli l’autorizzazione. Lavoravano registrando le storie perché secondo Rasim, se lui avesse scritto, si sarebbe perso l’aspetto emotivo del racconto, la musica delle parole, il modo in cui venivano pronunciate, preferiva registrarle, perché il registratore conservava l’intonazione, le parole, i suoni, mentre la scrittura era muta.
Le parole di Rasim, come sottolineava Giovanna Salvioni (docente di Antropologia culturale nella Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano):
volano libere verso l'alto, leggere ed evocatrici come uccelli dalle grandi ali, come nuvole bianchissime.
Giulio Soravia ci esorta:
Lasciamo vivere la sua poesia semplicemente, per non far vivere i nostri figli in un mondo di violenza, di slealtà, di orrore, di miseria, senza fantasia, senza speranza...
Ringrazio Carlos Hadžović - mediatore culturale, figlio di Sevla Sejdić (mediatrice culturale, esperta di tradizioni Rom e sorella del celebre Rasim), ideatore della Asocazija Rasim, Associazione di promozione culturale romaní - per avermi indicato suo cugino Marko per poter avere notizie di prima mano su Rasim.
Una delle canzoni più famose di Rasim:
Hanno calpestato il Violino Rom (Gazisarde Romengi Violina)
Hanno calpestato il Violino Rom,
cenere Rom è rimasta,
fuoco e fumo
salgono al cielo.
Hanno portato via i Rom,
i bambini divisi dalle madri,
le donne dagli uomini,
hanno portato via i Rom.Jasenovac è pieno di Rom
legati al pilastro di cemento,
pesanti catene ai piedi e alle mani,
nel fango, in ginocchio.Sono rimaste a Jasenovac le loro ossa,
denuncia di disumanità,
altre albe schiariscono il cielo
e il sole continua a scaldare i Rom.(Rasim Sejdić)