Dal 26 marzo al 2 giugno 2014 Palazzo Reale ospita una grande mostra dedicata a Piero Manzoni, uno degli artisti più geniali, innovatori e controversi del XX secolo, nato a Soncino nel cremonese e morto a Milano, nemmeno trentenne, nel 1963.
A cinquant’anni dalla sua scomparsa, la sua città gli rende omaggio con una mostra, la più importante mai realizzata a Milano dalla sua morte, di grande valore scientifico e forte impatto visivo, dove sono esposte oltre 130 opere che rendono conto della sua intera parabola artistica e testimoniano il percorso attraverso il quale Manzoni ha scardinato il modo di operare artistico nella seconda metà del Novecento, imponendo la sua personalissima visione del mondo.
Promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e Skira editore, la mostra è curata da Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni ed è realizzata nell’ambito del progetto “Primavera di Milano”.
“Questa mostra è uno dei capisaldi della ‘Primavera di Milano’, il palinsesto di eventi culturali che abbiamo voluto dedicare a tutti gli artisti che hanno fatto grande la nostra città e la sua storia – ha dichiarato l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno –. Un programma che prevede mostre, concerti, spettacoli e incontri con oltre cento appuntamenti che si snodano in giro per Milano fino all’estate”.
“Milano è stata la città di Piero Manzoni – ha proseguito l’assessore –. Pur non essendovi nato, infatti, è qui che ha trovato il terreno ideale per operare da protagonista nella stagione di maggior fervore del secondo dopoguerra, ponendosi a fianco di un maestro come Lucio Fontana e agendo da referente della neoavanguardia europea”.
Genialmente radicale, Manzoni viene raccontato dagli esordi in area postinformale alla concezione degli Achromes, dalle Linee alle Impronte, dal Fiato alla Merda d’artista, dal coinvolgimento del corpo fisico vivente nell’opera alla dimensione totalizzante dell’esperienza estetica di progetti come il Placentarium.
Manzoni presenta le sue prime creazioni a Cremona nel 1956 e subito viene definito "surrealista" dal giornale locale. Non ha avuto una vera e propria formazione pittorica, ma ha letto molto e riflettuto moltissimo ed ha chiaro sin dall'inizio che la cosa che gli importa maggiormente è essere artista.
Dichiara infatti nel 1957: "... consideriamo il quadro come nostra area di libertà in cui andiamo alla scoperta delle nostre immagini prime. Immagini quanto più possibile assolute, che non potranno valere per ciò che ricordano, spiegano, esprimono, ma solo in quanto sono: essere".
Sul concetto di opera come presenza concreta Manzoni si confronta con vari altri artisti: Yves Klein con i suoi monocromi assoluti e immateriali, Lucio Fontana con i suoi fori sulla superficie e frammenti di vetro applicati alla tela, Alberto Burri con i suoi sacchi di juta, Conrad Marca-Relli con i suoi collage-paintings, Mimmo Rotella con i suoi manifesti murali strappati, Antoni Tàpies, punta di diamante di questa tendenza.
Da quadri scuri fortemente materici con impasti di olio, catrame, smalto e oggetti come sassi e chiavi concepiti senza titolo, Manzoni evolve poi verso quadri bianchi con rilievi plastici e ombre, con stesure grumose di gesso spatolato che poi definirà Achrome,di cui sono in mostra alcuni esempi fondamentali.
Manzoni prende spunto anche da opere esistenti, per stravolgerle e trasformarle. Dal Rotolo di pittura industriale di Pinot Gallizio del 1958, Manzoni prende la concezione di un segno continuo d'inchiostro tracciato su un rotolo di carta che si svolge progressivamente: nasce così la Linea. La striscia di carta tracciata è avvolta e conservata in un cilindro di cartone sigillato, di cui un'etichetta dichiara il contenuto.
Alle Linee l'artista dedica la sua mostra personale nel dicembre 1959, la prima della galleria Azimut, lo spazio di tendenza fondato a Milano con Enrico Castellani.
Nella mostra da Azimut del gennaio 1960 Manzoni presenta nuovi Achrome, decisamente trasformati rispetto alle prime versioni. Manzoni stesso dichiara: "… una superficie bianca che è una superficie bianca e basta anzi, meglio ancora, che è e basta: essere".
Man mano l'artista adotterà materiali come cotone idrofilo, panno, polistirolo espanso, sassolini, paglia, carta compressa, fibra sintetica per realizzare opere di grande valenza concettuale, dense della sua presenza. In mostra è allestita una grande sequenza di Achrome, alcuni decisamente spettacolari.
Nel maggio del 1960 la nuova mostra da Azimut è dedicata invece alle "sculture pneumatiche", definite poi Corpi d'aria. Un palloncino gonfiabile sino a un diametro di ottanta centimetri, un treppiede di quaranta centimetri per poggiarlo come su un piedistallo, un tubicino per gonfiarlo e una chiusura: il tutto è confezionato in una custodia di legno contenente anche le istruzioni per l’uso. Come le Linee, anche i Corpi d’aria si presentano con l’aspetto di un prodotto seriale realizzato in numerosi esemplari. Come nelle Linee, allo spettatore è richiesto un atto di pura condivisione intellettuale, in assenza dell’esperienza fisica dell’opera.
"Ancora una volta - afferma il curatore della mostra Flaminio Gualdoni - Manzoni pone il pubblico nella condizione di dover accogliere l’autorità dell’artista sul piano di un nudo rapporto fiduciario: è un’opera d’arte perché è eseguita da un artista, e occorre aver piena confidenza nel suo enunciato (…) l’oggetto della compravendita è l’adesione dell’acquirente all’identità, all’esistenza, al pensiero dell’autore. È ‘comprare Manzoni’, non ‘comprare un Manzoni’.
Le Uova, che nascono anch’esse nel 1960, sono uova sode che l’artista trasforma in opere contrassegnandole con la propria impronta digitale. Il fruitore le può ingerire, entrando fisicamente in comunione con l’identità e l’esistenza fisica dell’artista. Le “uova consacrate dalla mia impronta” vengono presentate nel luglio dello stesso anno in Consumazione dell’arte, dinamica del pubblico, divorare l’arte, ultima delle mostre della galleria Azimut.
Un ulteriore esempio della bidirezionalità del rapporto tra artista e pubblico si ha con la concezione delle Opere vive o Sculture viventi. La prima declinazione prevede che Manzoni apponga la propria firma al piedistallo su cui due modelle posano panneggiate come statue antiche, o che apponga firma e data direttamente sul loro corpo. Nell’evolversi delle riflessioni di Manzoni il piedistallo su cui mette in posa le modelle diventa la Base magica, ovvero una struttura in legno a tronco di piramide che simula il classico piedistallo da statua, con tanto di targhetta in ottone recante la didascalia “Piero Manzoni, Scultura vivente”, di cui un esemplare viene esposto a Palazzo Reale. Due sagome indicano la posizione in cui chi salga sulla base deve poggiare i piedi: fintantoché sarà sulla Base magica, la persona sarà a tutti gli effetti una scultura vivente.
Manzoni interviene anche sulla regola che prevede che l’autenticità di un’opera debba essere certificata. Per questa ragione fa stampare dei blocchetti di Carte d’autenticità in tutto e per tutto simili a quelli ordinari, che consentono all’artista di dichiarare che la persona in questione è “a partire dalla data sottoindicata un’opera d’arte autentica e vera”. Lo spiega lui stesso: “Nel 1959 avevo pensato di esporre delle persone vive: nel ’61 ho cominciato a firmare, per esporle, delle persone. A queste mie opere do una carta d’autenticità. Sempre nel gennaio del ’61 ho costruito la prima “base magica”: qualunque persona, qualsiasi oggetto vi fosse sopra era, finché vi restava, un’opera d’arte...". E continua facendo riferimento all'opera che lo ha reso celeberrimo: "Nel mese di maggio del ’61 ho prodotto e inscatolato 90 scatole di “merda d’artista” (gr. 30 ciascuna) conservata al naturale (made in Italy). In un progetto precedente intendevo produrre fiale di ‘sangue d’artista’.
Si tratta di una scatoletta per conserve del diametro di sei centimetri, sigillata, sui cui è apposta un’etichetta a stampa, con la scritta in stampatello maiuscolo “Piero Manzoni" e sovraimpressa in italiano, inglese, francese e tedesco la dicitura “Merda d’artista. Contenuto netto gr 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”. Sul coperchio la scritta “Produced by” precede la firma autografa, che è seguita dalla numerazione progressiva delle singole scatolette. L’etichetta della parte inferiore reca stampato “Made in Italy”.
"Chiara è l’ironia - scrive Gualdoni - nel mimare il tipico linguaggio delle conserve alimentari, ed esplicita la volontà di attribuire all’oggetto l’aspetto di un prodotto merceologico a pieno titolo. Che si tratti di porre in vendita degli escrementi è semplicemente l’estremizzazione di un pensiero già ampiamente esplicitato da Manzoni intorno alla concretezza materiale del corpo e alla artisticità implicita in ogni atto dell’autore, dunque nelle sue reliquie".
Il picco di massima controversia critica l’operazione lo raggiunge sul piano della questione del valore. Manzoni fissa il prezzo di Merda d’artista basandosi su un’arbitraria parità merda/oro, all’incirca 700 lire d’allora al grammo, indicandolo in trenta grammi d’oro.
Nascono infine anche pacchi avvolti nella carta e sigillati con corda, piombo e ceralacca come se fossero invii postali, presentati a coppie, anch'essi presenti in mostra: quasi prosecuzioni, dal punto di vista del congegno intellettuale, della sottrazione dell’opera avviata con le Linee e proseguita con Merda d’artista.
Il catalogo edito da Skira raccoglie i testi di Flaminio Gualdoni, Giorgio Zanchetti, Francesca Pola, Gaspare Luigi Marcone.