L’Italia non è una provincia. è la Signora delle altre provincie

(Giustiano I il Grande, Corpus Iuris Civilis)

Se c’è una raffigurazione chiara, precisa, coerente e realista del Santo Graal quale massimo tesoro, reliquia cristofanica e imperiale questa è quella data dal mosaico di San Vitale di Ravenna dove ammiriamo un prezioso vassoio che l’Imperatore Giustiniano ostende solennemente al centro di un corteo nobile e sacrale dove compare anche Massimo il nuovo arcivescovo di Ravenna da lui nominato, un ricco evangelario, uno scudo con il chrismon di Costantino e un turibolo acceso d’incenso, ritualmente utilizzato per atti di adorazione nelle liturgie cristiane.

Il protagonista assoluto della scena è naturalmente questo vassoio ricoperto d’oro che viene descritto così sacro che lo stesso Imperatore deve giustapporre il suo mantello per poterlo toccare. L’imperatore mostra già un’aureola di gloria divina, sebbene sia vivo mentre viene composto il mosaico nel 547, anno della consacrazione della bellissima basilica.

Due domande sorgono quindi quasi dovute se vogliamo prendere sul serio, come occorre, questa arte religiosa-politica: perché Giustiano mostra il Graal violando dettami di prudenza e segretezza che hanno accomunato tutti i suoi predecessori? E perché lo mostra a Ravenna?

La risposta può essere quasi solo una; una e duplice: Giustiniano possedeva il Santo Graal e lo mostra in Italia per consolidare e comunicare la legittimità sacrale del suo dominio sull’Italia a partire dalla fedelissima Ravenna, capitale dell’Esarcato e città sacra dell’Impero Romano d’Oriente che questo imperatore vuole riportare alla sua unità originaria.

La tesi interpretativa oggi dominante riduce la figura di questo Imperatore in questo mosaico ad un semplice “chierichetto” che porterebbe un contenitore porta-ostie verso il Cristo consacrante dell’abside. Una tesi riduzionistica abbastanza superficiale, ridicola e infantile che non considera i chiari valori politici e simbolici del mosaico del corteo di Giustiniano e di Teodora e sminuisce il ruolo centrale dell’imperialità porfirogenita bizantina.

Non solo: non vi è alcuna connessione fra il giovane Cristo apocalittico dell’abside e i mosaici dei due cortei dei due coniugi imperiali e ridurre i loro ruoli espressivi ad una liturgia solo sub-para-ecclesiale non appare sostenibile proprio per i profili di autonomia dell’Impero bizantino, implicitamente già cesaropapista.

Non solo: nello speculare mosaico del corteo di Teodora a San Vitale, che viene mostrata ostendere il Calice di Cristo (che qui assomiglia al “Calice di Antiochia”), nelle sue vesti sono raffigurati i tre re Magi con berretto frigio-bizantino mosaicati in Sant’Apollinare Nuovo, a loro volta recanti tre Graal. Evidente allusione alla presenza graalica in Ravenna, al centro del complesso religioso fatto costruire da Galla Placidia. Mostrando il Graal di Cristo Giustiano vuole semplicemente mostrarsi quale Imperatore sacro, Re dei re di elezione divina e quindi sedare e prevenire ogni tentazione ribellistica che possa venire dall’Italia o dal Papa proprio grazie al ricordo della detenzione imperiale del più santo tra i tesori cristici la cui custodia lo protegge, lo rende invincibile e lo “santifica in vita”.

Ipotizzando quindi che il Santo Graal fosse custodito proprio a Ravenna quando e come vi giunse da Costantinopoli? Come tutte le più importanti reliquie cristiane infatti dobbiamo immaginare che l’imperatrice Elena madre di Costantino abbia rinvenuto il Santo Graal a Gerusalemme e lo abbia traslato nella Nuova Roma elevata dal figlio, la nuova capitale dell’Impero, riunito proprio da Costantino fra oriente e occidente. Ravenna quale nuova sede del Graal sarebbe stata una scelta successiva di mediazione fra le rivendicazioni di Roma e del Papato e la nuova scissione fra oriente e occidente nell’Impero. Chi avrebbe potuto operare questa mediazione?

Una sola figura, saggia, abile e zelante nella sua fede cristiana: proprio Galla Placidia, figlia di Teodosio, regina dei Goti e Imperatrice romana d’occidente fra il 425 e il 437. E’ infatti Galla Placidia che sposta la principale sede imperiale di residenza e potere politico insieme alle reliquie proprio di San Vitale da Milano alla più difendibile Ravenna, quale “piccola Costantinopoli” che poteva resistere a lunghi assedi grazie alle paludi che la circondavano e alla fortificazione del porto militare di Classe. Oltre a ciò Galla Placidia si distingue per l’intensa attività edificatoria di Chiese e luoghi di culto: San Giovanni Evangelista, la chiesa del Santo Sepolcro, la Cappella della Santa Croce e quello strano edificio circolare dove non fù mai sepolta e che oggi chiamiamo: il mausoleo di Galla Placidia.

La prima chiesa, dedicata a Giovanni Evangelista, l’elevò a ringraziamento della sua salvezza da naufragio quando tornò in Italia da Costantinopoli nel 424. L’anno dopo diventa Imperatrice e uno dei suoi primi atti sarà donare all’Impero d’Oriente tutta la vasta regione dell’Illirico ricomprendente quasi tutta l’area dei Balcani, prima di ciò parte integrante dell’Impero d’Occidente ma desiderata a lungo da Costantinopoli per il suo valore commerciale e strategico-geopolitico, per meglio difendere il Danubio e la capitale e meglio dominare i mari con la costa dalmata. Una scelta che segnerà la storia.

Al tempo dell’invasione di Alboino il Prefetto imperiale di Ravenna presso il quale si rifugerà Rosamunda si chiamerà non a caso “Longino”, nome graalico, rituale. Galla Placidia è la nuova Elena: un’imperatrice molto religiosa e sapiente, che difende teologicamente il ruolo primaziale di Roma ma pure tiene ottimi rapporti con Costantinopoli, sua città natale. Galla Placidia ottiene il Santo Graal dall’Imperatore Teodosio II in cambio dell’Illirico e con il patto di custodirlo in Ravenna, città legata a filo doppio con la capitale dell’Impero.

Questa idea del Graal a Ravenna spiegherebbe il valore della città quale luogo regale e sacro di prim’ordine sempre al centro delle contese fra Roma e la Nuova Roma e tra Longobardi e Imperiali. I Papi lottarono continuamente per cercare di mettere le mani sul Santo Graal e a tal fine ottennero prima dai Longobardi e poi dai Franchi il “corridoio bizantino” (l’attuale Umbria) che permetteva di collegare Roma con Ravenna. Ma quando il Santo Graal avrebbe potuto lasciare Ravenna?

Chi sarebbe succeduto nella sua custodia? Possiamo ipotizzare un unico breve periodo-contesto storico in cui sarebbe stato possibile: quando Ravenna si scontrò con l’imperatore iconoclasta Leone l’Isaurico addirittura arrivando ad una battaglia navale al largo di Ravenna che nel 729 si ribella (caos unico) al suo Imperatore. In questo frangente di anarchia non a caso Ildeprando, il nipote di Liutprando re dei Longobardi, entra nel 734 in Ravenna senza colpo ferire, quindi con il consenso dei ravennati. Una Ravenna contraria alla deriva iconoclasta dell’Imperatore avrebbe potuto consegnare il Santo Graal ai Longobardi affinché lo custodissero, per timore della sua profanazione o distruzione da parte degli Imperiali.

Liutprando a sua volta aiutò Carlo Martello in Provenza contro i Saraceni ottenendone l’appoggio e l’amicizia. La stessa discesa dei Franchi in Italia con Carlo Magno potrebbe spiegarsi con la mancata restituzione del Santo Graal da parte dei Longobardi che avrebbero dovuto custodirlo per il Papa di Roma tenendolo in una Ravenna ormai conquistata. La stessa tenacia con cui i Longobardi volevano a tutti i costi una Ravenna anche se ormai politicamente e militarmente marginale riceve maggior valore dal pensarla sede del Graal la cui detenzione avrebbe voluto dire la legittimazione spirituale del loro dominio sull’Italia.

Il tema è patafisico ma plausibile e và collegato a quel passo dell’Antapodosis di Liutprando di Cremona dove si dice che la Lancia di Longino (arma che appare sempre con il Graal nei romanzi graalici) fosse detenuta da un conte longobardo, Sansone, al tempo del Re d’Italia Rodolfo di Borgogna-Provenza e da lui fù ceduta ad Enrico l’Uccellatore in cambio di alcuni feudi in Svevia. Possedendo già la divina Lancia i Longobardi volevano per loro anche il santo vassoio del Graal?

Non è un caso che i “tempi” del racconto graalico in due romanzi medievali del Graal indicano proprio il tempo della morte di Galla Placidia (450) e il tempo della fine dell’epoca merovingia e dell’inizio della dinastia carolingia (750). Un caso? Il tema essenziale dei sei principali romanzi del Graal è infatti proprio la scelta dei cavalieri giusti per la sua custodia, la contesa tra stirpi nobili differenti per il suo sempre travagliato possesso.