Personaggio affascinante, per quanto misterioso, enigmatico e controverso, Pietro Ubaldi è poco conosciuto da molti, anche nelle città in cui nacque e visse in Umbria. Non sono infatti in molti a conoscere Pietro Ubaldi, insegnante di inglese al ginnasio Mazzatinti di Gubbio, nel ventennio che va dagli anni '30 agli anni '50, forse qualcuno lo ricordava ancora come suo insegnante. Folignate di nascita, nel tramontare dell'800, 18 agosto 1886, eugubino di adozione, fino al suo trasferimento in Brasile dove morì nel 1972.

Pietro Ubaldi si inserisce nel panorama filosofico dell'epoca, trova ancora oggi seguaci e studiosi fortemente motivati e attratti da lui, dalla sua personalità, nonché dagli argomenti da lui trattati. Ha scritto e trattato di filosofia, come i più alti e grandi filosofi di ogni tempo. Eppure, dopo tutto, non era filosofo, almeno nel senso più stretto del termine. laureato in diritto, suonava il pianoforte e parlava inglese, francese e tedesco.

Sarà stata la vicinanza ad Assisi e a quella religiosità pervasa di spiritualità francescana a condizionare il filosofo.

Il professore, sembra che proprio a Gubbio, o poco prima di trasferirsi in città, abbia avuto una “chiamata”, era il 1927, per cui, come San Francesco, si spogliò di tutti i suoi beni, lui, che era di origini ricche. Proprio il santo poverello, gli è apparso, nel ‘31; custode di numerosi messaggi, divenne insegnante di lingua e letteratura inglese. Nel ‘51 lascia l’insegnamento e si trasferisce in Brasile per una serie di conferenze.

Ma è proprio a Gubbio che Pietro ha la sua ispirazione più alta, è qui che scrive le sue opere maggiori, come "La grande sintesi", nove dei ventiquattro volumi che compongono la più vasta "opera italiana" finita di scrivere in Brasile. Da fervente Cattolico, è lui stesso ad affermare che Dio scrive attraverso la sua mano; eppure, forse anche per l'alto carattere filosofico e le innovazioni di cui trattano le sue opere, è spesso incompreso dalla chiesa, che addirittura lo processa e mette all'indice i suoi libri, riammessi poi da Papa Giovanni XXIII. Ironia della sorte, a Gubbio è incaricato proprio il Vescovo Beniamino Ubaldi a visionare ed indagare nei suoi scritti, costringendolo a ritrattare: lui non lo farà mai. Eppure, secondo lo stesso Pietro, dalla chiesa era solo capito male.

La conferma della sua ispirazione, gli è data sempre a Gubbio, sul trenino, a scartamento ridotto, che dalla città portava alla frazione di Mocaiana: vede un volto, nel quale riconosce il volto di Cristo. Mentre è nel boschetto di Monteleto che hanno ispirazione e vita le sue poesie spirituali del 1933. In questi testi si legge la sua immensa e disperata ricerca di pace. Pace spirituale, pace che trova a Gubbio, nella sua città che gli dà silenzio e ispirazione. Era solito passeggiare per le vie silenziose, sedere sul sedile che fu degli antichi Umbri, accanto alla grotta dell'aquila, nel fianco est del monte Foce, dove venivano letti i presagi, i segni nel volo del picchio verde. Qui portava spesso i suoi alunni. Non si separava mai da un libretto dove annotava tutto, dove scriveva quando la voce interiore lo chiamava. Spesso veniva deriso perché riusciva ad estraniarsi totalmente dalla realtà che lo circondava, tanto che non vedeva e non sentiva più nulla di quello che gli era intorno.

Tutte le sue opere sono permeate dalla ricerca della pace per tutto il mondo, per tutti; egli ricerca una pace spirituale universale che, secondo lui, avverrà nel terzo millennio. Millennio dello spirito. Ma da buon filosofo, Pietro Ubaldi, non tralascia la fisica, materia che lo ha avvicinato molto ad Einstein, e con il quale sembra abbia avuto una corrispondenza per un certo periodo di tempo. Anche lui si è occupato della relatività, come il grande fisico, ma a sua differenza mette la relatività sul piano spirituale. Perché è la spiritualità che, secondo lui, permea tutti gli aspetti del quotidiano. Questo pensiero e gli studi sulla relatività, lo fanno addirittura candidare al Premio Nobel, come spiega lo storico locale, Mario Salciarini; la sua opera principale, “La grande sintesi”, fu giudicata da Enrico Fermi come "un quadro di filosofia scientifica e antropologica etica, che oltrepassa di molto i consimili tentativi dell'ultimo secolo".

Amava molto la città, le sue vie, il suo silenzio, dove trovava un forte senso di pace, Gubbio, suo luogo di ispirazione, luogo dove faceva molti suoi viaggi spirituali. Ma da incompreso, da "matto" (nella città dei matti) se ne andò. Emigrò in Brasile, dove fu accolto con tutti gli onori. È qui che le sue opere ebbero molti meritati riconoscimenti. Dove le persone furono solidali verso di lui e verso le sue opere.

Qui è ancora oggi, dopo trentacinque anni, molto conosciuto ed apprezzato, come lo è anche nella sua città natale, Foligno, dove esistono centri di studi Ubaldiani. Ma quasi dimenticato a Gubbio. Visse i suoi anni eugubini a Villa Pagani, dalla finestra del suo studio una splendida veduta del Palazzo dei consoli e dei tetti della città, che quasi sembra un dipinto. Qui, sulla facciata posteriore, camminando lungo il vicolo che costeggia Parco Ranghiasci, è possibile leggere ancora oggi una lapide, dedicata alla sua memoria, come alla memoria del suo passaggio a Gubbio.