Daniel Day Lewis, Tom Hanks, Leonardo Di Caprio, Russell Crowe, Johnny Depp, Richard Gere, Jeremy Irons, Robert De Niro, Anthony Hopkins, Sean Connery, Ralph Fiennes, Mel Gibson, Kevin Costner, Colin Firth, Roberto Benigni quando si vestono hanno un indirizzo segreto. E così Cate Blanchett, Nicole Kidman, Juliette Binoche, Kristin Scott-Thomas, Kate Winslet, Gwyneth Paltrow. Con loro Tim Roth, Keira Knightley, Julianne Moore, Jude Law, Sophie Marceau, Helena Bonham-Carter e altri colleghi star di gran reputazione.
L’indirizzo è esclusivo, ma a modo suo, senza i rituali da boutique di lusso: nessun fusto in livrea ad aprire i battenti, con l’aria fra l’accogliente il minaccioso, nessun addobbo di orchidee o calle, nessuna commessa obbligata alla posizione eretta, anche quando il negozio è vuoto. All’OB stock di Prato si entra in un capannone di 4300 mq pieni di tessuti, quanti non se ne sono visti mai, in pile quasi fino al soffitto. Tessuti che i costumisti più famosi scelgono per produzioni spesso colossali, tessuti provenienti dai secoli passati, da Cinecittà, da ogni dove. E passamanerie, nappe, guarnizioni. Ecco, grazie ai quei tessuti e alla bravura dei costumisti, DiCaprio trasformato in Howard Hughes da Sandy Powell per The Aviator o nel giovane povero del Titanic vestito da Deborah Lynn Scott; la Maria Antonietta tutta fiocchi, fiori e falpalà di Kirsten Dunst, immaginata pop e regale da Milena Canonero per Sofia Coppola, il Johnny Depp pirata dei Caraibi di Penny Rose.
Gabriella Pescucci, costumista premio Oscar per L’età dell’innocenza, autrice, fra l’altro, anche dei costumi di C’era una volta in America, La fabbrica di cioccolato, Il nome della rosa, è entusiasta della ditta di Prato, fondata quarant’anni fa da Orlando Orlandini e Loris Bernocchi: “Una montagna di stoffe! Una rarità assoluta. E’ un posto magico, nel quale vengono da tutto il mondo. Io arrivo e secondo il progetto e l’epoca del film faccio due campionature e poi ordino i metraggi per telefono. Sono gli ultimi ad avere una scelta del genere”.
Anche uno dei maestri della Pescucci, Piero Tosi che fra poco riceverà l’Oscar alla carriera, era di casa da OB stock, e Massimo Bernocchi, che con il fratello Luca e i figli dell’altro fondatore, Monica e Cristiano Orlandini, anima l’azienda, ha l’orgoglio di ricordarlo tra i suoi clienti eccellenti: dalle grandi sartorie, Umberto Tirelli, Mario Farani, ai costumisti cinematografici coperti di riconoscimenti come Pescucci, Canonero, Dante Ferretti, Danilo Donati, Maurizio Millenotti, Bob Ringwood, Carlo Poggioli, Ann Roth, Jenny Beavan, Janty Yates, Penny Rose, Enrico Sabbatini. Il suo è un orgoglio pratese cioè esibito, scoppiettante di felicità e soddisfazione, ma disinvolto, già proiettato in avanti: “La passione di Cristo, Hannibal, Shakespeare in love, L’ultimo imperatore. Tutti questi film? Sì, sono quelli che mi sono venuti in mente: Avatar, Il Paziente inglese, Il Signore degli Anelli, Mission, Piccolo Buddha. Gangs of New York, La vita è bella, Braveheart. Elizabeth, Casanova. Ma adesso bisogna pensare al domani. A marzo uscirà negli Stati Uniti Divergent, dai produttori di Twilight, per il quale abbiamo studiato apposta tessuti realizzati da maestranze locali con tecnologie innovative: tessuti semi-lucidi, gommati, tridimensionali”.
La storia è importante, secondo Massimo, ma se la si perpetua, impegnandosi a non perdere le conoscenze tramandate da nonni e padri, non se la si venera con le mani in mano: “A Prato il tessile deve avere un futuro, e io sono ottimista, sempre”. L’OB stock debuttò nello spettacolo quando fu scoperto, alla fine degli anni Settanta, dall’allora assistente alla sartoria della Scala, Piero Benedetti, poi diventato primo costumista del teatro. Da lì le collaborazioni con il Maggio Fiorentino, il San Carlo, La Fenice, il Massimo, Il Piccolo, l’Arena di Verona, il Metropolitan, L’Opéra de Paris.
Seduto nel suo ufficio, appesa dietro la scrivania una foto con dedica di Tom Hanks, grato dei costumi per Cloud Atlas, Massimo Bernocchi, racconta che sono appena partiti per il Marocco i tessuti per il nuovo film di Ridley Scott Exodus; poi da una busta di plastica tira fuori pelli intrecciate e piumate, manufatti di spettacolare maestria per coprire le braccia e lombi del gladiatore Russell Crowe. Aggiunge che, sì, lavorano anche per le serie televisive: The Borgias o la nostrana Elisa di Rivombrosa che persino molti snob seguirono di nascosto.
Massimo si ricorda delle furie di Danilo Donati negli studi di Terni, al lavoro per la scena della balena del Pinocchio di Benigni: “Su una parete enorme, trenta per quaranta, c’era un fondale con il mare, buio e una luna un po’ torta. Donati era seduto su una sedia e mi disse di sedermi accanto a lui, nel locale c’erano solo due sedie: Come ti sembra questa luna, mi chiese? Dritta o pende sulla destra? Gli dissi che mi sembrava pendesse: Venite!!! Cominciò a gridare. Venite!!! Venite!!!”. Quando si dice avere la luna storta… Loris, padre di Massimo, entra nella stanza tenendo un mucchietto di stoffe in mano, e si capisce che è uno di quegli uomini perbene e d’iniziativa artefici dell’Italia che stiamo distruggendo. Emana “pratesità”. “Penso che l’unico difetto dei toscani sia quello di non essere tutti pratesi” scrisse Curzio Malaparte aggiungendo pure “che l’esser pratese sia un gran beneficio e più un merito che una fortuna, si vede dall’accanimento dei pratesi nel mantenersi pratesi, quando sarebbe loro così facile farsi passar per fiorentini”.
La pratesità, per intendersi, è aver costruito un impero, da Hollywood al Giappone “senza parlare una parola di inglese”. Da Oscar, davvero.