Tutto è cominciato quando a 22 anni alla festa di una mia collega d’università della quale peraltro non ricordo più nulla a parte che impiegasse 2 misure per pronunciare ogni parola, ho letto sulla carta di un Bacio Perugina questa frase: “La misura di tutte le cose è un numero”. Non ricordo se la frase fosse scritta proprio così, né ricordo l’autore della frase, ma il contenuto della frase sono sicuro fosse proprio questo: “La misura di tutte le cose è un numero”. Ora, a 22 anni ne dimostravo 16 e avevo sempre vissuto senza tenere conto dei numeri, che tuttavia, a 22 anni, benché ne dimostrassi 16, cominciavano a diventare un fattore sempre più incalzante della mia vita. Per fare un esempio, iscritto alla Facoltà di Scienze del Turismo da 3 anni, avevo dato 4 esami, quindi con una media precisa di 1 virgola 33 periodico esami l’anno. Per fare un altro esempio a 22 anni, benché ne dimostrassi 16, avevo avuto una sola ragazza, a 18 anni, per 7 mesi, e per 2 anni non avevo fatto altro che pensare a lei senza smettere un solo momento, con una media precisa di 0 virgola 045 periodico donne in tutta la mia vita (1/22).
Soprattutto in seguito a quest’ultimo calcolo, alla festa della mia collega d’Università, a 22 anni, avevo preso la decisione di prestare attenzione alla frase scritta sulla carta del Bacio Perugina: “La misura di tutte le cose è un numero”. Così mi sono subito messo a contare. Della festa non ricordo proprio nulla, a parte che ne fossi uscito alle 2.38 di mattino, così come non ricordo nulla della mia collega d’Università, come ho già detto, né degli invitati che la mia collega d’Università aveva chiamato alla festa. Però ne ricordo il numero: 28 invitati (16 femmine, 11 maschi e un rompicoglioni). E ricordo, per essermelo fatto dire dalla mia collega d’Università, la dimensione del suo appartamento: 250 metri quadrati, più 70 metri quadrati di mansarda per un totale di 320 metri quadrati di casa. Ricordo il numero di bottiglie allineate sul tavolo del buffet: 10 bottiglie. Ricordo la votazione della Laurea (ma non ricordo quale Laurea) della mia collega d’Università: 98 su 110 e il numero di punti che la sua tesi le aveva fatto guadagnare in sede di discussione: 6 punti. Soprattutto ricordo che la mia collega d’Università impiegava 2 misure per pronunciare una parola. ‘Misura’ è un’unità di misura che mi sono inventato – quella sera stessa – per contare quanto tempo impiega una persona per pronunciare una sequenza di parole. Diciamo che ‘una misura’ corrisponde grosso modo a mezzo secondo: quindi 2 misure a un secondo. Dal che si deduce che la mia collega d’università impiegasse un secondo prima di pronunciare ogni parola. Una parola, un secondo, una parola, un secondo, una parola, un secondo.
E con questo capisco anche perché della mia collega d’Università non ricordi più nulla. Della festa ricordo ancora il numero di divani della sala: 4 divani. Non ne ricordo il colore o la tipologia, né dove fossero dislocati. Tutto quello che ricordo di quei divanetti è il numero: 4, e il numero delle coppie che limonavano sui divanetti: 8 coppie, quindi 16 persone, quindi 2 coppie per ogni divanetto, quindi 4 persone per… Il succo di quello che voglio dire è questo: stavo alla festa – ho bevuto 3 Martini con 5 olive dentro (5 olive per ogni Martini, che è un numero comico, lo so) – e contavo tutto quello che riuscivo a contare, e il tempo passava, e io facevo qualcosa, e mi rendevo conto di tante cose. L’altro giorno – circa 3 mesi fa; il 23/11/02 – mi trovavo in una Pizzeria con il mio collega di lavoro Ingegner Gregoretti. Ordiniamo una pizza a testa: pizza mozzarella pomodoro io, pizza Napoletana lui. Dopo un po’ – circa 10 minuti – arrivano le pizze. Gregoretti guarda la sua pizza, poi guarda la mia pizza, poi fa tutta una tirata contro le pizze della pizzeria dove ci troviamo. dice: vedi, Primo, osserva questa pizza. Ha il diametro di 10 centimetri e lo spessore di… di mezzo centimetro a malapena. Ma nella pizzeria dove siamo stati la scorsa volta, ti ricordi no? in quella pizzeria servivano una pizza di 15 centimetri di diametro e di almeno un centimetro e mezzo di spessore. E se confrontiamo il prezzo della pizza con diametro di 10 centimetri con il prezzo della pizza con diametro di 15, notiamo che la prima pizza costa 6,30 euro e la seconda pizza costa 6,35 euro. In conclusione: per me questa pizza è un pacco.
Sempre Gregoretti, sempre in pizzeria – questa volta di fronte alla pizza con diametro 15 centimetri, costo 6,30 euro. Gregoretti dice: il mio numero di scarpe è 42. Capisci, Primo, cosa voglio dire? voglio solo dire che il mio numero di scarpe è 42. Non 41 o 43, ma 42. E lo dico sempre alle commesse quando entro in un negozio di scarpe: mi frega niente che le scarpe che mi stanno per vendere abbiano la tomaia d’amianto, o la soletta d’argento o il fiosso di una speciale gomma fibrosa o che so io. Io voglio solo che la mia scarpa sia un 42. Perché quando prendo scarpe 42 il mio piede nella scarpa sta bene; ma se prendo scarpe 41 o 43, la scarpa può anche essere d’oro, ma il mio piede prima o poi finisce per non stare bene, e questa è la sola cosa che mi importa: che il mio piede stia bene dove sta. Per questo mi occorre una scarpa 42. Lo so che ci sono scarpe 41 in cui il piede sta comodo lo stesso, scarpe 43 dove il piede sembra rilassarsi ancora meglio, ma è un abbaglio e io lo so. Il mio numero è il 42. Ricordatelo nel caso un giorno volessi regalarmi un paio di scarpe. Il mio numero è il 42.
Ancora Gregoretti, per l’ultima volta. Questa volta siamo al bowling. Lui continua a fare strike, io solo split su split. Mi dice: facciamo un gioco. Dimmi senza pensarci il numero di oggetti che tieni sul tuo comodino. Io mi sono subito messo a riflettere. Di botto, di botto: lui. 5, credo: allora io. 5? Lui. Hai contato anche l’abat-jour? no, allora…: io. C’è un tascabile, un bicchiere d’acqua, c’è lo sclerometro, poi… No, no, no, no: lui dice subito. Non voglio la lista delle cose sul comodino. Voglio solo il numero di cose sul comodino. ma ormai è tardi, hai perso. Non sei stato in grado di dirmi il numero di cose che tieni sul comodino, anche se le vedi tutti i giorni e sai quali sono. Nessuno presta mai attenzione ai numeri, ma forse ti dicono già tutto, senza nemmeno bisogno di specificare altro. Guarda, ho fatto il mio primo split.
Ecco, incrociandola con la frase che ho letto sul Bacio Perugina alla festa, questi discorsi che Gregoretti mi andava facendo mi apparivano una teoria interessante: guardare le cose da un punto di vista numerico. I numeri hanno una loro forza senza dubbio. C’è anche tutta una tradizione di luoghi comuni – intendendo per luogo comune una frase che viene ripetuta con regolarità intorno allo stesso argomento – sui numeri e sulla loro importanza. Esempio: di fronte ai numeri non puoi scappare. Altro esempio: basta un numero per abbattere mille castelli di parole. In televisione, poi, c’è un giornalista che quando commenta le partite di calcio, lo fa utilizzando le tabelle dei gol fatti e dei gol subiti, dei rigori tirati contro e dei rigori tirati a favore, del tempo effettivo di possesso palla e del numero di falli commessi e subiti durante la partita. Io ascoltandolo ho sempre pensato che i suoi ragionamenti fossero semplici tautologie. Mi domandavo cosa servisse ad esempio dire: “La Juventus finora – siamo alla quattordicesima giornata di campionato – ha incassato 10 gol realizzandone 27, con una media di quasi 2 gol a partita. Ha totalizzato 36 punti, pareggiando due partite fuori casa e perdendone una a San Siro contro il Milan. Ha 2 punti più dell’anno scorso, la migliore difesa, il migliore attacco. Quindi, nonostante sia seconda in classifica, a un punto dal Milan, non me la sentirei di parlare di bilancio non positivo almeno in queste prime 14 giornate”?
In realtà pensandoci adesso, alla luce delle teorie di Gregoretti e della frase contenuta sulla carta del Bacio Perugina, tendo a riconsiderare tutta quanta la sensatezza di questo discorso e a considerarlo anzi come l’unico discorso sensato in tema di calcio, a dispetto dei discorsi fatti di opinioni e di aggettivi che di sostanza aggiungono ben poco. Poi sempre alla televisione, ci sono i quiz, e in particolare il Quiz dei quiz condotto dal Sovrano Assoluto dei Telequiz – che è Mike Bongiorno –: La Ruota della Fortuna. Ora, io non voglio passare per una persona che è solita guardare la televisione, benché questo sia il secondo esempio che porto tratto appunto dalla televisione; ma si dà il caso che abbia studiato per circa 3 anni – con esiti non proficui, come ho detto all’inizio – nella stanza proprio accanto a quella di mia nonna, nella casa di mia nonna – 160 metri quadrati di casa –, la quale tutti i giorni alle 14 e 30 in punto si sintonizzava sulla Ruota della Fortuna di Mike Bongiorno, tenendo il volume del televisore alla sesta tacca del visualizzatore digitale e costringendomi quindi ad ascoltare involontariamente ogni giorno quella trasmissione. In realtà non ascoltavo nel vero senso di questa parola, ma dopo circa 3 anni, ora che ho deciso di ripensare a quella trasmissione, e di rivalutarla, è come se la avessi davanti fotogramma per fotogramma: Mike Bongiorno che entra in studio e dice Allegria!; Mike Bongiorno che dice oggi è Giovedì 21 Maggio, anche se tutti a casa ormai sanno che quando Mike Bongiorno ha registrato la trasmissione di Giovedì 21 Maggio, poteva benissimo essere il 18 Marzo; Mike Bongiorno che dice conosciamo i concorrenti di oggi e presenta Giacomo Prestanova di Biancade provincia di Padova, Vincenzo Frederichi di Scalea provincia di Reggio Calabria – il campione della scorsa puntata – e Giovanna Salibeni di Pozzuoli in provincia di Napoli; scambia qualche battuta con i concorrenti, poi dà inizio alla parte davvero importante del gioco. Mike Bongiorno scopre l’argomento della frase misteriosa della prima gara – sono in tutto 3 gare – che può essere una montagna di neve o si fa una volta al mese o un gioco di parole o qualunque altro argomento. I concorrenti fanno girare la Ruota della Fortuna col suo din din din din e ogni volta che la Ruota smette di fare din din e si ferma, Mike Bongiorno dice 200 euro! o 150 euro! Oppure: il jolly! Oppure ah, perde tutto! Quindi i concorrenti, mettiamo Giacomo Prestanova di Biancade provincia di Padova dice lettera P di Palermo oppure S come Savona oppure T come Torino e ogni volta sai che dirà D come Domodossola o L come Livorno e mai o rarissimamente D come Domitilla e L come Licurgo, un’iniziativa anzi che quasi finirebbe per infastidire chi ascolta. Poi dopo che sul tabellone ci sono abbastanza lettere per capire la soluzione, il concorrente ha tempo 15 secondi per dire la frase completa come il gatto e la volpe in furbizia si equivalgono oppure Mike Bongiorno ricorda l’argomento della frase, dice d’inverno e il concorrente dice i tetti della case sono bianchi dalla neve, quasi come se la soluzione della frase dopo tutte le cifre, i numeri, il tempo trascorso, le lettere chiamate e le città alle lettere associate, dopo tutte le coordinate lanciate – e poco importa che le coordinate abbiano un vero legame tra di loro –, come se questa soluzione quasi rappresentasse una sorta di morale di fondo di tutta la partita. Insomma ripensandoci adesso, io dico che La Ruota della Fortuna è narrativa pura.
Con tutto questo oggi ho deciso di fare una conta: ho contato tutte le cose che ci sono nella mia stanza. Lo so che può sembrare un’operazione sciocca o quantomeno inutile o comunque poco significativa; ma io l’ho fatta lo stesso. La mia stanza misura 7 metri per 4 e ho impiegato 22 minuti e 24 secondi per contare tutti gli oggetti che vi sono contenuti all’interno. Il risultato è questo: 494 oggetti in data 04/02/03 ore 19 e 53. Per la precisione: 495 oggetti contando anche me, che non sono un oggetto, ma un soggetto, ovvero la giustificazione alla presenza di tutti gli oggetti dentro la mia stanza e la giustificazione del loro significato che va molto al di là del loro specifico valore venale, nel senso che tutti e 494 gli oggetti non avrebbero alcun significato senza di me, tanto che questi oggetti, data la mia presenza, non è nemmeno più corretto chiamarli oggetti, ma cose, come infatti ho fatto all’inizio. Di questi 494 oggetti, 192 sono libri, disposti su 6 mensole – 3 lunghe due metri e larghe mezzo metro e 3, invece, lunghe 70 centimetri e larghe 20 –; 164 sono compact disk e 41 audio-cassette, tutti disposti nel cassetto di un mobile a cassettoni lungo un metro e mezzo, largo mezzo metro e alto – ciascuno dei 4 cassettoni – circa trenta centimetri; 26 sono biro – 12 rosse, 4 blu, 10 nere –; 8 sono cuscini – 2 di grandi dimensioni, 6 da arredo; e così via fino ad arrivare a un numero di cose pari a 494. Nel contare queste cose ho adottato alcuni criteri: per esempio, quando ho contato il compact disk, non l’ho suddiviso in custodia, copertina e involucro zigrinato per contenere il cd; così come per i libri non ho considerato le Edizioni Mammut, che è come se al loro interno contenessero più libri, né ho considerato come cose il numero di pagine di ciascun libro – anche se in fondo avrei potuto farlo. Questo significa che ho associato un numero ad un nome che racchiude in sé una pluralità di oggetti.
Quanto all’utilità di una simile operazione, è evidente che, limitandosi a questo esempio, ho ricavato da questi numeri una serie precisa di informazioni su di me. Tanto per cominciare, che ho la stanza ingombra di cose – 494 oggetti in 7 metri per 4 di stanza, giustifica l’aggettivo “ingombra” –; poi che sono un amante della lettura – e questo in tutti i casi: sia che i 192 libri siano libri di ottima qualità, che di pessima – e un amante della musica; che mi piace dormire la notte appoggiando la testa su 2 cuscini; e così via… Quando ho cominciato a scrivere, desideravo raccontare una storia con personaggi, trama e una morale di fondo – un po’ come accade nella Ruota della Fortuna; invece adesso che ho quasi finito, rileggendo, credo di aver scritto… che cosa? molto probabilmente credo di aver scritto una proposta – che, mi pare, non appartiene a nessun genere letterario specifico – e in particolare di aver scritto una proposta di stile. Proprio non lo so se contare gli oggetti o più in generale contare, sia davvero utile a qualcuno, se aiuti a guardare il mondo e a vedere altre e molte più cose; tuttavia, questo da almeno due anni è il mio modo di osservare la realtà e non credo che rinuncerò a questo modo, anche perché significherebbe rinunciare un po’ a me stesso, una cosa che non voglio fare. Comunque, per chiarire meglio ciò che a questo punto è una proposta di stile, desidero qui allegare una e-mail che ho inviato circa tre mesi fa – 04/12/02 – ad un concorso di componimenti letterari, organizzato da uno scrittore per il bollettino letterario del quale egli è il curatore e che mi arriva ogni quindi giorni tramite posta elettronica.
Per il prossimo anno un concorso Buoni propositi per l'anno a venire concorso nel quale si vince mezzo chilo di formaggio Come da intermittente tradizione, mi arrischio a lanciare un nuovo concorso. Le regole sono le solite: tutti i testi che arriveranno in tempo saranno pubblicati nel primo vibrisse del 2003. Il premio sarà attribuito per sorteggio, e consisterà in mezzo chilo di formaggio. Non un formaggio qualunque, peraltro, ma autentico formaggio Vezzena stravecchio. Un formaggio buonissimo, garantisco; prodotto nella zona degli altipiani vicentini (più o meno dalle mie parti, in somma); tanto saporito da dare dei punti al Parmigiano-Reggiano. Almeno secondo me. Il tema è: Buoni propositi per l'anno a venire. Un tema abusato, certo. Proprio per questo - perché è difficile scrivere qualcosa di interessante su un tema abusato - ve lo propongo e propino. Prendetelo dalla parte che più vi piace, rigiratelo come vi pare: fate vobis. Si accetta qualunque tipo di testo: in prosa, in versi, a dialogo, a bisticcio, a calendario, a massimario, a rotocalco, a rococò, eccetera eccetera. [tempo]
Considerato che un anno dura 365 giorni, un giorno 24 ore e io dormo 10 ore al giorno (cioè dalle 21.35 alle 7.30 ogni giorno della settimana lavorativa), considerato che lavoro 9 a volte anche 10 ore al giorno, quindi, la mia giornata se ne va via lavorando e dormendo, ciò che desidero fare per il prossimo anno è cercare di vivere di più. Magari il sabato e la domenica, andando a dormire molto tardi, oppure non andando a dormire affatto, cercando di vivere 24 ore su 24. [fitness] Per il prossimo anno inoltre voglio raggiungere quota 1 e 79 di altezza. Io ho 24 anni e sono alto 1 e 78. Mia mamma e mia nonna quando non mi cresceva la barba (quindi fino a un anno fa) mi hanno sempre detto che un uomo non smette di crescere e svilupparsi fino all’età di 25 anni. Poiché io mi fido molto di quello che dicono mia mamma e mia nonna, sono sicuro che mettendomi di impegno riuscirò entro il prossimo anno a raggiungere 179 centimetri di altezza. A questo proposito sulla rivista Lunghezze, una rivista che ho scovato in un angolino all’edicola di fronte casa mia, si parla di tutti i tipi di lunghezze, comprese le altezze, e vengono sempre allegati (o almeno nei 2 numeri che ho comperato io) specifici eserciziari di allungamento. L’esercizio che questa settimana Lunghezze suggerisce per aumentare la propria altezza è il seguente: afferrare due manubri da 2 chilogrammi ciascuno per ciascuna mano, mettersi col busto più eretto possibile e sollevare i manubri altezza spalle per tre serie da quindici volte. Il prossimo anno farò questo esercizio un giorno sì e uno no. [svago] Per il prossimo anno poi voglio imparare a giocare a bocce. Ho comperato per 24 euro il kit completo con palle e pallino di cuoio e i guanti (rossi con piccoli forellini bianchi). Nella periferia della mia città c’è un bellissimo bocciodromo con otto piste di bocce. Il prossimo anno credo proprio che ci farò un salto. [impegno sociale] Per il prossimo anno mi propongo inoltre di segare almeno uno dei tralicci ad alta tensione che si trova davanti a casa mia. Davanti a casa mia c’è un campo di barbietole sterminato, che appartiene alla mia famiglia da almeno tre generazioni. Purtroppo, lungo e sopra questo sterminato campo di barbietole ci sono tre tralicci dell’alta tensione, quindi in media un traliccio che il Comune o l’Enel o il Progresso ha regalato alle ultime tre generazioni della mia famiglia come premio per la sua produttività. Il prossimo anno prenderò una motosega circolare e senza farmi vedere né sentire segherò un traliccio fino a farlo crollare. [vanità] Poi voglio mantenermi a quota 64 chili per tutto l’anno, senza oscillazioni, perché ho scoperto che ad ogni oscillazione (cioè quando aumento di peso e finisco a 67 o a 69 addirittura) sul mio addome cresce un nuovo cuscinetto di grasso, che non se ne va più via, anche quando torno a 64 chili. [soldi] E poi voglio spendere di più. A conti fatti quest’anno ho speso 70 euro in libri, 90 euro in musica, 200 euro per me stesso. [finale]
Sapete, amici, non so se queste cose che sto dicendo basteranno per farmi aggiudicare il formaggio Vezzena stravecchio che questo concorso mette in paglio – ma mi consolo pensando che il formaggio in generale di solito fa alzare la pressione… e poi puzza. Quello che sto tentando di dire, però, è che ciò che nel 2002 ho imparato, ciò di cui ho preso coscienza – cosa molto diversa dal semplice imparare –, e della qual cosa voglio rendervi partecipi, è che non ci sia proprio niente che sia più importante dei numeri. Siano essi numeri-tempo o numeri-spazio o numeri-oggetti ciò che davvero sento contare più di tutto per me è il numero. Il numero di anni di una persona, ad esempio. Il numero di traguardi che una persona riesce a tagliare ad esempio. Il numero di capelli che ha in testa. Il numero di occhi o di dita. Qualunque numero, purché numero. Perché un numero significa sempre. Inoltre a me non interessa più sapere se le cose che faccio hanno qualità, ma quantità, sì. Perché tutto ciò che abbiamo – e che poi non abbiamo più - è tutto ciò che possiamo contare, e non ricordare o sperare. Cosa me ne faccio di una “dolce carezza”? O di un “romantico abbraccio”? Me ne faccio molto invece di 1000 carezze o di 3000 abbracci. Se una ragazza mi potesse dire: Primo, se frequenti me, ti potrò dare 18000 baci lungo l’arco di 3 mesi, credo che accetterei subito e di buon grado. Cosa me ne faccio della “felicità”? E poi cosa è la “felicità”? Per me la felicità, come devo aver letto in qualche manuale di filosofia, è uno stato perenne di benessere. E la parola chiave qui non è benessere, bensì perenne. Che contiene un’idea di quantità. Ogni ideale contiene un’idea di quantità, prima ancora che di qualità. La “libertà” ideale è la libertà assoluta, senza vincoli, la libertà di fare tutte le cose. Ora, a me gli ideali non interessano, so che sono falsità.
Quindi nella realtà – delle cose, dei sentimenti, dei gesti – mi limito solo ad accumulare, tesaurizzare, quantificare il più possibile. Non più a guardare, osservare, descrivere, esaltare, assaporare… ma solo e soltanto a misurare. Se per esempio quest’anno che verrà avrò trascorso mettiamo 4000 ore col sorriso sulle labbra, cioè quasi metà anno, allora potrò di sicuro dire di aver trascorso un buon anno, indipendentemente dalla qualità di ciò che ha determinato il mio sorriso. E se anche avrò sorriso per una sola volta in tutto l’anno, e se quel solo sorriso mi potrà bastare, ebbene sarà sempre per ragioni di quantità: mi basterà l’intensità contenuta in quel sorriso. In definitiva, dunque, ciò di cui ho preso coscienza nel 2002, diventerà mio proposito nel 2003. Per il prossimo anno il mio proposito sarà contare. Vi ringrazio. Buone feste a tutti.
Post scriptum: ci sono persone che per scoprire il senso riposto delle cose, o almeno uno dei suoi possibili sensi – o meglio ancora il senso che ha per loro più senso e che aiuta a dare senso alla propria vita –, viaggiano molto, visitano paesi, incontrano persone, fanno esperienze di ogni tipo, positive o negative che siano. Io ho letto la frase di un Bacio Perugina. Che, devo dire, è stato un modo molto dolce di scoprire ciò che voglio.