Il continente europeo si sta scaldando molto più in velocemente del previsto, rispetto al resto del globo, e gli scienziati si interrogano sui motivi di questa imprevista accelerazione.
Dall'inizio della Rivoluzione Industriale (1760 ca) la temperatura dell'Europa è aumentata di 2,2 gradi Celsius, mentre sul Circolo Polare Artico l'aumento ha già raggiunto 3 °C. Misurazioni che confermano come il nostro continente si stia riscaldando molto più velocemente del resto del mondo, ponendo nuovi interrogativi agli scienziati che studiano il fenomeno del riscaldamento globale, e cercano soluzioni per attenuarlo.
Purtroppo, l'umanità non è sulla buona strada per contenere l'aumento della temperatura globale agli 1,5 gradi Celsius richiesti dall'Accordo di Parigi, il trattato internazionale negoziato alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP21) a Parigi nel 2015.
In effetti, le ultime previsioni mostrano che a livello globale il clima è destinato a diventare entro il 2050 (in media) 2,4 gradi Celsius più caldo rispetto all'era preindustriale, a meno che le emissioni di gas serra non vengano drasticamente ridotte.
Quindi limitare il riscaldamento a 1,5 °C (entro il 2050) è già un obiettivo superato, e se qualcuno sperava che dalla COP26 di Glasgow di quest'anno uscissero nuove e più stringenti impegni nel limitare l'utilizzo dei combustibili fossili è andato deluso. Infatti, sebbene tutti i partecipanti abbiano concordato di limitare il riscaldamento sullo stesso valore concordato alla COP21, quindi senza nessun passo avanti rispetto all'impegno preso sei anni prima, Cina e India si sono dissociate dalla data proposta di "emissioni zero" entro il 2050, ribadendo le loro intenzioni di arrivare a quel traguardo entro il 2060 la prima e il 2070 la seconda, vanificando l'obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro la metà di questo secolo.
Con la loro scelta, Cina e India hanno voluto proteggere prima il loro sviluppo industriale fortemente legato al carbone, che il pianeta. Una decisione lecita ma, a nostro avviso, eticamente immorale, perché i cambiamenti climatici in atto mettono a rischio la sopravvivenza di gran parte della biodiversità del nostro pianeta, genere umano compreso, come già accaduto in epoche preistoriche quando riscaldamento e glaciazioni hanno comportato estinzioni e migrazioni di massa nelle quali è sopravvissuto solo chi si è saputo adattare al nuovo clima.
Ora, il riscaldamento è in progresso a una velocità che neppure i più catastrofici scienziati avevano saputo predire e non colpirà allo stesso modo e nello stesso periodo tutte le parti del mondo come i recenti studi sul continente europeo stanno dimostrando.
L'Europa, infatti, ha già superato la soglia di 1,5 gradi Celsius, ed è attualmente 2,2 °C più calda di quanto non fosse prima della Rivoluzione Industriale. Dati che Samantha Burgess, vicedirettore dei servizi per il cambiamento climatico presso il programma europeo di osservazione della Terra "Copernicus" ha dichiarato il 2 novembre in un intervento alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26).
Ma perché il vecchio continente si stia riscaldando così velocemente è ancora un enigma o quasi. Probabilmente ha a che fare con la sua vicinanza dell'Artico, la calotta glaciale attorno al Polo Nord, che risulta di gran lunga la regione con il riscaldamento più rapido della Terra, con un aumento di 3 °C in più rispetto ai tempi preindustriali.
L'Artico quindi si sta riscaldando circa tre volte più velocemente del tasso medio globale, probabilmente a causa dei cambiamenti nella sua albedo (la capacità di una superficie di riflettere la luce solare) del pianeta. Il ghiaccio bianco incontaminato attorno ai poli, infatti, agisce come uno specchio, riflettendo la maggior parte della luce solare in arrivo invece di assorbirla. Quando il ghiaccio si scioglie, sulla calotta glaciale si formano dei laghi che cambiano la sua albedo. L'acqua assorbe più luce solare e si riscalda.
Stranamente, però, lo stesso effetto non è osservabile al Polo Sud. In Antartide le misurazioni satellitari mostrano variazioni contradittorie. In alcune aree la perdita di ghiaccio marino comporta un riscaldamento, ma si è scoperto che in altre regioni le temperature sono molto più fredde della media globale.
Quindi se al Polo Nord stiamo assistendo a un costante declino della copertura dei ghiacci in Antartide sembra stia avvenendo il contrario. Gli scienziati sono rimasti sorpresi da questo fenomeno, e pensano che la maggiore resilienza dell'Antartide al riscaldamento sia dovuta al fatto che si tratta di un vero e proprio continente con una base rocciosa sotto gli spessi strati di ghiaccio, mentre l'Artico è solo una enorme massa di ghiaccio galleggiante.
Il cambiamento del clima europeo è quindi influenzato dal riscaldamento più rapido nell'Artico che come conseguenza diretta porta a un più rapido scongelamento del permafrost (terreno permanentemente ghiacciato che ospita resti non decomposti di animali e piante morti), che si trova tra l’estremo Nord Europa, la Siberia e l’America Settentrionale.
Lo strato superficiale di permafrost è molto sensibile ai cambiamenti del clima. Si scioglie durante il periodo estivo (non solo nelle regioni artiche ma, per fare un esempio, anche oltre la quota di 2.600 metri sulle Alpi) e può arrivare anche a profondità di 1.500 metri in Siberia. Lo strato più profondo non ha mai subito il decongelamento dall’ultima era glaciale, circa diecimila anni fa, ed è qui che sorge il problema.
Basta che la temperatura rimanga al di sopra di 0 °C per un periodo di tempo abbastanza lungo, che il terreno, rimasto congelato per millenni, inizi a sciogliersi, innescando il decadimento di tutto ciò che si trova all'interno. La materia in decomposizione rilascia anidride carbonica e metano, potenti gas serra che accelerano ulteriormente il riscaldamento dando vita a un circolo vizioso che agisce sempre più velocemente.
Gli scienziati hanno appurato che lo scongelamento del permafrost crea un cambiamento significativo nell'albedo, il che significa che la regione polare è meno riflettente di quanto non fosse in passato. Assorbendo più energia termica, aumenta ulteriormente la temperatura a livello locale, aumentando anche la temperatura della superficie marina che porta a un ulteriore scioglimento del ghiaccio superficiale.
Un recente studio basato sui dati dei satelliti europei "Sentinel-1" e "Sentinel-2" ha evidenziato che il disgelo del permafrost sta letteralmente rendendo instabile il terreno attorno al circolo polare settentrionale. L'articolo, pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters del 9 novembre 2021, rileva che entro i prossimi 30 anni il 55% degli edifici, delle strade e degli oleodotti situati entro 100 chilometri dalla costa artica si troverà su un terreno instabile in procinto di liquefarsi con gravi conseguenze per l'habitat e gli insediamenti umani.
Tra i tanti effetti negativi a cui le regioni artiche sono soggette, gli incendi estivi, sempre più frequenti, sono i più critici. Intervenendo alla COP26, Vincent Henri Peuch, capo del "Copernicus" Atmosphere Monitoring Service (CAMS), ha affermato che se nel corso degli ultimi decenni gli incendi delle savane ai tropici sono diminuiti, da un certo numero di anni in Siberia (la parte nordorientale della Russia adiacente alla calotta polare artica), si sono succeduti molti più incendi che in passato, con una tendenza ad aumentare nei prossimi anni.
Le aree nordorientali della Siberia, infatti, sono da diversi anni sempre più colpite da violenti incendi che rilasciano enormi quantità di anidride carbonica che alimenta ulteriormente il circolo vizioso del riscaldamento. Secondo i dati di "Copernicus", quest'anno gli incendi nelle tundre siberiane hanno prodotto più gas serra di quelli che la Germania, il maggiore produttore di CO2 d'Europa, emette in un anno.
Gli incendi sono motivo di grande preoccupazione, perché non è la vegetazione che brucia in quella regione ma la torbiera. La torba, come sappiamo, è un combustibile straordinario perché costituito dall’accumulo di materiale organico plurimillenario, ma le torbiere in condizioni normali sono molto utili.
Infatti, contenendo muschio in decomposizione e molta acqua, sostengono un tappeto vivente di uno speciale muschio resistente al fuoco chiamato "sfagno" che riesce a catturare enormi quantità di CO2. Negli ultimi decenni però molte torbiere sono state prosciugate dall'uomo trasformandosi in un pericolo. Una torbiera secca, o anche solo degradata, può incendiarsi facilmente e sopravvivere invisibile con le braci semisepolte anche durante l’inverno, per emergere di nuovo e distruggere le foreste vicine in primavera e in estate.
Man mano che questi incendi infuriano nelle vicinanze dell'Artico, le ceneri che producono si depositano sulla calotta glaciale, alterandone ulteriormente l'albedo. Il ghiaccio oscurato assorbe il calore invece di rifletterlo, alimentando ulteriormente il circolo vizioso e inarrestabile del riscaldamento globale.
Vera Thiemig, responsabile scientifico e ricercatrice presso il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea, nel suo intervento alla COP26 ha spiegato che il 2020 è stato l'anno più caldo mai registrato in Europa, con una temperatura di 1,9 °C sopra la media a lungo termine del 1981-2010, 0,4 gradi Celsius più calda rispetto al 2019.
Il repentino riscaldamento atmosferico polare ha innescato sull'Europa eventi meteorologici senza precedenti. Le inondazioni che hanno colpito l'Europa occidentale quest'estate, per esempio, non hanno precedenti nella storia del nostro continente, e nonostante le contromisure adottate per affrontare l'allerta meteo, nessuno era preparato a quanto poi è accaduto.
In Germania, dove questi eventi climatici hanno causato oltre 200 vittime, erano preparati ad affrontare alluvioni massime che hanno una periodicità calcolata in una ogni 100 anni, ma quella arrivata non aveva eguali negli ultimi 1000 anni. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha descritto la distruzione causata dal diluvio come surreale. Ma se il riscaldamento proseguirà al ritmo attuale, negli anni a venire il "diluvio millenario" potrebbe diventare un visitatore molto più regolare.
Rispetto alle altre Nazioni dell'Europa occidentale, l'Italia è molto più soggetta agli effetti deleteri del riscaldamento globale. Le sue caratteristiche morfologiche, la posizione centrale nel Mediterraneo e l'incuria con la quale si è alterato gran parte del territorio, la espongono in modo particolare a eventi atmosferici anomali, come dimostrano i recenti nubifragi che hanno colpito la costa Tirrenica e il meridione. Ondate di maltempo che se un tempo si potevano definire eccezionali ora sono diventate quasi una consuetudine.
Certamente il futuro dell'Europa, così come quello degli altri continenti, dipende dall'azione che intraprenderà l'umanità a partire dal presente e non dal futuro. I climatologi prevedono che fino agli anni '30 di questo secolo perdureranno eventi estremi, avremo estati più calde, inverni più miti e tempeste più violente. Ma quello che accadrà dal 2050 al 2100, dipende davvero dalle decisioni che i Governanti prenderanno oggi.
Al momento, il mondo sembra destinato a superare la temuta soglia di 1,5 gradi Celsius nel 2034 (circa). Se non facciamo nulla, ogni anno in Europa 15 milioni di persone saranno a rischio di incendi boschivi; 90.000 persone moriranno a causa delle ondate di calore; 2 milioni di persone saranno colpite da inondazioni costiere e fluviali; la siccità si espanderà e la tundra finirà per scomparire, e con essa i suoi benefici di assorbire la CO2.
Le conclusioni del vertice COP26, tuttavia, offrono qualche speranza. Più di 100 nazioni si sono impegnate a ridurre del 30% le emissioni di metano, che è 80 volte più riscaldante dell'anidride carbonica, entro la fine di questo decennio, mentre 140 stati si sono impegnati a raggiungere emissioni zero di CO2 entro il 2050.
La domanda ancora senza risposta è se l'azione (minimale) presa oggi dalla COP26 sarà veramente in grado di influire il riscaldamento abbastanza velocemente da evitare i danni peggiori degli attuali. Di una cosa possiamo essere certi, che sarà lo stesso clima a suonare il campanello d'allarme ai Paesi ora più ritrosi a cambiare stile di vita orientandoli a prendere la strada della consapevolezza e della sostenibilità. La speranza è che quando questa decisione sarà presa non sia già troppo tardi.