Questa volta non vi porterò nel deserto algerino, fra le dune (Erg Chech) e le pitture rupestri (Tassili), ma a scoprire quello che l’impero di Roma, sotto il cielo che fu precedentemente di Cartagine, costruì a suo modello.
Roma, dopo la presa di Cartagine nel 146 a.C., conquistò definitivamente tutto il Nord Africa. I re berberi, che erano dei capi guerrieri, si allearono con i Romani e i regni di Mauritania (attuale Marocco e Algeria) e di Numidia (comprendente all'incirca il territorio del Nord-Est dell’Algeria) divennero province romane e vi furono costruite città.
La loro bellezza doveva servire a confermare la grandezza di Roma e celebrarne il successo.
Di regola l’insediamento romano risultava diviso in quattro parti, chiamate quartieri, dal cardo maximus che si incrociava ad angolo retto con il decumanus maximus, asse perpendicolare al cardo. All’incrocio di queste due direttrici principali si trovava quasi sempre il forum, ossia la piazza principale della città.
Anche negli accampamenti romani, detti castra, le due strade principali erano così denominate, ma all’incrocio non vi era il forum bensì il cosiddetto praetorium, ossia la tenda del comandante.
In Algeria, della fascia costiera, affacciata sul Mediterraneo dove si trova anche Algeri e dei fertili altopiani, i romani fecero per cinque secoli uno dei principali granai dell’impero, creando insediamenti coloniali che, popolati dai veterani dell’esercito e collegati da una fitta rete di strade, ponti e acquedotti, divennero città di notevole importanza.
Per me è stata una sorpresa scoprire in Algeria e visitare, con pochissimi turisti, alcuni dei siti archeologici romani tra i più belli del Nord Africa che non hanno nulla da invidiare alla famosa Sabratha o a Leptis Magna in Libia.
Arrivata a Costantina, capitale dell’antico regno della Numidia conquistato dai romani nel 46 a.C., definita da A. Dumas nido d'aquila perché costruita su uno sperone roccioso, sono stata colpita dagli scenari della gola profonda del fiume Rhumel. Un po’ di apprensione ho provato nel percorrere il suo ponte sospeso, il Sidi M’Ci. Lungo 164 metri, attraversa il fiume e permette di raggiungere il promontorio della casbah che in questo punto strapiomba per 175 metri sulle sue gole.
Vicino a Costantina abbiamo visitato Tiddis, sito che faceva parte di una serie di villaggi fortificati e che insiste su un villaggio berbero che risale all'epoca neolitica, attestata da qualche dolmen. Deve il suo nome al sorprendente colore rosso (tiddis in arabo) del terreno della campagna circostante, reso ancora più intenso alla luce del tramonto. Si trova su un pendio ripido. Le rovine sono piuttosto estese e le più importanti sono le cisterne e i canali dell'acqua. Quasi ogni edificio aveva una cisterna per immagazzinare l’acqua piovana, a causa di assenza di sorgenti. Serbatoi più grandi rifornivano piccole terme di montagna. Il Tempio di Mithra, con il grande fallo alato inciso, è uno dei suoi edifici più originali.
Verso il Sud, attraverso la regione degli chott, laghi salati, prima di raggiungere Timgad, ci siamo fermati a Lambese per ammirare l'antica fortezza legionaria della provincia romana d'Africa Proconsolare che, sotto Traiano, fu occupata dalla III Legio Augusta che vi rimase fino alla conquista dei Vandali.
A Timgad, l'antica colonia Thamugadi - Patrimonio dell'Umanità dell’UNESCO - che mi ha colpito per la sua bellezza e conservazione, un arco alto 12 metri ricorda Traiano che la fondò nel I secolo d.C.
Camminando sotto il caldo bacio del sole tra le sue rovine, pensavo che se le pietre avessero potuto parlare, certamente avrebbero raccontato tante storie. Quelle del decumano avrebbero riferito della marcia dei legionari e il passaggio dei loro carri; quelle delle quattro terme la passione dei romani di immergersi nel calidarium e poi nel tepidarium, per terminare nel frigidarium; quelle dell’anfiteatro da 3.500 posti, tutt’ora in buone condizioni, i sanguinosi spettacoli di gladiatori o le corse delle bighe.
Arrivata a Djemila (in arabo la bella), Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, quando la calura del pomeriggio era passata, ho potuto camminare a lungo e ammirare la colonia fondata per i veterani romani, alla fine del I secolo d.C., con il nome Cuicul.
Situata su uno sperone roccioso, alla confluenza di due uadi e ai piedi di una montagna di 1400 metri, è uno dei più bei siti d'epoca romana in Africa. Ha edifici principali ben conservati come il foro di Settimio Severo con il tempio dedicato a Marte patrono della città, l'arco di trionfo di Caracalla. Al mercato, con i tavoli dei venditori con le unità di misura per i prodotti agricoli, mi sembrava di sentire le voci concitate di venditori e il brusio dei compratori.
Ho ammirato le Grandi Terme, opera dell’imperatore Commodo, il lupanare e il teatro, eretto fuori dalle mura. Mi hanno colpito la Casa dell’Asino, risalente all’età tardo-imperiale, per il mosaico che la caratterizza, un asino vincitore e la Casa di Bacco per l’opulenza dei mosaici raffiguranti scene dionisiache e mitologiche, come il Ratto di Europa, la bella principessa rapita dal dio Giove tramutatosi in un grande toro bianco e scene marine come il Trionfo di Anfitrite, la dea del mare e moglie del dio Nettuno.
Con l'affermarsi del cristianesimo nel IV secolo, sul pendio della città furono costruiti una basilica e un battistero, che oggi costituiscono le rovine più importanti dell'intero sito.
Nella costa algerina sono rimasta affascinata da Cherchell e Tipasa. Cherchell, sotto il nome di Iol fu una colonia prima egizia, poi fenicia, cartaginese e capitale dei regni di Numidia e Mauritania. Il re berbero Juba II, marito di Cleopatra Selene II, figlia della regina Cleopatra e del generale romano Marco Antonio, la mise sotto la protezione dell'Imperatore, chiamandola Cesarea.
Juba II, che all’età di 4 anni fu portato come prigioniero a Roma, ricevette un'educazione di alto livello e insieme a Cleopatra Selene II, che amante del lusso avrebbe voluto ripetere i fasti della madre, introdusse nel Nord Africa l'arte egizia, greca e romana mescolate insieme, come ho potuto riscontrare anche nel museo di Cherchell che contiene alcune delle sculture più belle del Nord Africa.
L’antica Tipasa, adagiata sulle rive del Mediterraneo, sulle cui propaggini frastagliate giacciono da secoli le rovine della colonia fenicia che nel I secolo d.C. fu occupata dai Romani e trasformata in una colonia militare per volere dell'imperatore Claudio, mi è apparsa in tutta la sua bellezza di luci, colori e fitta vegetazione.
Mi sono sentita in sintonia con la descrizione che ne ha fatta Albert Camus:
In primavera, Tipasa è abitata dagli dei e gli dei parlano nel sole e nell’odore degli assenzi, nel mare corazzato d’argento, nel cielo d’un blu crudo, fra le rovine coperte di fiori e nelle grosse bolle di luce, fra i mucchi di pietre. In certe ore la campagna è nera di sole.
L'antica città romana, costruita su tre piccole colline che si affacciano sul mare, di importanza commerciale e militare per il suo porto e per la sua posizione centrale sul sistema delle strade costiere romane del Nord Africa, prosperò fino al periodo dell'invasione dei Vandali nel 430 d.C. che la distrussero in buona parte. Venne ricostruita dai Bizantini un secolo dopo e alla fine del VII sec. la città fu ridotta in rovina dagli Arabi.
Ho potuto ammirare i resti di un teatro, un anfiteatro, un ninfeo e dei bagni oltre alle rovine di tre chiese: la Grande Basilica, la Basilica di Alessandro sulla collina occidentale e la Basilica di Santa Salsa sulla collina orientale. Le basiliche sono circondate da cimiteri pieni di bare tutte in pietra e coperte di mosaici. Anche la basilica di Santa Salsa contiene ancora un mosaico.
Ai margini di Tipasa ho visitato la cosiddetta “Tomba della Cristiana” in arabo Kbour-er-Roumia, un singolare edificio circolare, probabilmente il mausoleo dove il re Juba II e la regina Cleopatra Selene II sarebbero stati sepolti e la Villa dei Freschi (degli affreschi), una volta una imponente domus, ora in rovina. Ancora è visibile un grande pavimento quadrato ricoperto da mosaici. Anche nelle rovine dei bagni si trovano altri resti di mosaici.
Il viaggio in Algeria è terminato ad Algeri e, ancora una volta, ho potuto visitare la sua casbah e mangiare il pescato freschissimo del porto, arrostito sui carboni ardenti al Malakoff, alle rampe de La Pēcherie.