“La mostra American Art 1961-2001 from the Walker Art Center of Minneapolis a Firenze consolida la ricerca di Palazzo Strozzi sull’arte moderna americana e chiude una trilogia di esposizioni dedicate a momenti fondamentali della storia artistica degli Stati Uniti d’America”. Con queste parole Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, sottolinea l’importanza di questa esposizione che conclude un ciclo preceduto da due rassegne, la prima, Americani a Firenze del 2012, incentrata sui pittori di fine Ottocento e inizio Novecento e la seconda focalizzata su La grande arte dei Guggenheim del 2016. La nuova esposizione presenta oltre 80 opere dei più importanti artisti americani, dagli anni Sessanta agli anni Duemila in un percorso straordinario tra pittura, fotografia, video, scultura e installazioni. Ed è una rilettura inedita di quarant’ anni di storia americana vista attraverso diverse tematiche come lo sviluppo della società dei consumi, la contaminazione tra le arti, il femminismo e le lotte per i diritti civili.
Curatore di questa rassegna che si sviluppa in 11 sale con le opere di 53 artisti è Vincenzo de Bellis, Curator and Associate Director of Programs, Visual Arts, Walker Art Center. Co-fondatore dello spazio no profit Peep Hole, prima di essere nominato nel 2016 curatore per le arti visive al Walker Art Center di Minneapolis, de Bellis, ha diretto per tre stagioni Miart la fiera d’arte moderna e contemporanea che si svolge a Milano. La mostra fiorentina, attualmente in corso, prende il via dal sodalizio artistico tra Galansino e de Bellis e da un loro incontro a Minneapolis.
“La mostra è nata circa 4 anni fa quando Arturo Galansino è venuto a trovarmi negli Stati Uniti a Minneapolis, dove mi ero trasferito da un anno ma già avevamo iniziato a pensare a un progetto da fare insieme anche se in quel momento non sapevamo ancora quale. In questo frangente Arturo Galansino ha potuto vedere di persona cosa rappresenta il Walker. Parliamo del quinto museo per importanza negli Stati Uniti, una collezione di oltre 12 mila opere, uno dei musei più all’avanguardia dagli anni 60 ad oggi. Certo il fatto di essere collocato in una città non proprio centrale nelle traiettorie artistiche e culturali, non lo rende così noto come altri, eppure non perché lo rappresento, ma perché è testimoniato anche dalla qualità delle opere in mostra, si tratta di un museo di altissimo profilo”.
E in quell’occasione si traccia l’abbozzo della mostra che Palazzo Strozzi ospita ora e fino al 29 agosto 2021. “L’idea è stata quella di raccontare una mostra che raccogliesse 40 anni di storia americana e non una storia che tutti avrebbero potuto raccontare ma una storia che avrebbe potuto raccontare solo il Walker. Quindi quello che si vede in mostra non sono necessariamente tutti i grandi nomi dell’arte moderna e contemporanea americana. Certo ci sono i grandi come Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Jasper Johns, Louise Nevelson, Mark Rothko, Cindy Sherman e potrei citarne ancora e ancora. Ma ci sono anche altri nomi molto meno noti al pubblico che però e lo posso assicurare, saranno i prossimi Warhol, i prossimi Lichtenstein, i prossimi Donald Judd, eccetera”.
Ma quale America si riflette in questa esposizione? “Si voleva raccontare una storia che fosse una storia dell’arte e una storia dell’America. Non l’America lustrini e paillettes di cui ci siamo innamorati e per la quale io mi sono trasferito negli Stati Uniti, ma anche quell’America che ha ancora tantissimi problemi di giustizia sociale e problemi di giustizia tra le diverse comunità che compongono quell’incredibile melting pot americano e volevamo mostrarla attraverso le figure anche più recenti, figure di artisti che proprio su questi temi sociopolitici , hanno posto la loro attenzione”. AMERICAN ART 1961-2001 è costruita cronologicamente e tematicamente. È crono-tematica, secondo la definizione di Arturo Galansino.
Vincenzo de Bellis con le sue parole a questo punto si fa guida “virtuale” della straordinaria esposizione di Palazzo Strozzi.
“Si parte da quel piccolo contesto Pre anni Sessanta, per introdurre quello che nell’arte americana succederà proprio a partire degli anni sessanta e cioè l’intero cambiamento dal quale tutti ancora non siamo usciti, la Pop Art. Sono stati citati artisti come Warhol, più volte. Siamo negli anni in cui JFK viene eletto Presidente e c’è grande fiducia nel futuro, nei mezzi di comunicazione di massa, e nel consumismo, così come critiche nei confronti dello stesso consumismo”.
Gli anni Settanta segnano un momento di passaggio dove l’immagine lascia il passo al minimalismo e all’arte concettuale. “Si alternano una serie di vicende personali di alcuni artisti tra cui John Baldassarri o Bruce Nauman, un focus che rappresenta proprio la specificità della collezione del Walker, un museo che non ha collezionato tutti gli artisti ma ha raccolto in profondità una serie di artisti che potevano in qualche modo testimoniare l’idea di fondo ovvero la volontà di dimostrare che l’arte non è settoriale ma è multidisciplinare e ha diversi livelli di lettura e diversi modi in cui si può rappresentare”.
E Vincenzo de Bellis spiega la peculiarità e il prestigio unico delle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis.
“I dipartimenti del Walker non sono tradizionalmente suddivisi come avviene al MoMA o al The Metropolitan Museum of Art di New York in pittura, scultura o fotografia, ma tutti questi mezzi, sono mescolati nelle macro discipline che le rappresentano, arti visive, arti delle immagini , arti dello spettacolo. E le opere vengono collezionate quando si parlano tra di loro”.
La mostra continua con un momento di ulteriore cambiamento per l’America, un momento in cui negli anni Ottanta e negli anni Novanta, arriva la grande crisi dell’AIDS.
“Una crisi che ci dovrebbe far pensare perché ha molti tratti di similitudine con la pandemia che abbiamo e stiamo vivendo oggi. All’epoca si pensava che fosse tutt’altro e parliamo di un virus che purtroppo in quegli anni ha discriminato ancora di più di quanto abbia fatto il virus di quest’anno” osserva il curatore. Le ultime tre sale sono riservate alle altre voci.
”Si conclude il percorso nelle ultime tre sale dove abbiamo voluto dare spazio a quelle che abbiamo chiamato, altre voci, nuove voci, più voci. E finalmente un numero di artiste donne che emerge sulla scena artistica americana e mondiale. L’arte e la società si aprono ad altre culture, culture magari di comunità sotto rappresentate precedentemente con artisti come Glenn Ligon, Kerry James Marshall e soprattutto l’artista a cui abbiamo dedicato l’ultima sala che è Kara Walker che non ha nulla che fare con il nome del museo ma è una delle artiste più in vista nel panorama internazionale. A Kara Walker è dedicata una stanza personale proprio perché le sue opere parlano di temi fortemente attuali oggi. Parliamo di opere dal 1998 agli anni 2000, opere che parlano di schiavitù e di subordinazione da parte degli afro discendenti in una nazione come l’America che ha ancora molto da imparare in termini di razzismo e di giustizia sociale e civile.
E se questo finale è forse un po’ dark, rappresenta comunque il mondo nel quale viviamo oggi e speriamo che rappresenti anche un auspicio per un miglioramento di questa situazione nel futuro”.