Tra gli animali che condividono spazi e abitudini umane, il gatto è quello che ha conservato maggiormente le tracce della sua selvaticità. Dotato di raffinata eleganza, riesce ad alternare esperienze di coesione sociale a momenti di totale indipendenza fisica ed emotiva.
Sin dall’antichità è stato considerato sacro a causa della sua spontanea affinità con il mondo dell’invisibile. Tra i suoi poteri, infatti, vi è quello di comunicare con le anime dei defunti, scacciare gli spiriti maligni e leggere i colori del campo energetico umano (aura).
Nella tradizione buddista era usanza tenerlo vicino alle persone in procinto di morire, per favorire il distacco dell’anima dal corpo.
Nell’antico Egitto era consacrato alla dea Bastet, una figura mitologica raffigurata con il corpo di donna e la testa di felino. Questa divinità, assorbita dalla tradizione greca con il nome di Ailuros (dal greco áilouros=gatto), incarnava l’archetipo della famiglia, del focolare domestico e della femminilità nel senso più ampio del termine (proteggeva le donne, soprattutto le partorienti e le nutrici). Nella sua valenza negativa era paragonabile a Sekhmet, la terribile e vendicatrice dea della guerra, schierata a difesa del faraone e capace, con la forza del suo respiro, di annientare ogni nemico, lasciando dietro di sé solo deserto e siccità.
E quando il gatto era di colore nero, diventava portatore di sfortuna e malasorte (purtroppo una superstizione ancora viva oggi); non a caso nell’iconografia popolare spesso è rappresentato come il fedele compagno di streghe e maghi.
Un altro fenomeno interessante, al quale gli etologi non riescono a dare una spiegazione soddisfacente, è rappresentato dalle “fusa”: termine che trae ispirazione dal caratteristico rumore prodotto dal fuso impiegato per filare la lana. Questo strano “brontolio”, simile a una specie di mantra dall’effetto ipnotico, interessa non solo il gatto, ma anche altri felini tra cui puma, ghepardo e lince. Meno rumorose sono le fusa prodotte da specie più grandi come tigri, leopardi e leoni.
I gatti sono in grado di emettere un suono caratterizzato da una frequenza compresa dalle 25 alle 150 vibrazioni al secondo. Il suo esatto meccanismo d’azione non è del tutto chiaro, per cui sono state proposte diverse teorie al riguardo. Alcuni scienziati ritengono che siano coinvolti i muscoli della laringe, i quali provocando la dilatazione della cavità orale riescono a mettere in contrazione la glottide. Altri pensano che questo effetto acustico sia dovuto alla vibrazione dell’osso ioide, posizionato alla base della lingua, oppure all’oscillazione delle pieghe vestibolari, situate nella laringe, ai lati delle corde vocali. L’unica cosa certa è che questa particolare emissione vocale è sostenuta dal flusso dell’aria inalata ed esalata attraverso la respirazione (a differenza degli altri mammiferi che producono suoni solo nella fase di espirazione, con la fuoriuscita dell’aria dai polmoni). Le fusa, inoltre, nonostante siano percepite come un suono lungo e regolare, in realtà contengono due variazioni legate alle fasi di inspirazione ed espirazione, con frequenze comprese rispettivamente tra 27-40 Hz e 16-28 Hz.
Meno chiaro è il ruolo e il significato attribuiti a questa strana forma di comunicazione. L’ipotesi più accreditata è che sia un modo, alquanto creativo, di esprimere piacere, appagamento, disponibilità e aperta condivisione nei confronti di altri esseri viventi (a volte sono un palese invito al contatto fisico).
Le gatte fanno le fusa durante il parto e lo stesso avviene per i cuccioli, pochi giorni dopo la nascita, soprattutto quando sono impegnati a succhiare il latte materno; la stessa cosa avviene anche durante le fasi di gioco, nei momenti di rilassamento e in particolari situazioni stressanti.
Alcuni studi hanno confermato che nei gatti le fusa provocano un aumento dei livelli di serotonina ed endorfine: sostanze prodotte dal cervello, dotate di proprietà euforizzanti, tranquillizzanti e analgesiche.
L’aspetto più interessante di questo fenomeno è che gli stessi effetti riscontrati nei gatti sono osservabili anche negli uomini. Quando un gatto in braccio a una persona inizia a fare le fusa, produce delle vibrazioni benefiche, in grado di ridurre lo stress e regolarizzare il battito cardiaco e la pressione sanguigna.
Ricerche condotte nel dipartimento di veterinaria dell’Università di Berlino, hanno dimostrato che nei gatti questo genere di frequenze favorisce i processi di rigenerazione cellulare di tendini, ossa e muscoli.
Un effetto terapeutico simile si ottiene nella medicina umana attraverso la terapia a vibrazione meccanica (in questo caso le frequenze utilizzate sono comprese tra 15 e 60 Hz), impiegata in caso di problemi muscolari ed ossei, per stimolare la rigenerazione dei tessuti e contrastare l’osteoporosi.
E a proposito di “vibrazioni”, un parallelo piuttosto interessante riguarda gli effetti prodotti da alcune pratiche di yoga, come la ripetizione di mantras o l’esecuzione di particolari tecniche di pranayama (esercizi di respirazione). Un esempio è offerto da Bhramari pranayama (respiro dell'ape ronzante): la parola bhramari significa 'ape' e la pratica consiste nell’emissione di un particolare suono che imita il ronzio di questo insetto. La vibrazione di questo suono gutturale si irradia prima sulla parete superiore della cavità orale (palato) e sulla lamina cribosa (struttura ossea dotata di numerosi forellini attraverso i quali passano le terminazioni del nervo olfattivo), poi sull’intera struttura ossea del cranio e infine, per risonanza, sul liquido cefalo-rachidiano (fluido corporeo che protegge la corteccia cerebrale e il midollo spinale). La pratica costante di questo esercizio influenza positivamente l’attività del cervello e di alcune importanti ghiandole endocrine, tra cui ipotalamo ed epifisi.
E a voi che amate gli animali e non dimenticate mai il vostro gatto, dedico queste parole di Fernando Pessoa:
Felice è colui che dalla vita non esige più di quello che essa spontaneamente gli offre, facendosi guidare dall’istinto dei gatti, che cercano il sole quando c’è il sole e quando non c’è il sole, il caldo, dovunque esso sia.