Una narrazione visiva in cui si susseguono le vicende e gli avvenimenti, spesso tragici, che hanno caratterizzato il corso di un anno, il 2020. E' il World Press Photo, il più grande concorso di fotogiornalismo al mondo, nato ad Amsterdam nel 1955 per tutelare la libertà di informazione, d'inchiesta e d'espressione e per promuovere il foto-giornalismo di qualità. Infatti, ogni anno, migliaia di fotoreporter delle maggiori testate editoriali internazionali come National Geographic, BBC, CNN, Le Monde, El Pais si contendono il titolo nelle diverse categorie del famoso concorso di fotogiornalismo: Contemporary Issues, Environment, General News, Long-Term Projects, Nature, Portraits, Sports, Spot News. La rassegna, in corso a Torino, nella Sala Senato di Palazzo Madama, è giunta alla 63esima edizione e proseguirà fino al prossimo 18 febbraio.
Organizzata da CIME, uno dei maggiori partner europei della Fondazione World Press Photo di Amsterdam, e da Fondazione Torino Musei, la rassegna vede una giuria composta da Lucy Conticello, direttrice fotografica del settimanale M di Le Monde, Sabine Meyer, direttrice fotografica dell’organizzazione National Audubon Society, dai fotografi Chris McGrath, Pete Muller, Mariana Bazo, dalla curatrice Tanvi Mishra, e da Lekgetho Makola, - ha esaminato nel 2020 i lavori di 4.282 fotografi, provenienti da 125 paesi per un totale di 73.996 immagini. 44 i fotografi giunti in finale provenienti da 24 paesi.
157 le immagini in mostra, tra cui Straight Voice che si è aggiudicata il premio World Press Photo of the Year 2020, firmata dal giapponese Yasuyoshi Chiba dell’agenzia Agence France-Presse. E’ una fotografia - realizzata a Khartum nel giugno del 2019 da Yasuyoshi Chiba, dopo il colpo di stato militare contro Omar al-Bashir – ritrae un ragazzo, illuminato dalla luce dei telefoni cellulari, che in una manifestazione in Sudan recita una poesia di fronte ad altre persone che lo applaudono. “Nell’immagine vediamo un giovane che non sta sparando, che non sta lanciando sassi, ma recitando una poesia – ha dichiarato Lekgetho Makola, presidente della giuria - In un periodo come quello in cui viviamo, pieno di violenza e conflitti, è importante avere un’immagine che ispiri le persone”.
Così, mentre se di Tomer Kaczor, è il ritratto di una rifugiata armena affetta dalla sindrome da rassegnazione, di Mulugeta Ayene è la foto scattata durante i funerali delle vittime del volo Ethiopian Airlines 302. Ivor Prickett ha raccontato la lotta dei curdi in Iraq, e Romain Laurendeau vincitore del World Press Photo Story of the Year, è Kho, the Genesis of a Revolt , con cui documenta il disagio giovanile in Algeria.
E tra gli italiani sul podio ci sono Fabio Bucciarelli, fotografo e scrittore italiano - dal 2010 documenta gli avvenimenti in Africa e Medio Oriente, tra cui la guerra civile libica fino alla morte di Gheddafi, la crisi delle guerre in Siria, Libia e Iraq - di cui è il secondo premio nella sezione storie della categoria General News per un servizio realizzato per L’Espresso sulle proteste in Cile, iniziate a ottobre 2019 per denunciare le forti disuguaglianze economiche e sociali del paese. Mentre di Nicolò Filippo Rosso per la categoria Contemporary Issues, è un lavoro sugli effetti della crisi politica e socio-economica in Venezuela e sulla migrazione dei venezuelani in Colombia.
Per uno sguardo sul mondo e sulla contemporaneità, su fatti e accadimenti le cui storie spesso sfuggono e che l’occhio attento del fotoreporter riesce ad immortalare e a far sì che lo stesso fatto e la stessa diventi una storia degna di esser conosciuta e rappresentata, ed esser veicolata al mondo e alla comunità. E’ il World Press Photo, tante storie da conoscere e da guardare .