C’è un Fuori che si propaga all’Esterno & un Fuori che si propaga all’Interno
Al di là dei Contorni di entrambe le Identità, che si incontrano in Una…(William Blake, Gerusalemme)
Siamo tutti testimoni ormai, come il decantato Major Tom, di qualcosa di grande, di qualcosa in continua trasformazione, di qualcosa in perenne connessione - tra noi e il mondo, noi e il cosmo, tra realtà e potere immaginifico. Occorre dunque che ognuno di noi si faccia Satellite mobile e sensibile, un ricettore costante in perpetuo movimento che oscilla inquieto alla ricerca di un valore condivisibile. Il Satellite gravita attorno, mai intransitivo, pulsa di energia solo se connesso ad altre forme di creazione. Il Satellite non è nomade solo nella sua mobilità, ma pur sostando riesce a scardinare codici e regole facendo della differenza e della diversità un prezioso prisma dal quale osservare la luce scandagliata, rifratta, multipla e divisibile in innumerevoli ipotesi.
Noi non sistemiamo le cose in un ordine (questa è la funzione d’uso): facilitiamo semplicemente i processi perché qualunque cosa possa mostrarsi.
(John Cage, Per gli uccelli. Conversazioni con Daniel Charles)
Il Satellite si occupa di processi e, come già narrava Lou Reed nei Seventies con Satellite of Love, ne osserviamo il lancio e riflettiamo.
Il Satellite dallo spazio diventa spazio esso stesso. In una mutazione kafkiana continua, come lo scorrere delle acque, quasi come un rito sacrale.
Satellite prende vita atterrando a Firenze, patria natia della messa in pittura dello spazio, dopo un periodo di attività a Cape Town - per ripartire tra qualche tempo per chissà dove ancora. Venerdì 18 Settembre, in Viale Eleonora Duse 30, dalle 18.
Satellite si conferma come spazio itinerante e parallelo alla madre, per così dire biologica, Suburbia, galleria d’arte ora a Granada - una radice che contiene nel proprio nome l’idea di zona, spazio, ambiente periferico, un nucleo autonomo che vuole svilupparsi libero. Non a caso una primitiva funzione dei sobborghi era rappresentata dai centri abitativi minori più vicini ai quali si dava il nome di città satelliti. Come dei contemporanei Adamo ed Eva, l’uno nasce dall’altro, in una messa in relazione costante e avvincente.
Satellite come può non accogliere allora Surroundings? Un’esposizione che già presentandosi dichiara nel suo statuto l’essere “circostante”, nei “dintorni”, “attorno”, “accanto”, “vicino”.
Le tre “S” - “Suburbia” - “Satellite” - “Surroundings” / galleria, spazio itinerante e progetto espositivo si allineano sinuose in questa occasione, ancestralmente e magistralmente, come tre elementi protagonisti di una cosmogonia libera da etichette o fisse dimore.
Nel proprio prisma Surroundings accoglie e presenta dieci artisti che Suburbia segue già da tempo attraverso l’articolata produzione di mostre e progetti: Jake Aikman, Michelangelo Consani, Bonolo Kavula, Sepideh Mehraban, Mabel Palacín, Laura Paoletti, Robert Pettena, Jaime Poblete, Jacob Van Schalkwyk, Shakil Solanki.
Se il sistema capitalistico vigente annulla le differenze è giusto, come sosteneva anche il Maestro Federico Fellini, dare spazio alla diversità dei linguaggi dando così ogni volta una differente visione della vita. Così è giusto che la pittura incontri la gestualità, l’astrazione, l’icasticità, ma anche il disegno, la fotografia, l’installazione, la materia.
Attraverso il prisma proposto da Satellite, scorgiamo l’arte plurima negli orizzonti in cui perdersi di Jake Aikman, nei molteplici riferimenti di Michelangelo Consani, nelle superfici tecniche di Bonolo Kavula, nei ritagli d’Oriente di Sepideh Mehraban tra tradizione e futuro, nel linguaggio fotografico, tra realtà e cinematografia di Mabel Palacín, nell’intimità del segno proposto da Laura Poletti, nella versatilità tra surrealtà e concretezza di Robert Pettena, nella fisicità materica e inglobante di Jaime Poblete, nella gestualità ribelle e colorata di Jacob Van Schalkwyk, nell’erotismo melanconico, nostalgico e delicatamente blu di Shakil Solanki.
Suburbia, Satellite e in questa occasione Surroundings, ritrovano nella loro prima lettera “S” un movimento serpentino, non lineare, sinuoso, tellurico, orientato alla sperimentazione della forma imprevista, non programmata, originaria, plurima e sensibile.
Things must change
We must re-arrange them
Or we’ll have to estrange them.
All that I’m saying,
A game’s not worth playing
Over and over again.(Depeche Mode, The Sun & The Rainfall)