Nella clessidra é il fluire della sabbia da un’ampolla ad un’altra che misura il tempo; quella superiore che rappresenta il futuro gradatamente si svuota per riempire quella di forma analoga che rappresenta il passato. In centro, il presente, ciò che sta accadendo. La nozione di tempo è strettamente connessa a quella del moto. In questo caso la nostra clessidra è esausta, esaurita. Ha subito delle trasformazioni che ne hanno mutato la struttura originaria privandola delle sue proprietà fondamentali e rendendola inefficace. Diventa dunque necessario usare l’arte come strumento e principio di misurazione. Gli artisti che riuniti in questa mostra ci offrono strumenti attraverso cui lo svolgimento degli accadimenti e le proprietà di spazio e tempo che lo compongono, vengono sottoposti a un tentativo di determinazione.
Ecco dunque il lavoro di Maria Domenica Rapicavoli e le fotografie di Matan Ashkenazy, mettere in luce le tracce di uno specifico tempo storico, offrendo una riflessione tra ciò che è quotidianamente visibile e ciò che non lo è.
In un tempo consumato, un evento di tipo bellico accaduto nel 1943 ha cambiato la struttura architettonica di un palazzo storico di Palermo dove l’artista è stata invitata a esporre in occasione di Manifesta 2018. La bomba inesplosa non danneggiò l’edificio ma lo inclinò da un lato. L’installazione di Maria D. Rapicavoli, che viene riproposta in galleria dopo il successo riscontrato a Palermo, rende tangibile l’inclinazione creando un leggero disorientamento che oltre a mettere in discussione lo stato di conoscenza evidenzia l’impatto che le strutture politiche, economiche e sociali hanno, inesorabilmente, sulla nostra vita quotidiana. Gli elementi scultorei, in porcellana bianca, sono ordinati secondo una mappa militare che illustra le zone tattiche dello spazio aereo siciliano. E come il dispositivo della clessidra non esprime correttamente la sua funzione se non collocato sulla superficie in modo che la sabbia possa scorrere, così è necessario considerare l’inclinazione dello spazio perché anche il tempo sia misurato.
Anche le fotografie di Matan Ashkenazy, fotografo emergente israeliano, seppur in modo diverso, indagano il rapporto tra il tempo e ciò che non è percettibile nel quotidiano. Indagine portata avanti attraverso le tracce che lascia la polvere e i detriti di sabbia nel suo inesorabile e continuo movimento tipico del Medio Oriente. Nell’opera “Cloud of Dust”, per esempio, il tempo e il movimento vengono cristallizzati e il fluire della polvere è imprigionato in uno scatto realizzato al confine tra Israele e la West Bank palestinese. Un confine a tratti invisibile, non tracciato, attraverso cui i detriti di sabbia passano continuamente da una parte all’altra, in modo libero. Tra passato, presente e futuro. Dunque, in un contemporaneo che contiene tempo e spazio obliqui, generare un’osservazione che ponderi la condizione di un sistema e i valori che la compongono, è un compito primario. Che la rigenerazione del tempo e dello spazio siano possibili o meno, che la clessidra possa ancora esser girata da nuove mani e osservata con nuovi occhi.